Dall'Osto Antonio a cura
Brevi dal mondo
2021/6, p. 37
HONG KONG Stephen Chow Sau-yan, nuovo vescovo NEPAL Cristiani perseguitati IRAQ Dopo la visita del Papa

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Hong Kong
Stephen Chow Sau-yan, nuovo vescovo
Dopo oltre due anni di sede vacante, papa Francesco ha nominato il nono vescovo cattolico di Hong Kong: è il gesuita Stephen Chow Sau-yan, 61 anni, finora provinciale della provincia cinese dei gesuiti. La notizia è stata annunciata dal Vaticano il 17 maggio scorso. La Chiesa di Hong Kong era senza vescovo dal 3 gennaio 2019, quando mons. Michael Yeung Ming-cheung era morto, dopo aver guidato la diocesi per soli 17 mesi.
Durante questi due anni, la diocesi era stata seguita dal cardinale John Tong-Hon, 80 anni, in qualità di amministratore apostolico. Tong-Hon era succeduto al cardinale Joseph Zen Ze-kuin ed era vescovo di Hong Kong prima di mons. Yeung, compreso il periodo politico turbolento che ha visto Hong Kong perdere la libertà democratica di cui aveva goduto dal passaggio dalla Gran Bretagna alla Repubblica popolare cinese nel 1997, che nel 2020 ha imposto una legge sulla sicurezza nazionale.
Molti si sono chiesti se il ritardo nella nomina di un nuovo vescovo dipendesse da difficoltà tra il Vaticano e Pechino. Ma un alto funzionario vaticano lo ha negato, confermando che la Santa Sede non aveva consultato Pechino sulla nomina del vescovo per Hong Kong. Ha spiegato che la Santa Sede anche se guidata da una "politica per una sola Cina", non consulta Pechino sulla nomina dei vescovi per Macao, Hong Kong o Taiwan, e non è necessario poiché queste tre giurisdizioni ecclesiastiche non rientrano nell’accordo provvisorio che il Vaticano ha firmato con Pechino nel settembre 2018 e rinnovato nell'ottobre 2020.
Il Vaticano ha impiegato del tempo per trovare come nuovo vescovo di Hong Kong l'uomo ritenuto adatto per questo incarico impegnativo e difficile. La nomina è giunta sulla scia della più grave crisi politica di Hong Kong dal passaggio di consegne il 1luglio 1997, in cui molti cattolici, compresi alcuni di spicco - come Martin Lee, il padre del movimento democratico e Jimmy Lai, il magnate dei media, furono coinvolti pacificamente nel movimento democratico e arrestati. Molti sono stati condannati e stanno scontando pene detentive.
Sembra che il Vaticano stesse cercando un candidato che non si fosse identificato apertamente con le proteste democratiche degli ultimi anni a Hong Kong, in modo da non far apparire che la nomina fosse una sfida politica a Pechino. Ma non cercava nemmeno qualcuno troppo allineato a Pechino. Fonti bene informate dicono che era certamente alla ricerca di un forte leader spirituale che conoscesse bene la situazione, un uomo impegnato nel dialogo, che potesse essere una buona guida della Chiesa di Hong Kong e in grado di promuovere la riconciliazione in questi tempi difficili e negli anni a venire.
La scelta quindi è caduta sul provinciale dei gesuiti per la provincia cinese.
Hong Kong, un'area metropolitana e una regione amministrativa speciale della Cina, è uno dei luoghi più densamente popolati del mondo. Ha una popolazione di 7, 5 milioni di abitanti. Il vescovo eletto Chow è chiamato a guidare una diocesi di 626.000 cattolici, serviti da 71 sacerdoti diocesani e 214 altri sacerdoti appartenenti a ordini religiosi, e assistono pastoralmente 52 parrocchie e 100 chiese e 253 istituti educativi (scuole, ecc.). Vi sono anche 336 membri di istituti religiosi maschili e 441 membri di istituti religiosi femminili. (Statistiche: Annuario Pontificio, 2021). La diocesi ha un vescovo ausiliare: monsignor Joseph Ha Chi-shing, O.F.M.
