Di Massimo Emilia
Come imparare dalla tragicità della pandemia
2021/9, p. 2
La fraternità è la filigrana dell’enciclica di papa Francesco, oseremmo dire del suo intero Magistero e maggiormente della sua vita che ne dà testimonianza: essa è una riflessione vasta ed universale, svincolata da ogni convinzione religiosa e stato di vita, iscritta in ogni essere umano come legge naturale; conseguentemente il Pontefice desidera che a livello mondiale essa diventi quel peculiare stile di vita che assume tutto ciò che è umano.

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Come imparare dalla tragicità della pandemia
La fraternità è la filigrana dell’enciclica di papa Francesco, oseremmo dire del suo intero Magistero e maggiormente della sua vita che ne dà testimonianza: essa è una riflessione vasta ed universale, svincolata da ogni convinzione religiosa e stato di vita, iscritta in ogni essere umano come legge naturale; conseguentemente il Pontefice desidera che a livello mondiale essa diventi quel peculiare stile di vita che assume tutto ciò che è umano. Sarebbe davvero il segno credibile ed incisivo che si è stati capaci di imparare dalla tragicità della pandemia.
L’opzione di rendersi fratelli o di essere fraterni dipende esclusivamente dalla libertà personale di ognuno dal momento che «ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza. E se estendiamo lo sguardo alla totalità della nostra storia e al mondo nel suo insieme, tutti siamo o siamo stati come questi personaggi: tutti abbiamo qualcosa dell’uomo ferito, qualcosa dei briganti, qualcosa di quelli che passano a distanza e qualcosa del buon samaritano. Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa» (Fratelli tutti n.69).
Scegliere è tipico del tempo dell’età adulta: l’alternativa è o lasciarsi sovrastare dal male o smettere di vivere; tale chiamata a decidersi irrevocabilmente è più che mai attuale alla luce dell’esperienza disarmante della pandemia nella quale l’intera umanità è stata toccata dal dolore interrogandosi sul perché del male. Ha vissuto per certi aspetti la vicenda di Giobbe, l’uomo giusto che, scrive lo psicoanalista Massimo Recalcati (Il grido di Giobbe, Einaudi 2021), colpito da un dolore molteplice che sfugge ad ogni motivazione plausibile, non lo concepisce né come una punizione, poiché egli non ha nessuna colpa, né come una vendetta perché non ha ucciso nessuno. L’esperienza non si può tradurre o verbalizzare ed il senso della sofferenza è irriducibile; «il dolore di Giobbe» - sostiene Recalcati - «non può essere ricondotto all'ordine del senso perché nessuna teologia, come nessuna altra forma di sapere, è in grado di spiegarne l'eccesso». Il grido di Giobbe si manifesta quando le sue parole diventano silenzio, eppure esso non equivale alla rassegnazione ma è espressione di una resistenza tenace che non cede a nessuna forma di odio, di disparità, non si chiude all’altro, testimonia il vero amore, quello che, oltre la sofferenza, non permette che la propria fede crolli. Non si potrà mai dare un senso al dolore, tantomeno spiegarlo, neanche teologicamente, ma sempre si potrà scegliere la vita, consegnarsi ad essa e viverla come fraternità, scoprendo nella sua declinazione che più che perdere tutto con la fede, la fede è tutto, proprio come ha compreso Giobbe quando si è arreso al Padre.
“Tempo di incontro”
Le condizioni che possono articolare la fraternità e renderla un’esistenza che non conosce frontiere sono indicate dal buon samaritano il quale con i suoi gesti insegna che «l’esistenza di ciascuno di noi è legata a quella degli altri: la vita non è tempo che passa, ma tempo di incontro» (Fratelli tutti n.57); d’altra parte, di fronte al dolore vissuto, personale e non, o si assume la strategia risolutiva di vivere nell’amore o come i briganti, o come coloro che passano accanto all’uomo ferito senza averne compassione. La parabola è una morsa stringente irriducibile sia a un’etica sia a idealismi, e ci ricorda che la pienezza dell’essere umano si raggiunge unicamente nell’amore, senza che si nascondano le ferite della fraternità ma cercando di ravvivare le radici profetiche e carismatiche che essa racchiude in sé, le quali si potrebbero sintetizzare nell’essere esperti di umanità e di umanizzazione, un’arte da imparare costantemente, da vivere in abbondanza oltre la fede, le culture e le tradizioni perché il futuro non è “monocromatico” (Fratelli tutti n. 100) ma è poliedrico. È ciò che gli consente di lasciar trasparire, tramite le sue sfaccettature, la sua sorprendente bellezza, specificatamente quella che sarà sempre inedita: il volto dell’altro che, nell'amore autentico, consente l’incontro con il proprio io, con l'altro e con il Padre, come afferma il poeta William Blake: «Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e li ho trovati tutti e tre».
Seguendo ulteriormente la classe della prossimità sulle orme del buon samaritano, la vita consacrata potrebbe eventualmente imparare più in profondità ad assumerla nei comportamenti quotidiani donando il proprio tempo gratuitamente, come segno vero dell’amore. Inoltre, con il dialogo, secondo i criteri indicati da Francesco: «avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dialogare”. Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare… Il dialogo perseverante e coraggioso… aiuta discretamente il mondo a vivere meglio, molto più di quanto possiamo rendercene conto» (Fratelli tutti n.198). In aggiunta, scegliendo di esercitare la gentilezza, quelle persone «diventano stelle in mezzo all’oscurità» (Fratelli tutti n.222). La gentilezza «si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri. Comprende il “dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano», invece di «parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano”» (Fratelli tutti 223).
Riepilogando: provare a vivere il tempo come l’offerta di una parte della propria esistenza, a dialogare ponendosi essenzialmente dal punto di vista dell’altro e a praticare la gentilezza «a casaccio, con atti di bellezza privi di senso», come suggerisce un anonimo.
Il sogno sempre inedito della fraternità universale è nuovamente consegnato a ciascuno e può compiersi se si sceglie di accoglierne la sfida, di continuare a farlo diventare realtà con passione e perseveranza, con fedeltà creativa ed audacia, traendone forza e nutrimento per ravvivare il fuoco della propria e altrui esistenza, credendo che esso non ha precedenti alcuni.
EMILIA DI MASSIMO