Antoniazzi Elsa
Il coinvolgimento del corpo nella preghiera
2021/7, p. 33
San Domenico, il grande predicatore, che con la sua parola ha mosso il cuore di molti, continua ad insegnare anche con il silenzio di immagini che lo ritraggono pregare in diverse posizioni.

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Testimoni
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L’ESEMPIO DI S. DOMENICO
Il coinvolgimento del corpo
nella preghiera
San Domenico, il grande predicatore, che con la sua parola ha mosso il cuore di molti, continua ad insegnare anche con il silenzio di immagini che lo ritraggono pregare in diverse posizioni.
Durante il processo di beatificazione tra il 1233 e il 1234 le testimonianze ricordarono come Domenico pregasse interrottamente, giorno e notte, con grande intensità.
Essa impressionò i testimoni e dalla comunità domenicana tra il XII secolo e il XIII si produsse il Codex Carcassonensis, un fascicoletto che i monaci potevano portare con sé, e che sarà tramandato, benché questo primo Codex sia smarrito.
In esso, come nelle versioni successive, si trattava della preghiera di san Domenico in cui erano presenti, e di cui facevano parte integrante del testo, le immagini che ritraevano il santo nelle diverse posizioni di preghiera: in questo modo si dava un ruolo ancora inedito all’illustrazione.
La preghiera con il corpo è elemento molto lontano dal nostro pregare quotidiano. Facilmente la questione viene messa nel calderone dell’intellettualismo occidentale. E ancor più spesso esso è contrapposto alla maggior espressività e significatività del corpo nelle espressioni di fede di altri continenti.
Corsi di danza liturgica, per esempio, rispondono al desiderio di uscire da un’oggettiva rigidità della nostra preghiera, che influisce molto innanzitutto anche sulla qualità liturgica. In effetti in questo ambito pochissimi sono i gesti significativi, cosicché spesso poi il tentativo di “muovere” l’assemblea è difficile e non raggiunge la profondità voluta.
Il manoscritto domenicano, invece, ci racconta un’altra storia e ci apre una via per una preghiera che coinvolga mente e corpo.
Innanzitutto ci incoraggia. Il rispetto delle culture è fondamentale e inventarsi trasformazioni che non tengano conto delle proprie radici non approda a buoni esiti, lo sanno i molti che vivono in contesti culturali diversi da quelli originari.
Guardare a queste immagini aiuta nella ricerca in se stessi di espressioni corporee che se hanno un significato universale, sono alfabeto comune da declinare con libertà e con la ricchezza delle proprie radici.
Questo esercizio in una società, e in una Chiesa che in Europa, ma non solo, vive una dimensione multietnica, non potrà che essere inizio di linguaggi inediti.
Le immagini che ritraggono San Domenico descrivono momenti di preghiera personali, ma ancora indicano un’attenzione profonda che può con tutta serietà dialogare con altre forme, non occidentali, di attenzione alla corporeità per la meditazione e la preghiera.
Non si tratta di tornare al medioevo, per cancellare il frutto anche di un prezioso dialogo tra religiosi delle diverse fedi e pratiche. Piuttosto ancora una volta sembra importante semplicemente non essere costretti a trasmigrazioni obbligate, e tornare a scoprire che l’intellettualismo occidentale nonostante tutto non è l’unica cifra dell’occidente.
Le posizioni di san Domenico non sono particolari e tuttavia sono importanti innanzi tutto per la loro intensità.
Un opuscolo per la preghiera
Chi legge queste righe sa bene il senso dello stare in piedi, piuttosto che inginocchiato. Tutti noi religiosi ci siamo prostrati almeno il giorno della professione perpetua.
Guardare queste immagini e pensare che svolgono un ruolo fondamentale di un opuscolo per la preghiera dei domenicani, ci aiuta a ricordare l’ovvio: il gesto ha una sua dignità, deve coinvolgere veramente il corpo.
Lo diciamo ai bimbi, ai ragazzi e qualche adulto che spesso fa un segno di croce come se scacciasse via le mosche e persino papa Francesco ne ha fatto oggetto di riflessione nell’udienza del 20 dicembre 2017.
Ma nel momento sicuramente devoto e intimo della nostra preghiera, il tema che fine fa?
Certo pensando all’arredo di molte cappelle o delle singole stanze non si vede come poter stare in altro modo che seduto, spesso abbastanza scomodamente su delle panche, oppure in ginocchio. In queste posizioni esprimiamo comunque degli atteggiamenti della nostra preghiera, ma tutto il resto, che da queste posizioni non è espresso, è sostenuto dal gesto e rischia di essere solo riflessione mentale.
Spesso poi, un poco da europei cartesiani, ancora riflettiamo sulle posizioni della nostra preghiera come strumento che non ostacoli ma che piuttosto aiuti il nostro pregare.
Vigilare sulla tentazione dualistica che abbiamo in noi potrebbe aiutare a vivere il semplice “stare” con il corpo già come preghiera; quanto aiuterebbe nei momenti in cui vorremmo un poco evitare la nostra mente sempre molto sollecitata da informazioni e per questo sempre in movimento.
Oppure, nel caso più serio, quando la salute non offre lucidità adeguata per una riflessione e talvolta non permette di “arrivare in fondo a un’Ave Maria”… lo stare può essere preghiera.
