Angelini Maria Ignazia
Pregare nella notte: il segreto dell'aurora
2021/6, p. 24
La preghiera cristiana, alimentata attraverso l’immersione quotidiana nei Salmi, rivela alla sua radice profonda un vissuto singolare della fede: “il segreto dell’aurora”

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Testimoni
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“Pregare nella notte: il segreto dell’aurora”
La preghiera cristiana, alimentata attraverso l’immersione quotidiana nei Salmi, rivela alla sua radice profonda un vissuto singolare della fede: “il segreto dell’aurora”. Che cosa? L’espressione allude al vissuto secondo cui al cuore dell’esperienza del pregare, c’è la percezione che la relazione con Dio, scaturigine di nuovo legame con il mondo e con gli altri, racchiude il mistero di un “nuovo” generato dal buio di un “corpo a corpo”, da lotta singolare, da una ferita radicale, da una consegna in cui ne va – insieme - della creatura umana e del “suo” Dio.
La preghiera del Salmi
I Salmi - quella “scrittura di Dio” in cui al rivelarsi di lui corrisponde un rispondere umano, divino nel suo tratto dossologico - sono perciò segnati in radice dal vissuto aurorale. Tale esperienza generativa è spesso segnalata dall’invocazione che abbozza un passaggio cruciale: “sorgi” (Sal 3,8; 7,7; 10,12; 68,2; 73,20; 132,8; ...), “àlzati”, “dèstati”, “voglio svegliare l’aurora”, “Dio soccorre prima dell’aurora” (Sal 46,6), “prevengo l’aurora col grido d’aiuto”, “fin dal mattino invoco e sto in attesa” (Sal 5,4), “all’aurora ti cerca l’anima mia”, ... Quasi che il pregare biblico sia intimamente legato a questa postura spirituale: nel buio lottare corpo a corpo con l’Innominabile alterità di Dio e proprio così – in una passività creatrice, in un dialogo serrato, con la forza debole del desiderio – anticipare il nascere del giorno nuovo, il sorgere dell’aurora. Del nuovo, dell’impossibile di Dio.
In tal senso, i Salmi ci conducono ripetutamente sulla soglia di un’esperienza apparentemente paradossale, ma che in realtà custodisce una dimensione costitutiva del pregare. Là dove l’orante si esprime così: “Voglio svegliare l’aurora” (Sal 57,9). Pretesa che ha qualcosa di utopico e ingenuo al tempo stesso: il mattino infatti, se stiamo al senso comune, arriva quando è ora. Ebbene, nel salmo, d’improvviso, qualcosa che appartiene allo scorrere dei giorni si manifesta cifra di rivelazione.
Rivela l’inizio che sorge dal corpo a corpo con Dio: è il paradossale segreto della preghiera biblica, che - ne riprenderemo il cenno - porta al fondo d’ogni sua espressione lo stigma del Getsemani. Lotta insita nel dramma della fede: conoscenza di Dio e conoscenza di sé, inseparabilmente avvinghiate al cuore fecondo della buia storia umana.
Lotta di Giacobbe con l’angelo
Paradigma, avvolto nella notte dei secoli, di tale segreto è la lotta del padre nella fede, Giacobbe (Gn 32,24-32). Un misterioso insieme di forza e debolezza, di corpo a corpo con Dio. Di pretesa e di resa. Lotta che riscatta la paura dell’altro, il gemello, che ha condotto Giacobbe alla solitudine notturna dello Jabboq:
4 Nel grembo materno, egli prese il fratello per il calcagnoe, nel suo vigore, lottò con Dio;5 lottò con l'Angelo e restò vincitore;egli pianse e lo supplicò.A Betel lo trovò,là Egli parlò con noi. (Osea 12,4-5).
Lotta senza vincitori né vinti si ingaggia allo Jabboq: entrambi i lottatori vinti e vittoriosi. La fine irrevocabile della menzogna sul nome, lo scioglimento del primigenio conflitto fratricida. Evento iscritto in ogni notte della fede, che nella Sacra Scrittura ha molte narrazioni, nella vita umana infinitamente rigenerate. Dovremmo ritornare spesso, guidati dai Salmi, a questo evento originario, proprio e specialmente nell’epoca che stiamo attraversando, di una notte che pare indefinita, mortifera ripetizione dell’identico, ombra di solitudine senza fine, buio senza aurora.
