Neri Marcello
Un rapporto imbarazzante
2021/9, p. 20
Biden rappresenta un imbarazzo per un certo modello di Chiesa americana, che si è andato via via distillando lungo i decenni e ha finito per creare due cattolicesimi così distinti da apparire quasi due religioni diverse tra di loro.

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VESCOVI USA – BIDEN
Un rapporto imbarazzante
Biden rappresenta un imbarazzo per un certo modello di Chiesa americana, che si è andato via via distillando lungo i decenni e ha finito per creare due cattolicesimi così distinti da apparire quasi due religioni diverse tra di loro.
Partiamo da un desiderio che non è diventato realtà: i vescovi americani, e larga parte del cattolicesimo statunitense, si sarebbero sentiti pienamente a loro agio con un secondo mandato Trump – anzi, forse si sarebbero addirittura riconosciuti in esso. Biden rappresenta, dunque, una sorta di corpo estraneo verso il quale non solo bisogna marcare la distanza pubblicamente, ma che dovrebbe essere anche in un qualche modo “espulso” dal corpo cattolico del paese – in modo tale da rendere pienamente evidente la non coincidenza tra il cattolicesimo a cui aspira la maggioranza del ceto episcopale e il cattolico di lungo corso Joe Biden.
Egli rappresenta un imbarazzo per un certo modello di Chiesa americana, che si è andato via via distillando lungo decenni di culture wars interne a essa e che hanno finito per creare due cattolicesimi così distinti da apparire quasi due religioni diverse tra di loro.
Biden un’opposizione al Papa?
Uno tra i più acuti osservatori del cattolicesimo statunitense, Massimo Faggioli (di cui consiglio la lettura del libro Joe Biden e il cattolicesimo negli Stati Uniti, Morcelliana 2021), ha affermato che lo scontro con Biden rappresenta una sorta di interfaccia della vera questione del contendere: ossia, un’opposizione netta e sfrontata al papato di Francesco (e all’idea di cattolicesimo globale che egli cerca di inoculare nella Chiesa contemporanea). Biden sarebbe, dunque, il fronte interno e più eclatante di una Chiesa statunitense che si pensa e agisce come alternativa alla Chiesa cattolica di Francesco.
Alternativa che può contare su un bacino di finanziamento economico pressoché illimitato e che lo usa ovunque per disegnare i contorni di una Chiesa cattolica altra e distinta da quella che si muove seguendo le indicazioni del vescovo di Roma. Molti i fronti aperti, molte le ambiguità al limite dello scisma che attraversano questa impresa, sostanzialmente finanziaria, di coagulare intorno all’immaginario ecclesiale della maggioranza dei vescovi USA ogni malumore e distinguo rispetto al corso di papa Francesco.
Non sempre, però, una disponibilità senza paragoni di fondi è garanzia sufficiente per l’imposizione della propria volontà. Basti pensare all’esito del tentativo dell’emissario di Trump, Steve Bannon, di confederare le destre illiberali dell’Europa occidentale (da Salvini a Le Pen, per farsi un’idea) sotto l’egida di un cattolicesimo oltranzista, sostanzialmente razzista e completamente impermeabile a qualsiasi rivendicazione di giustizia sociale. Oppure alla sfrontata intromissione dell’ex-segretario di stato Mike Pompeo sulla questione dei rapporti fra la Santa Sede e la Cina: un passaggio in cui l’amministrazione Trump, corrotta e amorale, avanzava la pretesa di impartire una lezione di moralità alla Chiesa cattolica. Con stile, e con una forza politica inaspettata, il segretario di Stato vaticano card. Parolin, col pieno appoggio di papa Francesco, non solo non ha degnato di una risposta il richiamo all’ordine (trumpiano) di Pompeo, ma ha mostrato a livello globale un’indipendenza della Santa Sede che è oggi un bene prezioso per tutta la comunità internazionale.
Le mani libere della Chiesa di Francesco
La Chiesa di Francesco non si identifica con nessun ordinamento egemone, per quanto esso possa camuffarsi con le vesti di un cattolicesimo capace di ammiccare ad ampie fette dei fedeli. Una parola in merito sarebbe stata invece doverosa da parte dei vescovi USA, ma essa non si è mai sentita (a parte alcune voci singole, non rappresentative della linea della maggioranza del corpo episcopale). Un velo di omertà che si è esteso lungo tutto il periodo fra il termine delle elezioni statunitensi e l’insediamento di Biden a presidente della Nazione. Tempo in cui Trump ha profuso ogni energia e risorsa per portare avanti una campagna di delegittimazione totale di quell’istituto democratico che sono le elezioni dei rappresentanti politici di un paese. Silenzio che ne avallava l’impianto e lo scopo, segnando il congedo definitivo dei vescovi americani e della loro Chiesa dalla connaturale sintonia con la forma democratica della convivenza civile e dall’idea dello stato di diritto che aveva caratterizzato il cattolicesimo statunitense almeno per tutto il XX secolo.
