Ferreira Manuel Augusto Lopes
Quale futuro?
2021/7, p. 41
L’Europa cristiana riconosce ancora gli istituti missionari come espressione della propria missionarietà? Gli istituti hanno consapevolezza di appartenere alle Chiese del continente? Le due domande reggono lo studio dell’autore (p. Manuel Augusto Lopes Ferreira), ex-superiore generale dei Missionari comboniani.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
ISTITUTI MISSIONARI IN EUROPA
Quale futuro?
L’Europa cristiana riconosce ancora gli istituti missionari come espressione della propria missionarietà? Gli istituti hanno consapevolezza di appartenere alle Chiese del continente? Le due domande reggono lo studio dell’autore (p. Manuel Augusto Lopes Ferreira), ex-superiore generale dei Missionari comboniani.
Presentiamo alle nostre lettrici e lettori questo testo che, col permesso dell’autore, abbiamo accorciato, sacrificando in particolare le riflessioni più direttamente indirizzate ai confratelli comboniani. Per chi volesse leggerlo integrale rimandiamo al sito della congregazione (www.comboniani.org).
Il titolo che abbiamo adottato può portare qualche lettore ad una percezione affrettata, ancora prima di leggere il testo: che siamo preoccupati della sopravvivenza degli istituti missionari a causa della mancanza di vocazioni missionarie nell’Europa. Diciamo subito che non è questo il nostro punto di partenza, anche se, come vedremo, non si può evitare la questione della generalizzata mancanza di vocazioni missionarie in Europa, quando parliamo degli istituti missionari in questo continente.
Il nostro punto di partenza è un altro: la percezione di uno sradicamento degli Istituti missionari dalle Chiese locali d’Europa. Da una parte, sembra che le Chiese d’Europa non riconoscano più gli istituti missionari come loro espressione missionaria attualizzata e, dall’altra, sembra che gli istituti missionari si siano allontanati dalla sensibilità e dalla vita delle Chiese europee. Ovviamente, parliamo solo degli istituti missionari in Europa e non facciamo riferimento alla loro situazione in Africa, per esempio, dove la loro fecondità apostolica è evidente e l’inserzione nelle Chiese locali più facilitata e meno problematica.
Esaurimento carismatico
Gli istituti missionari in Europa sembrano essere arrivati ad una situazione di esaurimento apostolico; sembrano incerti anche per quanto riguarda l’identità del loro carisma nel contesto delle Chiese locali europee. Nei due ultimi decenni hanno sposato le pressanti cause del momento europeo (lobbying per la giustizia e la pace, migranti, lotta allo sfruttamento di persone, alla produzione di armi, difesa dell’ambiente ed ecologia…) ma non sono riusciti ad affermarsi come soggetti dell’evangelizzazione del continente, offrendo alle Chiese locali iniziative e percorsi di presenza e annuncio cristiano, di iniziazione e accompagnamento ecclesiale di persone e gruppi. Questo nostro riferimento all’esaurimento apostolico degli istituti missionari in Europa va anche collegato ad una perdita della spinta carismatica che caratterizza, secondo certe analisi storiche, la vita degli istituti dopo un certo tempo dalla loro fondazione. Alcune analisi parlano di cento anni e concludono che questa sarebbe la situazione degli istituti in Europa.
L’animazione missionaria e la promozione vocazionale sono rimaste l’ambito principale della presenza e attività dei missionari (anche dei comboniani) in Europa, negli ultimi vent’anni, portate avanti con un numero notevole di persone e una grande varietà di iniziative. Ma la sensazione crescente, in questo periodo, è che queste attività stiano perdendo terreno e il modello di presenza che incarnano non sia più aderente alla realtà ecclesiale.
L’ora del ritorno
Sotto molti aspetti, per gli istituti missionari in Europa, più che l’ora della partenza (dell’uscita), è l’ora del ritorno. Gran parte, infatti, delle attuali risorse, di persone e mezzi, degli istituti missionari in Europa va all’accoglienza dei missionari che ritornano nei loro paesi e Chiese d’origine, per ragione di età e/o di salute. Questa accoglienza è ammirevole e va riconosciuta e apprezzata, come una risposta positiva e molto bella da parte degli istituti alla sfida del proprio invecchiamento.
