Cozza Rino
Non a fianco o sopra, ma “dentro” il popolo di Dio
2021/7, p. 29
La questione seria per la vita religiosa (VR) oggi è rilanciare il Vangelo della fraternità su basi nuove, perché il domani ci sarà per quella VR che saprà assumere modi di operare aperti a sogni flessibili, ricchi di immaginazione e sapienza evangelica.

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LA VC CHIAMATA A PASSARE AD UN «NUOVO PARADIGMA»
Non a fianco o sopra,
ma “dentro” il popolo di Dio
La questione seria per la vita religiosa (VR) oggi è rilanciare il Vangelo della fraternità su basi nuove, perché il domani ci sarà per quella VR che saprà assumere modi di operare aperti a sogni flessibili, ricchi di immaginazione e sapienza evangelica.
Il termine «paradigma» dice «modello di riferimento», «termine di paragone» al fine di attraversare vie nuove dentro scenari sociali ed ecclesiali inediti, e l’aggettivo «nuovo» rimanda a ciò che non richiama identità predefinite in lontane stagioni culturali. Di questo ha bisogno la Chiesa e non meno la VR.
Lo disse già Giovanni XXIII: «è venuta l’ora in cui la Chiesa deve dire di sé ciò che Cristo di lei pensò e volle». In questo dire c’è non solo l’affermazione che «Dio si manifesta in una rivelazione «storica», cioè nel tempo», ma anche che la Chiesa, nel passare degli anni non sempre ha detto ciò che di lei Cristo pensò, preferendo rispondere agli interrogativi del presente con le conosciute impennate identitarie, senza rendersi conto che «il tempo non abitato dalla storia, diventando ciclico, fa scomparire il futuro, resta prigioniero di un presente angusto».
È questo il motivo per cui ora la VR deve «cercare una figura storica più significativa per l’uomo d’oggi» che la collochi in nuovi orizzonti di senso.
Già quasi vent’anni fa, l’istruzione Ripartire da Cristo, della Congregazione della vita consacrata, scriveva: «Le persone consacrate, sono obbligate a porsi non pochi interrogativi sul senso della propria identità e del loro futuro». Il motivo sta nel fatto che non siamo più nel tempo in cui l’uomo costruiva il proprio futuro con l’assimilazione di quanto riceveva dai suoi predecessori, rendendo il tutto immutabile pensandolo – per una lettura acritica del dato biblico – fondato sulla rivelazione.
Bisogna dunque avanzare liberi da precomprensioni e predefinizioni, che vengono da mondi che non esistono più, per decidersi di vivere nell’oggi la primitiva esperienza cristiana della libertà evangelica, con quell’impegno ma anche quella leggerezza originaria, intravista nelle parole del Maestro: il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Diversamente, i religiosi/e si troveranno ad essere riconosciuti come coloro che vivono perché ormai hanno preso determinate abitudini di pensiero e di vita, anziché come trasparenza di esistenza cristiana ricca di umanità nuova.
Nuovo paradigma
Durante il Concilio, il vescovo P. M. Richaud apprezzò che si fosse tolto il sostantivo «religiosi» a favore di «vita religiosa», ma, non soddisfatto propose che lo schema dicesse semplicemente «Trattato circa i cristiani, in special modo dediti a Dio e alle anime». Affermazione non indebita stante il fatto che la diversità di vita nella consacrazione non è dovuta a un elemento teologico che la differenzi dalle altre, ma a fattori diversi, quanto diversi sono i tempi entro cui è andata sviluppandosi.
Dal Concilio in poi è nella condivisione della vita di tutti che i consacrati sono invitati a rivelare il volto di Dio, investendo la vita nel restituire alla gente della strada il Vangelo che le appartiene. È dunque il tempo di attivare collaborazioni, cooperare integrandosi con le persone che in un dato territorio hanno una potenziale influenza nel mobilitare il cambiamento atteso.
A dirlo è papa Francesco: la vita religiosa «non può essere vista come una condizione a parte, propria di una categoria di cristiani ma […] deve rimandare chiaramente in modo diretto a quello che è il senso di ogni vita cristiana».
Questa comunione non significa sfondersi, ma prendere coscienza della propria identità per aprirsi all’alterità. Si tratta di vivere insieme facendo in modo che non si viva più semplicemente gli uni a fianco degli altri in una opacità reciproca, ma gli uni verso gli altri, e che ci si realizzi in questo rapporto di scambio, poiché la fede cristiana ha il suo elemento cardine proprio nelle relazioni vere, buone, sane, interessanti. Ne consegue che una forma di vita che gira attorno a se stessa non è più comprensibile e quindi appetibile.