Il nuovo vescovo eletto, Chow, è nato a Hong Kong il 7 agosto 1959 e, come tutti i suoi predecessori dal 1969, è cinese. Il superiore generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa, ha dichiarato: “Sono felice che p. Stephen possa continuare a servire e gli auguro ogni benedizione in questo nuovo ministero. I gesuiti sono orgogliosi dei loro legami con il popolo cinese, che risalgono al grande missionario Matteo Ricci che aveva un grande rispetto per la cultura cinese”.
Nepal
Cristiani perseguitati
I cristiani in Nepal, piccola nazione a maggioranza indù himalayana (147 mila kmq circa e 26 milioni di abitanti) hanno dietro di sé una lunga storia di persecuzioni. Attualmente, stanno affrontando nuovi tentativi di diffamazione nei loro riguardi e la loro fede. All'inizio dello scorso aprile, i nazionalisti indù hanno fatto circolare sui social un documento falsificato che mostrava gruppi di cristiani che avrebbero progettato un piano per provocare delle spaccature etniche tra gli indù per riuscire a convertirli al cristianesimo.
Gli osservatori hanno notato che il documento potrebbe essere uno stratagemma dei radicali indù in vista del censimento nazionale previsto per l'8-22 giugno, ma rinviato poiché il Nepal è in preda a un'impennata di casi di Covid-19 nelle ultime settimane.
Sembra che gli estremisti che fanno campagna per l'egemonia indù in Nepal temano che il censimento certifichi un aumento del numero dei cristiani. Secondo il censimento del 2011, gli indù rappresentano oltre l'81% della popolazione del Nepal, i buddisti il 9%, i musulmani il 4,4% e i cristiani l'1,4%.
Prima dell'abolizione della monarchia nel 2007, il Paese, per due secoli, era uno Stato indù. Ha resistito a decenni di insurrezione maoista e a conflitti tra alcuni dei 25 gruppi etnici che lo compongono.
Il cristianesimo esiste in Nepal da più di cinque secoli nonostante le ripetute persecuzioni nel corso della sua instabile storia politica. Nel territorio vi sono solamente circa 8.000 cattolici, ma si stima che vi siano 3-5 milioni di cristiani protestanti ed evangelici che appartengono a circa 12.000 chiese, per lo più nelle zone povere e rurali. Il World Database of Christians registra infatti il Nepal come il paese in cui le comunità cristiane sono in più rapida crescita. Gli indù di casta inferiore (Dalit) si convertono al cristianesimo cercando di liberarsi dalla diffusa discriminazione di cui sono oggetto da parte degli indù delle caste superiori dominanti, in un sistema sociale a quattro livelli, e dalla povertà e disoccupazione che fanno parte di questa condizione discriminatoria.
Per le comunità svantaggiate come i Dalit (intoccabili) e gruppi etnici emarginati come i Chepang, il cristianesimo è l'unica speranza di sopravvivenza in questo ambiente altamente discriminatorio. Secondo la Federazione nazionale dei cristiani, in Nepal, il 65 per cento dei cristiani sono ex dalit.
Ma questa fuoruscita è imbarazzante per i cosiddetti guardiani dell'induismo e promotori della sovranità indù in Nepal che da anni promuovono campagne di odio contro i cristiani per la loro cosiddetta “conquista cristiana” del Paese. In realtà, il cristianesimo sta coprendo i fallimenti dello Stato e della società nel sostenere le sue persone più vulnerabili.
I nazionalisti indù hanno anche a lungo fatto credere che la conversione al cristianesimo "devia dalla fede degli antenati e quindi rompe con la loro cultura e la loro identità nazionale".