Negli ultimi due decenni, lo sradicamento degli istituti missionari in Europa è stato accentuato da due fattori: l’inadeguatezza delle strutture d’inserimento ereditate dal passato e l’invecchiamento dei membri. Mentre per il primo fattore si sono trovate delle risposte, non c’è stato modo di arginare il secondo.
Infatti, l’invecchiamento dei membri degli istituti missionari in Europa è precipitato inesorabilmente.
L’invecchiamento è un coltello a due lame: da una parte si invecchia e dall’altra diminuiscono i membri in età da poter operare una svolta apostolica e dar corpo a nuove iniziative carismatiche.
Quest’ora del ritorno può eventualmente essere anche l’ora di un nuovo ripartire, se le risorse umane e materiali non vengono esaurite nell’accoglienza, ma dirette anche alla ricerca di iniziative nuove di radicamento nelle Chiese locali, in vista di una rinnovata fecondità carismatica e apostolica. Alcune province comboniane però, come ad esempio la Spagna e il Portogallo, sembrano godere di una situazione migliore di quella italiana e tedesca perché, se è vero che hanno un numero minore di membri (45 il Portogallo e 43 la Spagna) dispongono però di un più significativo numero di confratelli nella fascia che va dai 30 ai 60 anni e vivono in un contesto ecclesiale ancora favorevole.
Un contesto sfidante
Il contesto sociale ed ecclesiale europeo in cui ci troviamo, cioè l’eventuale scenario per questa auspicabile svolta, è particolare: da una parte offre delle possibilità insite nella crisi, dall’altra, ridisegna il quadro dell’inserimento in modo nuovo. In questo senso, quattro sono i processi in corso, che contraddistinguono il contesto che gli istituti missionari vivono in Europa.
Il primo processo è ambivalente: l’inarrestabile processo di secolarizzazione che sta decostruendo la società europea e rinchiudendo la dimensione religiosa nella sfera individuale; l’allargarsi della “società liquida” (), che segna l’ambiente postcristiano che si respira in Europa, soprattutto tra i giovani. Un processo di cui tutti sembriamo consapevoli, ma al quale non si vede risposta, per quanto riguarda l’evangelizzazione (). L’iniziativa della nuova evangelizzazione [l’idea della nuova evangelizzazione fu lanciata da Giovanni Paolo II (), pensando soprattutto all’evangelizzazione dell’Europa], con la creazione del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (), non ha decollato come risposta alla sfida: il Consiglio ha lasciato fuori gli istituti missionari, le sue iniziative presto hanno perso vigore, riducendosi ad una sponda burocratica di approdo per un nuovo gruppo di curiali.
Con il pontificato di papa Francesco, ha preso iniziativa e protagonismo il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale () che, in pieno anno della pandemia, è riuscito a farsi approvare dal Papa un’intensa agenda di attività e incontri, facendola passare come risposta del momento alla sfida dell’evangelizzazione. Stavolta, gli istituti missionari sembra riescano ad agganciarsi a queste iniziative, data la sintonia con le dimensioni della missione da essi sottolineate in Europa.
L’altra iniziativa, lanciata sempre da Giovanni Paolo II, pensando all’evangelizzazione dei giovani (le Giornate Mondiali della Gioventù) e che ha visto il coinvolgimento di parrocchie, movimenti, nuove comunità, non è riuscita a interessare gli istituti missionari in Europa. Questi, in generale, si sono tenuti ai margini di queste iniziative e non hanno investito nella loro realizzazione né capitalizzato nei dinamismi che esse hanno generato tra i giovani cristiani del continente.
Crisi economica e pandemia
Il secondo processo del contesto europeo è negativo: si tratta della crisi economica iniziata nel 2008, che ha innescato una bomba a orologeria nella questione delle risorse e della sostenibilità degli istituti missionari e delle loro iniziative missionarie, con l’inizio di una diminuzione molto significativa del supporto materiale da parte di benefattori individuali e istituzionali in Europa.