Potrebbe aiutare quando il corpo detta le sue regole, impedendo alcune posizioni perché orami non ci si può più inginocchiare, o il braccio non si alza. La memoria del momento in cui la preghiera era di tutta la persona lascia certo traccia indelebile e permette ancora di vivere la presenza a Dio, con il medesimo coinvolgimento, benché fermi.
Questo non ha età, ma possiamo anche pensare che quando il nostro corpo ha la meglio sulla mente e persino sul cuore, e talvolta basta poco, anche lo stare alla presenza del Signore con un corpo che reclama o che soffre ci apre la via al dialogo con Dio.
I movimenti hanno per lo più un senso universale, ed è proprio per questo che ad ognuno sta la libertà di individuare il movimento, la posizione che integri la propria preghiera.
Non si tratta quindi di tornare a imporre una ritualità, quanto piuttosto di aver presente che nella preghiera è importante poter vivere questo momento di profonda unità in cui con tutto noi stessi ci rapportiamo al Signore.
Le posizioni
Le immagini dell’opuscoletto sono sette, con nove posizioni, qui ne riportiamo tre, con cinque posizioni.
La preghiera inizia con l’inclinazione profonda. Inchino davanti all’altare, davanti al segno del discendere del Figlio verso di noi. La cifra fondamentale di questo avvio è l’umiltà che lo stesso santo evocava con diverse citazioni.
“La voce di silenzio” è l’espressione che meglio commenta questa immagine di Domenico e l’esperienza che viviamo inchinandoci profondamente di fronte al Signore.
È interessante che tra le posizioni ci sia anche quella che lo vede proprio intento a leggere la Scrittura. Riportiamo un brano dalla descrizione dell’immagine: «Si sedeva tranquillo e apriva un libro davanti a lui, dopo aver fatto il segno della croce…e, come se parlasse con un compagno, sia nei gesti che nel suo spirito, a volte sembrava ascoltatore impaziente a volte tranquillo: discuteva, lottava e sorrideva e nello stesso tempo piangeva e fissava il suo sguardo, lo abbassava e poi nuovamente parlava silenziosamente e si batteva il petto».
Queste sono espressioni che dicono un disporsi a un momento e a un luogo di preghiera. E poi la bella descrizione del dialogo con il Signore. Notiamo il sorridere, parte integrante dell’ascolto. Ci rimanda a profondo coinvolgimento esistenziale cui aneliamo: parlare con il Signore come ad un amico. Il seguito descrive anche quando il santo si copre il volto con le mani e abbassa il cappuccio per inabissarsi nella contemplazione, ma nel complesso capiamo che i due momenti non sono alternativi.
La terza immagine che abbiamo scelto è quella che ritrae in posizione eretta con diversi movimenti delle mani: «è bene dunque essere in piedi nella casa del Signore […]. Il profeta ci esorta nella speranza a dimorare negli atri della casa del Signore ».
La posizione in piedi evoca il rispetto ma anche la prontezza ad eseguire un ordine, e la resurrezione. Le mani, nelle diverse posizioni, riempiono di affetto questa posizione, che può apparire fredda. Le mani aperte, in atteggiamento di accoglienza, che nella miniatura quasi raccolgono il sangue di Cristo. In piedi, per accogliere pienamente e obbedire con amore al dono di Cristo. Ritto con le mani chiuse sul petto, a dire un profondo raccoglimento perché la verità contemplata ci investe e trafigge il cuore (At 2,37), come ricorda la Scrittura. E, infine, ma nella miniatura è l’inizio del percorso verso il crocifisso, le mani aperte in ascolto aperto e senza difese. Non sempre la nostra preghiera raggiunge questo coinvolgimento del corpo, ma ancora una volta la grammatica corporea può condurci ad entrare nei sentimenti evocati.
Veramente affascinante è la varietà, che solo si ha in un incontro d’amicizia profonda, d’amore. Fare di questa varietà un orizzonte della nostra preghiera sarebbe davvero liberante per noi e per tutti quelli che chiedono alle nostre comunità di “imparare a pregare”. C’è sempre il rischio di volersi mettere in atteggiamenti predefiniti, quasi garantissero la buona preghiera. La varietà delle immagini suggerisce che Domenico accompagnava i suoi a una preghiera profonda e libera, e anche viceversa: una preghiera che nasceva da un profondo desiderio così da esprimersi con tutto se stesso e con libertà.
Importanza dello spazio
Un’ultima annotazione sulle immagini che ritraggono Domenico solo in una cella. Al netto di una certa idealizzazione, non possiamo concludere senza far cenno al luogo della preghiera. Sia esso la cappella in cui si riunisce la comunità o il chiuso di una cella, o semplicemente di una camera, resta l’importanza dello spazio in cui ci collochiamo. Del resto poi come dimenticare che nel convento di san Marco a Firenze fu il Beato Angelico ad affrescare le celle, per la meditazione dei frati?
Certo il rimando è troppo alto, ma l’attenzione a che il luogo della preghiera sia bello non è insignificante. E il bello non è per forza lusso o leziosità, piuttosto il bello è definito dalla capacità di accompagnare, custodire e sostenere la preghiera personale.
Questa sola affermazione richiederebbe uno studio a sé. All’inizio di tutte le parole che si possono dire verrebbe da porre quel silenzio che anche le strutture contribuiscono a creare.
Ancora una volta la concretezza di tanti luoghi di vita dei religiosi, magari in contesti poveri e degradati sembra opporre brutale resistenza.
Le immagini di Domenico suggeriscono che la preghiera pervade lo spazio e non solo il tempo che le dedichiamo.
ELSA ANTONIAZZI