Le difficoltà della VR sono nella sua cultura ancorata alla mentalità del tempo in cui si pensava che al fine di identificarsi fosse necessario accentuare le separazioni piuttosto che la complementarietà delle diversità. Da qui la fatica di incontrare la gente là dove maggiormente è se stessa, dove si esprime liberamente, dove si incontrano i veri problemi, con il rischio di vivere in mezzo a loro separati da un alone di finzione». Se ora la vita religiosa si trova impoverita, deve trovarne la causa nel non essere stata fecondata dalla sana «contaminazione» delle relazioni intensamente umane e dai contatti con i diversi.
Oggi, diversamente dal passato, destinatari di particolari proposte evangeliche sono tutti i cristiani e se la sequela dei consacrati è al servizio della sequela di tutti i battezzati, allora il messaggio evangelico della vita religiosa non è in ciò che la distingue ma nella intensità rappresentativa di un dato valore.
Appagata del suo forte tasso di sufficienza ha fatto la scelta di relazioni funzionali al posto di quelle vere, facendole così perdere l’ancoraggio alla cultura della gente, vale a dire a idee e modi di vivere profumati di vita. Da qui la necessità di «interagire con il terreno in cui si pone il seme attraverso vissuti relazionali intensi, che portino i religiosi/e a passare dal lavorare «per», al lavorare «con». L’ «essere con» è bene espresso nelle parole del Papa: «gli evangelizzatori abbiano odore di pecore».
Dall’unicità alla molteplicità dei modelli di comunione
È quanto auspicava papa Francesco in occasione dell’anno della vita consacrata che, con la Lettera apostolica ai Consacrati, intravedeva tratti di fecondità per la vita di comunione nel «far sorgere altri luoghi dove si viva la logica del dono, della fraternità, dell’accoglienza della diversità». Altri luoghi che permettano di sentirsi viandanti con coloro che camminano e cercatori con coloro che cercano attraverso rapporti umani che siano frutto e segno del primato dell’ascolto della Parola rispetto ad altro.
Oggi, di tali esperienze, si dice in Evangelii Nuntiandi: «La proliferazione e la crescita di queste associazioni e movimenti si possono interpretare come una azione dello Spirito che apre strade nuove in sintonia con le loro aspettative e con la ricerca di spiritualità profonda e di un senso di appartenenza più concreto», che li porta a essere «una ricchezza della Chiesa, che lo Spirito suscita per evangelizzare tutti gli ambienti e settori» (EN 29).
Con “altri luoghi” intendeva dire, riportando le parole di Giovanni Paolo II, che «l’espressione della verità può essere multiforme e il rinnovamento delle forme di espressione si rende necessario per trasmettere all’uomo d’oggi il messaggio evangelico nel suo immutabile significato».
Che la varietà di modelli sia un elemento indicato come arricchente, è detto anche nel documento della congregazione dei religiosi in cui si afferma che «il riconoscimento positivo della diversificazione dei modelli e di stili di vita fraterna costituisce oggi uno degli esiti più significativi del soffio innovatore del Concilio». C’è qui l’implicita ammissione che in questi ci sono dei tratti di compiutezza che vanno valorizzati anche dalla vita religiosa perché attingono a categorie della contemporaneità nelle forme di approccio e di comunicazione, di spontaneità e di immediatezza.
Tutto questo nasce dalla constatazione che ancora oggi, in un mondo di inquietudine e di inospitalità c’è nostalgia di relazioni personali e comunitarie che si esprime in particolare nella diffusione di gruppi, movimenti, associazioni in cui il paradigma antropologico ha assunto consistenza e visibilità storica.
Queste recenti forme discepolari sono attrattive per l’essersi modellate in profili, non unicamente «sacro-formali» ma in «forme di vita che a partire dal Vangelo sanno inventare nuovi spazi di ospitalità dei nuovi temi della vita: della felicità, della libertà, della singolarità, della sensibilità. Una spiritualità cristiana che sappia anche indicare alcune delle virtù sociali più urgenti: responsabilità, libertà, dignità umana, solidarietà, diritti umani, tolleranza». Aspetti che vengono a dire che la visibilità convincente non è più quella istituzionale, ma è data dalla potente umile testimonianza di vita che parla all’uomo d’oggi attraverso forme di vita fraterna che respirano e lasciano respirare il profumo liberante e consolante del Vangelo, assumendo le caratteristiche, la cultura, i valori umani e religiosi del territorio in cui si collocano per potersi convertire in progetti di comunione per il momento che ci è dato di vivere. Dunque risposte impastate (lievito) con quelle delle altre vocazioni che formano la Chiesa, perché oggi più che mai la VR diventa sterile ogni qualvolta si chiude in se stessa, e smarrisce gli orizzonti.