Il terzo processo, chiaramente positivo, è il pontificato di papa Francesco, che ha offerto agli istituti missionari un magistero favorevole, rinnovato e attraente, sull’attualità del carisma missionario, con la sua proposta di una configurazione missionaria di tutta la Chiesa (). L’azione e il magistero di Francesco hanno una doppia valenza: di de-costruzione di un modello di Chiesa e di missione in crisi e di proposta di un modello alternativo (). E, anche se l’attuale pontefice appare più efficace nel lavoro di “picconatore” che di “propositore” effettivo (), la sua azione e il suo magistero costituiscono una promessa per tutti nella Chiesa, in particolare per gli istituti missionari. Naturalmente, sta a loro esplorare e appropriarsi, secondo il proprio carisma e le proprie possibilità, della proposta e della narrativa missionaria del Papa.
Quarto processo, difficile (ancora) da caratterizzare, è la pandemia che si è abbattuta sull’Europa, come sugli altri continenti. Con modi, tempi e ritmi differenti, la pandemia ha capovolto la vita di tutti e messo in sospeso il futuro. In particolare, ha intaccato il paradigma di inserzione degli istituti missionari nelle Chiese d’Europa, inserimento che faceva leva sulla mobilità dei missionari e sulla convocazione di persone e raccolta di aiuti. Gli istituti, come d’altronde le chiese nel continente, si sono rivelati piuttosto incapaci di andare oltre quello che tutti dicono e dire quella Parola di Vita che aiuti a trovare senso a quello che viviamo e a dare risposte alle incertezze che ci sono covate dentro di noi. Questa parola è la parola che porta il Vangelo del Regno e la sua testimonianza e annuncio sono stati sempre chiamati evangelizzazione.
Considerare le origini
Papa Francesco, in varie occasioni, ci ha invitato a guardare alla storia per far luce sul presente. Vorrei riprendere il suo ultimo richiamo (): “Solo dalla verità storica dei fatti potrà nascere lo sforzo permanente e duraturo di comprendersi a vicenda e di tentare una nuova sintesi per il bene di tutti”.
Nati nell’Ottocento, in particolare nelle Chiese del centro Europa (nord Italia, Francia, Austria e Germania…), con un inquadramento canonico diversificato (Società di Vita Apostolica e Congregazioni Religiose di voti semplici…), gli Istituti Missionari ad Gentes hanno operato su tre postulati fondamentali: 1º, l’urgenza dell’annuncio cristiano e la necessità del Battesimo, in obbedienza al mandato missionario di Cristo; 2º, l’avviamento e accompagnamento delle comunità cristiane, le Chiese locali, nei vari continenti; 3º, l’azione a favore dello sviluppo umano e la trasformazione sociale, politica ed economica dei popoli.
Dietro la fioritura degli istituti missionari troviamo una molteplicità di fattori, già studiati da storici della Chiesa ().
Primo fattore, l’ampio movimento missionario dell’Ottocento, che incarnò l’apertura più significativa della Chiesa del tempo. Non si trattò di una fuga in avanti, ma di un vero “andare alle periferie”, di un “vivere i dinamismi di una Chiesa in uscita”, per usare le parole che papa Francesco usa oggi (). I fondatori missionari – e quanti li hanno seguiti nell’avventura di andare oltre e cercare un nuovo rapporto con i popoli, con le loro culture e religioni – si sono rifiutati di restare prigionieri delle tensioni della Chiesa del loro tempo e del loro spazio geografico e si sono lanciati in iniziative missionarie innovatrici. Nel loro amore e nella loro adesione alla Chiesa, hanno intuito che i tempi stavano cambiando, ma i cammini nuovi per la nuova uscita ecclesiale non si conoscevano, bisognava scoprirli per dare loro concretezza storica. Cioè, sfondare per fondare qualcosa di nuovo…
Secondo fattore, il supporto spirituale e materiale dei gruppi di rinnovamento nella Chiesa dell’Ottocento. L’Ottocento ha visto fiorire in Europa una galassia di gruppi e movimenti di preghiera e vita cristiana, a cui i fondatori hanno attinto ispirazione e nutrimento spirituale, trovando i modi di inserirsi in questo tessuto delle Chiese locali irrigato da forte lievito di rinnovamento.
