Di Massimo Emilia
La scelta di ogni giorno
2021/9, p. 1
La legge naturale iscritta nel cuore umano è quella della fraternità, una verità che il Covid-19 ha potentemente portato in primo piano, evidenziando che la persona è fondamentalmente “relazione”, come esaustivamente e con una olistica analisi si evince dall’enciclica Fratelli tutti.

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FRATERNI O FRATELLI?
La scelta di ogni giorno
La legge naturale iscritta nel cuore umano è quella della fraternità, una verità che il Covid-19 ha potentemente portato in primo piano, evidenziando che la persona è fondamentalmente “relazione”, come esaustivamente e con una olistica analisi si evince dall’enciclica Fratelli tutti. La vita consacrata - riflette in queste pagine la salesiana sr. Emilia Di Massimo -, inserendosi nel valore della fraternità universale, attualmente ha la straordinaria opportunità di essere particolarmente significativa vivendo in modo prioritario le relazioni con lo stile del buon samaritano, oltre vicinanza e prossimità, continuando a sognare, prendendo contatto con la realtà, vivendo l’incontro come pienezza di umanità e di umanizzazione.
La verità che tutto sia in relazione, che ogni essere umano sia connesso con l’altro, è balzata in primo piano con la pandemia la quale, pur nella sua tragicità, ha messo a nudo fragilità e debolezze ma rilasciando in superficie il valore dei rapporti interpersonali, del legame indissolubile, invisibile ma reale, tra gli esseri umani, ricordando loro la cifra preziosa della comunione, della famiglia universale. Indirettamente il virus ha tracciato un nuovo stile di vita indicando il valore di una fraternità aperta e senza alcuna frontiera. Sembra che sia questo il cuore dell’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco, ma occorre precisare che il Pontefice non si propone di fornire una «dottrina sull’amore fraterno bensì desidera soffermarsi sulla sua dimensione universale, sulla sua apertura a tutti di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri» per essere «in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole» (Fratelli tutti n. 6). Un sogno audace quello che Francesco declina concretamente nell’enciclica perché diventi realtà, non evasione dal quotidiano, apre svariati interrogativi e riflessioni, chiede un cambiamento radicale della mente, del cuore, dell’esistenza, anche ai consacrati i quali vivono le maggiori difficoltà proprio all’interno della vita fraterna; pertanto proviamo a comprendere che cosa si intende per fraternità alla luce di quanto suggerisce papa Francesco.
In base sia al titolo dell’enciclica sia del sottotitolo (“Sulla fraternità e l’amicizia sociale”) è forse necessario chiarire che fraternità e fratellanza non sono sinonimi, come ben spiega il vocabolario Treccani precisando che fraternità significa «affetto, accordo fraterno, soprattutto tra persone che non sono fratelli; è una fraternità spirituale, di sentimenti», mentre fratellanza indica «il rapporto naturale tra fratelli ed il vincolo d’affetto che li unisce; è un reciproco sentimento d’affetto e di benevolenza». La relativa spiegazione presenta delle differenze rivelanti: la fraternità trascende la sfera di un’ulteriore realtà, e dunque non è indipendente da essa ma è in un rapporto di reciprocità, esattamente il contrario della fratellanza che per sua definizione è immanente e, indicando l’appartenenza ad una stessa specie, crea legami soltanto con coloro che sono amici escludendo così gli altri. Il punto nodale è l’origine: la fraternità nasce da Dio come Padre di ogni essere umano, senza preferenza alcuna; vivere nella propria vita la relativa esperienza personale conduce gradatamente ad abbattere barriere e difese, a farsi prossimo considerando che «senza un’apertura al Padre di tutti non ci possono essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità». (Fratelli tutti n. 272).