Anche la presa del Campidoglio, nel momento in cui Senato e Camera dei Rappresentanti sancivano la nomina di Biden a presidente degli Stati Uniti, istigata dallo stesso Trump, ha visto il triste spettacolo di un corpo episcopale sostanzialmente inerme e indifeso.
Nella forza di presa di posizione contro Biden circola, dunque, una subalternità (finanziaria e ideologica) dei vescovi USA, e del loro progetto ecclesiale, che la mina in radice – e la rende non solo problematica, ma anche pericolosa per la Chiesa cattolica nel suo complesso. Se Kennedy dovette lottare contro un immaginario americano che vedeva nel primo presidente cattolico della Nazione la soglia di un asservimento dell’esecutivo alle intromissioni del Vaticano, con Biden i termini si sono completamente rovesciati. Biden, davanti al paese, non deve dare nessuna prova di autonomia, proprio perché il problema non si è posto (per quanto ampie siano le sintonie tra il nuovo presidente e papa Francesco). Sono invece i vescovi americani che pagano ora il dazio del loro asservimento a un impianto politico e una visione delle relazioni internazionali che sono agli antipodi anche della più tenue versione della dottrina sociale della Chiesa. Vescovi oramai costretti a usare la dottrina cattolica per dare ragione di questo vassallaggio, strumentalizzandola al di là del lecito.
Il problema della “coerenza eucaristica”
La querelle sulla “coerenza eucaristica”, che è stato lo strumento scelto fin dal momento della elezione di Biden (con la costituzione di un comitato ad hoc in vista della redazione di un documento dottrinale che dovrebbe prevedere il rifiuto della comunione a ogni personaggio pubblico cattolico pro-choice) per gestire l’imbarazzo di un presidente cattolico devoto e frequentante, deve essere a mio avviso letta come questa distorsione politico-ideologica di un’istanza dottrinale della Chiesa.
La posizione di Biden rispetto alla legislazione sull’aborto è sostanzialmente la scusa dottrinale mediante la quale la larga maggioranza dei vescovi americani afferma la sua adesione, quasi devozionale, al trumpismo come asse portante dell’America da qui in avanti.
Un’adesione che garantisce sì una disponibilità finanziaria egemone rispetto alla Chiesa cattolica nel suo complesso, ma immiserisce anche quel mandato evangelico a cui una Chiesa locale non dovrebbe comunque sottrarsi. La lotta di questa ampia fetta di cattolicesimo statunitense contro papa Francesco è oramai all’arma bianca e va in cerca di alleanze strumentali che possano fungerne da cassa di risonanza. Una giuntura con il cattolicesimo dei paesi di Visegrad potrebbe creare un effetto di accerchiamento del Vaticano, che però sotto la guida di Francesco ha già esplicitamente fatto la sua scelta per una sponda virtuosa con l’Unione Europea quale perno diplomatico e geopolitico della presenza della Santa Sede sullo scacchiere globale.
Giuntura a cui il cattolicesimo di Visegrad aspira, anche perché i flussi di denaro verso le Chiese di questi paesi dell’Unione si sono drasticamente ridotti dopo il papato di Giovanni Paolo II; ma che potrebbe rivelarsi, nel migliore dei casi, un abbraccio effimero e strumentale e, nel peggiore, aprire le porte a un vassallaggio che rimarrà tale solo fino a quando sarà funzionale alla centrale statunitense – per essere poi semplicemente abbandonati al proprio destino, come cittadini e come cattolici.
Tra le molte gatte da pelare, il cattolico Biden dovrà anche trovare la strada per sbrogliare la matassa di questo intrico fra politica ecclesiastica e nuovo ordinamento mondiale. Nelle sue corde ha la sensibilità per farlo, bisognerà vedere se ne avrà la forza politica – che dipende sempre da contingenze spesso imprevedibili. Se quantomeno ci proverà, potrà trovare in Francesco una sponda sicura. Il tempo si è fatto breve – e non solo anagraficamente.
Marcello Neri