Terzo fattore, l’idealismo della trasformazione sociale ispirata al Vangelo. Nell’Ottocento, si partiva dall’esperienza cristiana, dalla liturgia e della vita sacramentale, per portare il Vangelo alla società e innescare la trasformazione sociale e culturale ad esso ispirata. Oggi, la prospettiva è differente e si parte dalla realtà per arrivare al Vangelo, da calare in essa come lievito. Ma la sfida è la stessa e nell’Ottocento è stata una prospettiva vincente, se guardiamo all’ottimismo che ha spinto tanti cristiani in Europa ad appassionarsi alla trasformazione sociale ispirata al Vangelo e a portare il Vangelo del Regno in Africa e Asia. Alcuni pensatori collocano in questa visione le radici del cristianesimo segnato da una forte dimensione sociale che ha caratterizzato la Chiesa dell’Europa (Francia, Italia del nord, Germania, Austria…) dalla fine del secolo XIX agli anni ’70 del secolo XX () e che ha avuto nell’Azione Cattolica (con il suo metodo del vedere, giudicare ed agire proposto da Joseph-Leon Cardijn) la sua espressione più strutturata.
Quarto fattore, l’alleanza tra clero (molti protagonisti di iniziative missionarie venivano dal clero diocesano) e laici (artigiani e così chiamati “maestri di uffici”…), un’alleanza dove i laici erano talvolta i più numerosi nelle spedizioni missionarie, in un tempo e in una Chiesa che non era ancora arrivata alla teologia ministeriale e alla definizione della missione del laicato.
Quinto fattore, ultimo in quest’ordine, ma forse primo per la novità e l’importanza: l’alleanza con le donne e il coinvolgimento delle donne nell’iniziativa missionaria e nella promozione dell’iniziative missionarie della Chiesa e degli istituti nascenti. Per la prima volta, nell’Ottocento, troviamo le donne in prima linea nella missione cristiana nel mondo e nell’animazione missionaria della Chiesa ().
Contributo fondamentale e capovolgimento
Possiamo concludere questo sguardo storico dicendo che gli istituti missionari, liberi da vecchi inquadramenti canonici e dal peso di tradizioni che appesantivano l’azione missionaria dei grandi ordini religiosi, hanno rappresentato novità di approccio e di metodologie missionarie e hanno dato una notevole spinta all’azione missionaria della Chiesa cattolica, fino a diventare la manifestazione più significativa della sua apertura al mondo, dall’Ottocento fino al Vaticano II, spingendo verso la costituzione delle Chiese locali e la promozione e liberazione dei popoli.
La fine del secolo XX e il passaggio al XXI hanno accentuato un capovolgimento nella situazione degli istituti missionari in Europa, mettendo in evidenza la crisi del loro inquadramento nelle Chiese locali in cui erano nati. I fattori fondamentali che preannunciavano una situazione nuova si possono ridurre anche qui a quattro.
Primo fattore, al quale abbiamo già accennato, l’invecchiamento dei membri degli istituti e l’accentuata, prima, e poi, totale mancanza di vocazioni missionarie, sia femminili che maschili, in Europa. Le province comboniane europee sono arrivate alla fine della seconda decade del secolo senza nessun candidato nelle varie fasi della formazione. Di fronte a questa sorprendente mancanza di vocazioni, tutti abbiamo sentito la risposta che abitualmente ci diamo: “non abbiamo vocazioni, perché non ci sono più vocazioni in Europa”. Ma questa risposta contiene solo una mezza verità: non ci sono vocazioni in Europa per gli istituti missionari, per noi, ma ci sono per le nuove comunità e movimenti; non ci sono i numeri di una volta, ma ci sono i numeri significativi e incoraggianti per movimenti, diocesi, istituti che hanno intrapreso un cammino di ricerca di vie nuove di radicamento carismatico nel tessuto ecclesiale e sociale europeo.
