Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2021/7, p. 38
MYANMAR Un genocidio a ritmo lento SIRIA Mar Musa: così continuiamo l’opera di p. Dall’Oglio VATICANO Giornata mondiale dei poveri

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Testimoni
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Myanmar
Un genocidio a ritmo lento
È guerra civile in Myanmar. Come informa Chiara Biagioni nell’Agenzia SIR (10 Giugno 2021), aumentano le persone in fuga dagli attacchi sproporzionati e violenti dei militari. Nella giungla, donne e bambini faticano a sopravvivere. Nella mancanza di cibo, igiene, acqua pulita, il rischio è la diffusione di malaria e dissenteria. I militari bloccano anche l’accesso agli aiuti umanitari. Due volontari sono stati uccisi mentre portavano sul motorino gli aiuti agli sfollati. Un “genocidio a ritmo lento”, dice padre Maurice Moe Aung, missionario originario di Loikaw che opera in Italia. “Se non vengono aiutati dalla Chiesa, gli sfollati non hanno nessuna speranza di sopravvivere”. Dalla presa del potere da parte della giunta militare con il golpe del 1 febbraio – informa p. Maurice, – si è purtroppo riaperto in Myanmar un altro fronte mai del tutto risolto: il conflitto contro le autonomie etniche regionali, facendo ripiombare il Paese sul baratro di una guerra civile diffusa. È quanto sta succedendo nello Stato del Karen, al confine con la Thailandia, nello stato di Chin, al confine con l’India, nello Stato del Kachin e del Kayah. Dappertutto sono in corso violenti scontri tra le forze della giunta e le Forze di difesa del popolo (il People’s Defence Force) formate da combattenti della resistenza civile. E dappertutto sono in aumento gli sfollati. “Si può usare il temine genocidio”, dice padre Maurice, “per la violenza sproporzionata che viene usata, per gli attacchi incondizionati anche contro donne e bambini, per l’uso delle armi. Stanno dividendo il popolo, mettendo uno contro l’altro, buddisti contro musulmani, etnia contro etnia. Ma c’è una differenza rispetto al passato: la gente per fortuna conosce questi vecchi metodi e non si lascia dividere. Il popolo è molto più unito di prima, non c’è distinzione di razza e di fede nella lotta per la pace e la democrazia”.
La popolazione nello Stato del Kayah è a maggioranza cattolica e per questo la Chiesa qui è in prima linea nell’aiuto alla popolazione, attraverso l’allestimento e la gestione di campi profughi, distribuzione di cibo e medicine. “Sono sempre di più le persone che decidono di lasciare le proprie case perché non si sentono al sicuro e senza l’aiuto della Chiesa locale, la gente non avrebbe la possibilità di sopravvivere”. Volontari e religiosi stanno cercando di distribuire gli aiuti che arrivano dall’estero ma è difficilissimo. I militari hanno bloccato l’accesso agli aiuti umanitari. “Solo noi preti con la veste talare, la bandiera bianca e il permesso possiamo muoverci ma non riusciamo a raggiungere tutti i luoghi. Arriviamo quindi nei villaggi più vicini, poi loro si organizzano per la distribuzione nei campi. Arrivano anche a piedi caricandosi i sacchi sulle spalle. Alcuni giorni fa, due ragazzi sono morti mentre portavano con i motorini gli aiuti agli sfollati. Hanno sparato anche dentro una casa per anziani gestita dalle suore”.
A nulla purtroppo è servito il Vertice in aprile dei dieci Paesi Asean sulla crisi birmana dove era stato raggiunto un “consenso in cinque punti”. L’accordo chiedeva innanzitutto “la cessazione immediata della violenza in Myanmar” e “la massima moderazione”. L’Asean esortava tutte le parti a iniziare un dialogo costruttivo per “cercare una soluzione pacifica nell’interesse del popolo”. E infine si era deciso di mandare un inviato speciale per facilitare la mediazione. “Il nostro appello – dice padre Maurice – è sempre lo stesso: che cessino di usare le armi e si ritorni ad un dialogo civile. Ma i militari sono duri di cuore e non vogliono rispettare gli accordi. E le prospettive per i bimbi rifugiati nella giungla? Prospettive non ce ne sono. Se non vengono aiutati dalla Chiesa non hanno nessuna speranza. “Sì, è un genocidio a ritmo lento”.