Sono numerosi i casi in cui i cristiani convertiti devono affrontare enormi pressioni da parte delle loro famiglie, amici, comunità e funzionari governativi per costringerli a tornare all'induismo. In effetti, si deve a questi sentimenti anticristiani l'ascesa di gruppi estremisti indù come l'Esercito di Difesa del Nepal che ha bombardato la Cattedrale dell'Assunzione nella capitale Kathmandu nel 2009, uccidendo tre cattolici e provocando molti feriti. Lo stesso gruppo ha minacciato un funzionario della chiesa con ulteriori attentati dinamitardi nel 2012. Nel 2017, alcuni elementi hanno tentato di appiccare il fuoco alla cattedrale, provocando notevoli danni alla chiesa e alla residenza del sacerdote. Nel 2018, quattro chiese protestanti ed evangeliche sono state bruciate da incendiari sconosciuti e di nuovo il dito è stato puntato contro gruppi radicali.
Si registrano anche dozzine di casi di vessazioni, arresti e incarcerazioni di cristiani per accuse di conversioni inventate: questi fatti si sono intensificati dal 2018 quando il paese ha approvato una nuova legislazione penale, il codice civile e penale, che rende la conversione un crimine punibile fino a cinque anni di reclusione e una multa di 50.000 rupie (423 dollari).
I nazionalisti indù nepalesi contano sul sostegno morale del governo indiano del partito di destra Bharatiya Janata Party (BJP) del premier Narendra Modi, nonostante che entrambi i paesi siano in cattivi rapporti diplomaticamente negli ultimi tempi. Ma l’opinione pubblica mondiale presta molta attenzione alla difficile situazione delle minoranze, inclusi musulmani e cristiani, in paesi come l'India e il Pakistan, mentre la silenziosa persecuzione dei cristiani nel piccolo Stato himalayano rimane in gran parte inosservata.
Iraq
Dopo la visita del Papa
L'arcivescovo cattolico caldeo di Erbil, Bashar Warda, chiede aiuto per l’Iraq per stabilizzare gli effetti ottenuti dal viaggio del Papa. La visita nel mese di marzo ha riunificato il Paese e ha suscitato l'interesse internazionale e le sue minoranze.
Ora – come scrive un messaggio dell'organizzazione umanitaria austriaca "Initiative Christlicher Orient”, dobbiamo costruire su questa dinamica. La visita di tre giorni del Papa ha mostrato alla società irachena, lacerata da decenni di guerra e di violenza, che si può vivere insieme. "Dobbiamo lavorare a questo scopo con l'aiuto della comunità internazionale", ha dichiarato l'arcivescovo. La gente del suo arcivescovato, ha aggiunto, si è sentita per molti anni "abbandonata e dimenticata dal mondo”. Dall'invasione delle milizie terroristiche dello "Stato islamico" nell'agosto 2014, la maggior parte ha vissuto dei propri risparmi. “Oggi è necessario un nuovo sentimento di solidarietà” come ha detto papa Francesco.
Nel Paese l’80% della popolazione è disoccupata, soprattutto nella piana di Ninive. Dal 2017 la gente ha potuto cominciare a tornare nei villaggi, ma non ci sono programmi efficaci per il sostentamento. "Abbiamo bisogno del sostegno internazionale per aiutare le famiglie a rimanere in Iraq e vivere una vita dignitosa", ha sottolineato Warda.
La visita di Francesco ha fatto capire a molti che i cristiani sono presenti in Iraq da molto tempo e hanno tutto il diritto di essere cittadini a pieno titolo. Anche il grande ayatollah sciita Ali Al-Sistani ha sostenuto i diritti dei cristiani iracheni.
L’arcivescovo ha ribadito che il Papa ha "suscitato un nuovo senso di solidarietà nel Paese". Alcuni hanno detto scherzosamente che bisognerebbe che "Francesco tornasse presto in modo che il governo ricostruisca le strade", ha concluso l'arcivescovo. (KNA, 17 maggio)
a cura di ANTONIO DALL’OSTO