Dove traspaia l’essere «un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32)
Con le sopra riportate parole, il Papa intende dire che non c’è comunità senza un vero «incontro», e che la comunità diventa comunione, «sacramento» di salvezza, dove e quando c’è quella comunicazione reale che si fa vera «condivisione». Ne consegue che non c’è comunità in quelle forme che presentano una dinamica relazionale con Cristo e con gli altri così debole che sembrano avere a che fare soltanto con qualcosa di organizzativo e amministrativo, con tensioni sul nulla, piuttosto che con spazi di umanità serena, che trasmetta la voglia di incontro e di frequentazione.
Papa Francesco insiste particolarmente sull’ essere fraternità, non quella intesa unicamente in senso spirituale-universalistico, istituzionale, ma quella che si esprime attraverso la «prossimità», quella concepibile quale modello dì relazioni tra persone con cui sia possibile intrattenere rapporti positivi, una comunicazione schietta, non priva di empatia cioè con la capacità di rendersi conto di ciò che pensa, sente, vuole, chi mi sta vicino: è così che la Chiesa può mostrare il suo volto generativo.
Siamo dunque chiamati a sottoporre a critica storica molti dei presupposti culturali che ci siamo portati dietro da altri tempi, uno dei quali è quello di identificare koinonia (vita in comunione) con vita sotto lo stesso tetto quasi a dire che se c’è la seconda, necessariamente c’è anche la prima. Da qui il pericolo, specie per quelle comunità numericamente rilevanti, di reggersi su una concezione collettivistica per la quale sarebbe il sistema di valori a tenere insieme e questo basterebbe a riconoscersi come confratelli e consorelle a prescindere dalla qualità e numero delle comunicazioni dirette.
Ora la VR non deve temere di prendere le distanze da se stessa, da un certo stile, e da un proprio universo concettuale per poter costruire la persona secondo categorie che la portino a essere “creatura nuova” nell’oggi, non avulsa dalla maturazione delle nuove istanze che vanno meglio ad esprimere compiutamente l’uomo e la donna.
Allora la questione seria per la VR oggi è rilanciare il Vangelo della fraternità su basi nuove, perché il domani ci sarà per quella VR che saprà assumere modi di operare aperti a sogni flessibili, ricchi di immaginazione e sapienza evangelica. In ogni caso non terranno più quegli schemi di vita comunitaria di concezione collettivistica per i quali è il sistema di tradizioni a tenere insieme con documenti, dichiarazioni, teorie, piuttosto che la concretezza dell’agire interpersonale fatto di condivisione, di solidarietà, di amicizia, di compassione, di tolleranza. Come non attrarranno più quelle strutture che richiedono di essere figlie e figli condotti per mano, per una mancata crescita che inchioda in un orizzonte adolescenziale anziché portare ad una adulta maturità esigita dall’essere fratello e sorella. All’interno della molteplicità di configurazioni, certamente non potranno mancare quelle forme di VR intese nello stare insieme locale sotto lo stesso tetto.
Cosa dovrebbe vedere chi si avvicina a un religioso!
Alla vita religiosa è ora offerta l’opportunità di riacquistare la capacità fecondativa, con il dire Dio in modo nuovo, e farlo apparire nella sua bellezza accogliente e ospitale dell’umano, attraverso persone dal cui modo di vivere traspaia che credere non è farsi imbrigliare l’umanità, la vitalità, la bellezza, la spontaneità ma semmai farla esplodere in pienezza. Persone la cui spiritualità sia in armonia con la vita, espressa con modelli evangelici che interpellino l’uomo del postmoderno piuttosto che schemi di spiritualità poveri di originalità, sovraccarichi di forme devozionali alla deriva, diffidenti verso la società e le nuove sperimentate correnti spirituali. Oggi l’attenzione non è sulle “etichette” ma sulle evidenze evangeliche, che tali si definiscono dalla vita in atto, dal mostrare quanto viva sia l’azione dello Spirito Santo.
Soltanto se questo sarà reso visibile, sarà anche possibile offrire con frutto soprattutto ai giovani, la possibilità di condividere l’esperienza della ricerca di Dio e della fraternità, cioè di vivere con altri, oltre lo spazio della propria casa, dentro una convivialità e un esercizio collettivo di umanità che eviti il rischio di essere vinti dalla omologazione e dalla solitudine.
RINO COZZA CSJ