Siria
Mar Musa: così continuiamo l'opera di p. Dall'Oglio
La comunità monastica di Mar Musa, fondata dal gesuita romano, p. Dall'Oglio, scomparso a Raqqa nel 2013, e di cui non si è saputo più niente, è tornata a vivere. Come scrive Chiara Zappa in Asia News, (15 giugno 2021) è stato celebrato nei mesi scorsi il Capitolo generale in cui è risultato eletto fra' Jihad Youssef come nuovo abate del monastero di Mar Musa in Siria e della Comunità monastica di Ibrahim al-Khalil (Abramo l’Amico di Dio), presente anche a Cori (Latina) e a Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno.
Fra’ Jihad , siriano, sostituisce suor Houda Fadoul, ed è tra i compagni di lungo corso del gesuita romano che nel 1982 ha rifondato l’antica struttura di Deir Mar Musa el-Habashi (monastero di San Mosè l’Abissino) nei pressi della cittadina di Nebek, un’ottantina di chilometri a nord di Damasco. Nel 1991 vi ha creato una comunità ecumenica mista votata al dialogo con l’islam, che oggi riunisce otto tra monaci e monache più un novizio. Ecco una sua breve intervista:
Fra’ Jihad, quali sono le attività che promuovete oggi in Siria?
Nel monastero di Mar Musa continua il piccolo progetto per salvaguardare la biodiversità della valle, che comprende una coltivazione di olivi e un vivaio in cui alcuni agronomi hanno portato avanti esperimenti e ricerche. L’accoglienza, che è uno dei nostri pilastri insieme alla preghiera e al lavoro manuale, è purtroppo sospesa da marzo 2020 per la pandemia da coronavirus. Durante il Capitolo abbiamo discusso però su tempi e modi per riaprire le porte ai pellegrini. Nella cittadina di Nebek, oltre a mantenere la scuola di musica per i ragazzi e l’asilo per i bambini, a causa delle conseguenze della guerra abbiamo dovuto dedicarci a numerose iniziative di aiuto umanitario, soprattutto al supporto per le spese mediche delle famiglie più bisognose. Ci occupiamo anche degli sfollati di Qarytayn, dove sorgeva il nostro monastero di Mar Elian, distrutto dagli islamisti nel 2015, e dei poveri nella zona di Homs, mentre continua il sostegno agli studenti universitari: una quarantina che frequentano i corsi in Italia e una trentina qui in Siria.
Come si vive oggi in Siria?
Il popolo è stanco della guerra, diviso e abbandonato dalla comunità internazionale, che anzi lo vessa con le sanzioni e l’embargo; è ostaggio della corruzione diffusa e della sfiducia verso le istituzioni. Soffre la fame, la povertà, la mancanza di lavoro e l’assenza di una visione per un futuro libero dall’odio e dai risentimenti incrociati.
Qual è invece l’impegno della vostra comunità nel Kurdistan iracheno e a Cori, in Italia?
A Sulaymaniyah, nel monastero della Beata Vergine Maria, stiamo restaurando la chiesa. Per noi andare dove ci sono luoghi di preghiera da ricostruire è una vocazione. Lì, oltre a varie iniziative di sostegno ai poveri, portiamo avanti un progetto culturale molto ampio e articolato al servizio anche degli sfollati da varie zone dell’Iraq, che include lezioni di lingua (arabo, curdo e inglese), pittura, letteratura, una scuola di teatro. E poi corsi di sartoria e di artigianato, attività di formazione per educatori, catechismo, giochi e doposcuola per i bambini, soprattutto profughi, corsi di alfabetizzazione e interventi di counseling. A Cori risiedono invece i monaci e le monache impegnati nello studio. Anche qui è in fase molto avanzata il restauro della chiesa, lesionata durante la Seconda guerra mondiale.