Secondo fattore, l’avvento di una nuova coscienza ecclesiale che (per ragioni varie che hanno a che vedere col dialogo ecumenico e interreligioso) non ritiene più urgenti né il battesimo né l’entrata nella Chiesa di persone e popoli. La necessità del battesimo e della Chiesa per la salvezza si è affievolita ed essi non costituiscono più parte determinante delle motivazioni per l’evangelizzazione. I modelli dell’ecclesiologia che si sono affermati, dopo il Concilio Vaticano II, non sono riusciti ad assicurare alla missione cristiana il supporto offerto dal modello istituzionale, prevalente nella ecclesiologia dalla metà del secolo XIX alla metà del secolo XX, cioè dal Vaticano I al Vaticano II, che dava “un forte sostegno allo sforzo missionario con il quale la chiesa va verso quelli che non sono suoi membri” (). Al contrario dell’ecclesiologia istituzionale, che dominò nell’Ottocento, la ecclesiologia di comunione che si sviluppò dopo il Vaticano II “manca nel dare ai cristiani un senso molto chiaro della loro identità o missione (…), la motivazione per la missione cristiana è lasciata nell’ombra” (). E l’ecclesiologia sacramentale postconciliare è un modello di Chiesa che “dà ampio spazio all’agire della grazia divina al di là dei confini della Chiesa istituzionale.”
Terzo, l’emergenza della società civile e dei suoi dinamismi umanitari, che hanno fatto sorgere forme nuove d’intervento a favore dello sviluppo e della promozione umana. Nei vari continenti, anche in Africa, sono sorte un’infinità di organizzazioni non governative (ONG) che rispondono alle sfide dello sviluppo e delle nuove cause umanitarie. Questo fenomeno ha reso ridondante l’impegno delle Chiese e ridotto di molto lo spazio e le opportunità di coinvolgimento degli istituti missionari nel campo sociale: per iniziativa propria, o forzati da politiche governative, gli istituti missionari hanno abbandonato le strutture del loro impegno (ospedali, scuole…) nella promozione della salute e dell’educazione.
Quarto fattore, anch’esso già menzionato, la mancanza di radicamento degli istituti nelle Chiese d’Europa. Per ironia del destino e della storia, all’inizio del secolo XXI gli istituti missionari si trovano agli antipodi della situazione che li ha visti nascere, sprovvisti, cioè, dell’appoggio delle Chiese locali e dei principali gruppi e comunità di rinnovamento ecclesiale.
Come mai qui?
Siamo arrivati qui, per due vie. Da una parte, Chiese locali e movimenti di rinnovamento hanno richiamato a se stessi la missione, in linea con la visione del Vaticano II che vede le Chiese locali come soggetto e protagoniste della missione cristiana nel mondo. Dall’altra, gli istituti missionari hanno perso per strada la capacità di radicarsi nelle Chiese locali, nei gruppi e movimenti, attratti da visioni e pratiche missionarie proprie, in linea con la sensibilità sociale e politica del momento, ma lontane dal cammino delle Chiese locali.
La ricezione del Vaticano II ha favorito, negli anni ‘70 del secolo scorso, un intercambio di spiritualità ed esperienze apostoliche tra i vari istituti missionari e tra questi e i nuovi movimenti ecclesiali (Focolari, Neocatecumenali, Rinnovamento nello Spirito, Comunione e Liberazione…). Come ha favorito un arricchimento vicendevole di personalità e testimonianze (Roger Schutz a Taizé, Abbé Pierre in Francia, Mani Tese in Italia…) che hanno ispirato l’immaginario dei cristiani di quegli anni.
La conoscenza della propria storia e l’approfondimento del proprio carisma () rendeva sicuri di questa esposizione ai carismi altrui. Ma c’era il rischio che l’esposizione al carisma degli altri facesse sbandare, piuttosto che arricchire. Per quanto riguarda noi, questo è successo con i Neocatecumenali e un gruppo significativo di comboniani che, negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, hanno abbandonato l’Istituto per seguire il Cammino Neocatecumenale.