Perché il bene sia comune
D’altro canto quando si smarrisce tale verità è più facile cadere nell’individualismo il quale «non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali. L’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune» (Fratelli tutti n.105). Tale affermazione, a differenza di quanto possa apparentemente sembrare, valorizza sia la libertà sia l’uguaglianza ma non le separa dalla fraternità per evitare che esse degenerino rispettivamente nella tendenza a far prevalere le esigenze del singolo rispetto a quelle della collettività, nell’adesione ai modelli dominanti della cultura contemporanea.
La fraternità si rivela come il valore supremo che conferisce spessore autentico sia alla libertà sia all’uguaglianza: infatti «che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore» (Fratelli tutti n.103).
La fraternità va anche oltre il concetto di solidarietà nel senso che essa non vuole affatto far diventare tutti uguali ma consente a ciascuno di essere unico, irripetibile e quindi diverso, dal momento che non si «ottiene definendo in astratto che “tutti gli esseri umani sono uguali”, bensì essa è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità. Coloro che sono capaci solamente di essere soci creano mondi chiusi. Che senso può avere in questo schema la persona che non appartiene alla cerchia dei soci e arriva sognando una vita migliore per sé e per la sua famiglia?» (Fratelli tutti n. 104). A riguardo si rende necessario ricordare che la cultura cristiana ha fatto nascere il principio di fraternità a livello istituzionale ed economico, lo ha trasformato in un pilastro dell’ordine sociale ma forse, lungo lo snodarsi del tempo, involontariamente le persone si sono concentrate prevalentemente sulla gestione amministrativa smarrendo sia la vision sia la mission che, ricevute come dono, avevano in sé, dovevano essere potenziate il più possibile. La struttura ha prevalso sulla vita fraterna, così come la forma ed ogni omologazione che ha mortificato l’umanità, facendo dimenticare che «abbiamo bisogno di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita. I santi sorprendono, spiazzano, perché la loro vita ci chiama a uscire dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante» (Gaudete et exsultate n.138) evitando così di ritrovarsi come Nikolaj Stavrogin, il protagonista del romanzo I demoni di Fëdor Dostoevskij, il quale chiede a se stesso: «qual è il mio vero volto?», rispondendo che è «l’aurea mediocrità: né sciocco, né intelligente». L’eccellenza e la grandezza sono il contrario di un’esistenza mediocre e forse si concretizzano risvegliando la vita dentro e fuori di sé, il proprio cuore, decidendosi ad essere samaritani capaci di compassione autentica perché hanno messo al centro della propria vita consacrata la fraternità come “la perla preziosa” nella quale ritrovare sempre radici profetiche. Nell’enciclica papa Francesco esorta ad agire insieme, a sognare insieme (Fratelli tutti n. 9), a «reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale» (Fratelli tutti n. 6) davanti ad ogni forma di discriminazione e di ingiustizia. Presumibilmente potrebbe essere questo il diverso orientamento della vita consacrata nella quale talvolta si sente di vivere non in una fraternità ma in un’azienda preoccupata più dell’economia che di incontrare il volto delle persone con le quali si condivide l’esistenza. D’altronde le regole imposte dal Covid-19 non hanno fatto sentire fortemente l’esigenza di aprirsi ad una visione relazionale dell’esistenza umana? Il messaggio è eloquente e molteplice: mai nessun mezzo di comunicazione digitale potrà sostituire la relazione umana, essa è l’elemento essenziale dal quale nessuna persona può prescindere. Dalle relazioni umane dipende la felicità autentica e duratura, dai legami che si sanno tessere con il sé più vero, con Dio, con il prossimo, e che si è capaci di fortificare mediante l’amore; ciò richiede di ricominciare ogni giorno nella consapevolezza che «siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente» (Fratelli tutti n.64).
È questo il solo antidoto per non continuare a voltare le spalle al dolore, per non essere indifferenti alla sofferenza propria e altrui, quella che permette che qualcuno viva ai bordi dell’esistenza e sia considerato uno scarto. La necessità di «rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune», è particolarmente urgente (Fratelli tutti n.67).
EMILIA DI MASSIMO
(continua)