Quali sono stati gli altri temi al centro del vostro Capitolo?
Abbiamo riflettuto su molti aspetti della nostra vita spirituale e comunitaria, come l’importanza del silenzio meditativo in dialogo con lo stile sufi, ma anche dell’incontro di condivisione settimanale. Ci siamo concentrati anche su come portare avanti il carisma affidato dal Signore a p. Paolo. Una delle linee guida più importanti emerse riguarda il ruolo centrale dei laici, sia nella Chiesa sia nella nostra Comunità: vogliamo dunque trovare il modo di allargarci, come la tenda della profezia di Isaia.
Vaticano
Giornata mondiale dei poveri
Per la quinta Giornata Mondiale dei poveri che quest’anno coinciderà con il 14 novembre, 33° Domenica del Tempo ordinario, papa Francesco ha emanato il Messaggio intitolato “I poveri li avete sempre con voi” (Mc 14,7).
Il volto di Dio che Egli rivela – scrive il Papa – è quello di un Padre per i poveri e vicino ai poveri....Non mi stanco di ripetere che i poveri sono veri evangelizzatori perché sono stati i primi ad essere evangelizzati e chiamati a condividere la beatitudine del Signore e il suo Regno (cfr Mt 5,3). Gesù non solo sta dalla parte dei poveri, ma condivide con loro la stessa sorte. Questo è un forte insegnamento anche per i suoi discepoli di ogni tempo. Le sue parole “i poveri li avete sempre con voi” stanno a indicare anche questo: la loro presenza in mezzo a noi è costante, ma non deve indurre a un’abitudine che diventa indifferenza, bensì coinvolgere in una condivisione di vita che non ammette deleghe.
Abbiamo bisogno, dunque, di aderire con piena convinzione all’invito del Signore: «Convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Questa conversione consiste in primo luogo nell’aprire il nostro cuore a riconoscere le molteplici espressioni di povertà e nel manifestare il Regno di Dio mediante uno stile di vita coerente con la fede che professiamo.
Il Vangelo di Cristo spinge ad avere un’attenzione del tutto particolare nei confronti dei poveri e chiede di riconoscere le molteplici, troppe forme di disordine morale e sociale che generano sempre nuove forme di povertà.
Rimane comunque aperto l’interrogativo per nulla ovvio: come è possibile dare una risposta tangibile ai milioni di poveri che spesso trovano come riscontro solo l’indifferenza quando non il fastidio? Quale via della giustizia è necessario percorrere perché le disuguaglianze sociali possano essere superate e sia restituita la dignità umana così spesso calpestata?
Si impone un differente approccio alla povertà. È una sfida che i Governi e le Istituzioni mondiali hanno bisogno di recepire con un lungimirante modello sociale, capace di andare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in maniera decisiva i prossimi decenni.
I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). È un invito a non perdere mai di vista l’opportunità che viene offerta per fare del bene. Sullo sfondo si può intravedere l’antico comando biblico: «Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso […], non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. […] Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano. Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra» (Dt 15,7-8.10-11). Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’apostolo Paolo quando esorta i cristiani delle sue comunità a soccorrere i poveri della prima comunità di Gerusalemme e a farlo «non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7).
È decisivo che si accresca la sensibilità per capire le esigenze dei poveri, sempre in mutamento come lo sono le condizioni di vita.
Mi auguro – conclude il Papa – che la Giornata Mondiale dei Poveri, giunta ormai alla sua quinta celebrazione, possa radicarsi sempre più nelle nostre Chiese locali e aprirsi a un movimento di evangelizzazione che incontri in prima istanza i poveri là dove si trovano. Non possiamo attendere che bussino alla nostra porta, è urgente che li raggiungiamo nelle loro case, negli ospedali e nelle residenze di assistenza, per le strade e negli angoli bui dove a volte si nascondono, nei centri di rifugio e di accoglienza.
a cura di ANTONIO DALL’OSTO