Nel XIII Capitolo Generale dei missionari Comboniani, del 1985, si è presa la decisione di porre fine a questo scambio e frequentazione carismatica reciproca (). Da una parte, si è salvata l’identità del carisma missionario comboniano ma, dall’altra, ci si è privati della ricchezza altrui e si è imboccato un percorso missionario più solitario. A dire il vero, la frequentazione spirituale è continuata (soprattutto con i Focolari e Comunione e Liberazione…), ma in forma individuale e “sotterranea”. Allora, ci sembrava di essere sufficientemente forti per andare avanti da soli, sicuri del nostro carisma e della sua attualità; oggi vediamo i limiti, se non del percorso fatto, della situazione in cui siamo venuti a trovarci.
Altri due elementi hanno contribuito a farci arrivare dove siamo, e vanno ricordati, anche se brevemente.
Primo, il senso di appartenenza formale all’Istituto e la crescente mancanza di una forte coscienza di missione condivisa. Per molti aspetti, è cresciuto un senso di appartenenza formale che tende a vedere l’Istituto come mezzo per realizzare una vocazione intesa come progetto personale. L’accento della vocazione missionaria si è spostato sulla persona, sui suoi doni e carismi personali, con la conseguente riduzione della coscienza di una missione comune, realizzata in fraternità e nella condivisione di vedute e mezzi.
Secondo, le ambiguità delle scelte fatte in vista di un rinnovato inserimento in Europa. Le opzioni fatte (parrocchie, impegni coi migranti, giustizia e pace…), nonostante il loro valore di presenza e di testimonianza, non si sono affermate come eclatanti forme di radicamento carismatico, capaci di ottenere riconoscimento ecclesiale e forza di attrazione carismatica. Da questa ricerca non è uscito, per esempio, un movimento missionario significativo nelle Chiese d’Europa, sostenuto dagli istituti missionari; ogni Istituto si è adattato da sé, con dinamiche di sopravvivenza immediata.
Proposte per un nuovo percorso
A questo punto, però, sarà il caso, forse, di offrire, almeno per la discussione e tenendo presente il prossimo futuro, alcune proposte per un eventuale percorso che cerchi un nuovo radicamento dei comboniani in Europa e un rinnovamento del loro carisma e della loro fecondità apostolica.
Prima proposta: realizzare, in ogni provincia, un’assemblea-dibattito sul futuro dell’Istituto nella propria Chiesa locale e paese, aperta a chiunque voglia partecipare e senta il problema. Un’eventuale assemblea, a livello delle province d’Europa, può avere luogo in seguito, per portare avanti la riflessione su una piattaforma comune, cioè, per individuare eventuali punti di contatto e differenze.
Seconda proposta: promuovere il senso dell’appartenenza, all’Istituto e alla Chiesa locale, dei membri dell’Istituto, cercando uno statuto di doppia appartenenza canonica al presbiterio diocesano, per i membri sacerdoti, in ogni Chiesa locale in cui siamo presenti.
Terza proposta: nella ricerca di una spiritualità e di una visione missionaria rinnovate, aprirsi ad una condivisione di esperienze carismatiche, oltre che con gli istituti religiosi a noi tradizionalmente collegati (come i Gesuiti…), con le nuove comunità e movimenti.
Quarta proposta: studiare la creazione, in ogni provincia, di una comunità di accoglienza (sul modello dei centri di spiritualità e iniziazione cristiana dei movimenti, Focolari, Taizé, Comunità dell’Emmanuele, Schoenstatt…) che possa accogliere, per periodi di durata variabile, giovani e adulti interessati alla conoscenza e all’iniziazione al servizio missionario nella Chiesa e al carisma missionario comboniano.
Quinta proposta: costruire un percorso formativo rinnovato, impostato su una linea mistagogica () di iniziazione alla vita cristiana, alla vita fraterna per la missione, alla missione condivisa e alle varie dimensioni della missione oggi, come forma di iniziazione al carisma comboniano e alla missione delle persone e dei giovani attratti dal nostro carisma.
Sesta proposta: costituire un gruppo di studio, a livello degli Istituti della famiglia comboniana, per interessare i membri alla questione del futuro in Europa e del nostro radicamento nelle Chiese locali europee.
Altri elementi da includere
Cercando di avviare la nostra riflessione verso una conclusione, vediamo che ci sono ancora altri elementi da includere, anche solo menzionandoli.
Primo, la questione della spiritualità missionaria e la qualità della testimonianza, personale e comunitaria, che i membri degli istituti missionari danno nelle Chiese d’Europa. Alcuni di noi pensano che la causa del presente esaurimento carismatico e apostolico sia da ricercare nella mancanza di spiritualità e nella debolezza della testimonianza.
Conveniamo che, se è difficile verificare e misurare questi due aspetti della nostra vita, è possibile, comunque, affermare che queste due dimensioni stanno alla radice di ogni fecondità apostolica e di ogni radicamento ecclesiale, come d’altronde dimostra la storia degli istituti missionari.
Daniele Comboni cercava, per i missionari e le missionarie dei suoi Istituti, una spiritualità elevata, robusta, all’altezza delle difficoltà della missione africana; l’ha trovata nella contemplazione del Cuore trafitto di Cristo e nella mistica del cenacolo di apostoli e l’ha proposta ai suoi missionari/e come fonte inesauribile di fecondità personale e apostolica. Gli istituti comboniani sono nati da questo filone di spiritualità dell’Ottocento e, per decenni, fino alla prima parte del Novecento, hanno alimentato a questo torrente spirituale la loro vita fraterna e apostolica.
Poi, c’è stato un allontanamento crescente da questa spiritualità, che non possiamo spiegare qui, ma solo indicare come fatto. Sotto questo aspetto, abbiamo fatto un po’ come tutta la Chiesa, che dopo il Concilio si è allontanata da questa spiritualità e sensibilità religiosa. Uno spostamento naturale, alla luce delle nuove sensibilità della seconda metà del Novecento ma comunque sorprendente, soprattutto trattandosi di una spiritualità molto diffusa, che ha segnato in modo fecondo la vita e la missione della Chiesa per oltre un secolo.
Sacro Cuore
In questo senso, con molti nella Chiesa, dobbiamo domandarci quale sia il futuro della spiritualità del Sacro Cuore (). E domandarci anche se il nostro futuro e il nostro radicamento nelle Chiese locali d’Europa non dipendano proprio dalla nostra spiritualità – del Cuore trafitto – dovutamente integrata nelle sensibilità odierne. Forse l’abbiamo scartata troppo in fretta, considerandola inadeguata a costituire l’humus spirituale di una nuova stagione carismatica. Ricordiamo che in Europa abbiamo almeno una situazione in cui la spiritualità del Cuore di Cristo si è rivelata feconda apostolicamente: ci riferiamo al movimento e alla Communauté de l’Emmanuel, nata in Francia, che ha trovato e alimenta la sua fecondità carismatica e apostolica precisamente a Paray-Le-Monial.
Il secondo elemento da considerare è l’attuale contesto interculturale degli istituti missionari, nel caso dei comboniani assai evidente e accentuato dal passaggio del secolo. Oggi l’Istituto è multiculturale, si è aperto a una varietà di anime (prima latino-americana, adesso africana e asiatica) che l’hanno molto arricchito. Il radicamento dell’Istituto comboniano nelle Chiese d’Europa non può prescindere da questo contesto né essere pensato senza questo riferimento che porta a interrogarsi sul ruolo e sul contributo dei comboniani non europei alla vita dell’Istituto nel vecchio continente.
Non ignoriamo le cose belle della nostra storia in Europa e di certo non si vuole “spegnere la fiamma smorta” (). Vogliamo, invece, ravvivarla, soffiare sul fuoco del carisma, nascosto e sepolto sotto le ceneri della nostra storia recente e dalle nevicate che si abbattono sul cristianesimo europeo, tra crisi e sbandamenti di vario genere. ().
MANUEL AUGUSTO LOPES FERREIRA, MCCJ