Al sorgere dell’aurora, Giacobbe, vincitore, si arrende: dice all’Altro che lo ha ferito all’anca il proprio nome (Gn 32,28). E lui, il “soppiantatore” riceve nome nuovo, rinasce uomo fratello, illuminato dall’Altro sconosciuto – è benedetto senza inganno, sulla soglia dell’aurora.
Relazione oltre la stessa preghiera: ecco la soglia dell’aurora. Permanere pur ferito nel legame, avvinghiato a Dio. Ferita impressa nella carne, da cui sgorga la luce.
Altre volte Giacobbe si era mostrato capace di dialogare con Dio, di sentirlo come presenza amica e vicina. Ma in quella notte, attraverso una lotta che lo vede quasi soccombere, il patriarca esce trasformato. Cambio del nome, rigenerazione del senso dell’alterità: esce cambiato. Non è più padrone della situazione – la sua scaltrezza non serve –, non è più l’uomo stratega e astuto; Dio lo riporta alla sua verità di fragile mortale (perché Giacobbe nella lotta aveva paura). Giacobbe non ha altro fianco da presentare a Dio. Ed è questo Giacobbe a ricevere da Dio la benedizione, con la quale entra zoppicando nella terra promessa: vulnerabile, e vulnerato, ma con il cuore nuovo.
Genesi 32,24-32 è evento paradigmatico per la fede, quando l’essere umano entra in relazione con il proprio nudo patire, e lo elabora nella relazione di fede con l’alterità di Dio, soglia al sorgere dell’aurora di pace.
Dall’orto degli ulivi ai primi monaci
Evento paradigmatico della preghiera, ha incessanti rielaborazioni, attraverso i secoli. Dall’orto degli ulivi ai primi monaci: “Raccontavano di Arsenio che di sabato sera, quando già spuntava la domenica, volgeva le spalle al sole nel suo tramonto e stendeva le mani al cielo in preghiera, finché di nuovo il sole gli risplendeva in viso. Allora soltanto si sedeva” (Abba Arsenio, Apoft., 30). Lottando contro il potere delle tenebre, l’anziano alza le mani in un grido al morire della luce, e - sorpresa di risposta - la luce verrà a lambire le sue braccia alzate. “Egli non è che un gesto di attesa e un corpo affaticato dal desiderio: è l’uomo in preghiera. Corpo immobile, grido senza voce nel silenzio della notte. Cosa tra le cose, il corpo diventa l’asse del mondo” (M. De Certeau).
Ma il segreto dell’aurora, il mistero della preghiera scaturita dalla lotta notturna, è dissuggellato in forma unica dal Figlio, Gesù. La sua lotta agonica ha veramente svegliato l’aurora, lacerando i cieli (Eb 5,7). Da lui, l’Unico, impariamo a pregare. A trasformare il sudore inane.
″Nostro Signore, dalla notte in cui sudò (Lc 22,44), ha mutato il sudore del lavoro [esercitato] su di una terra che fa crescere spine e cardi (Gen 2,18: figura delle passioni) nel sudore che si accompagna alla preghiera, perché [l'uomo] sudasse nel lavoro della giustizia.″ (Isacco di Ninive, tr. it. P. Bettiolo). È il patire di Gesù, il Figlio pienamente abbandonato, che scioglie il segreto della notte di Giacobbe, e di ogni creatura umana ferita dalle proprie passioni, dall’incombere dell’altro, e dal venire di Dio nel cuore di una buia notte. E fa sorgere, stupìta, l’aurora.
Gesù ha imparato la sua obbedienza filiale dalla lotta che si accompagna alla preghiera. Grazie a lui, le nostre notti si schiudono a un fiotto gratuito di luce.
Il portare 'come il Cristo', senza fuggire o venir meno, è allora il luogo più alto della creatura, sua reale conformazione a lui. È l'apprendimento di quello che Dio 'desidera', nel visitare come pellegrino notturno le nostre notti. Nel lottare con l’Eletto Dio ci rivela il senso del patire, il segreto dell’aurora.
«Lacerazione e sofferenza» sono nel parto di Aurora. Essa che sfugge non appena è percepita come balsamo alla lunga notte; umile e feconda soglia, il vuoto in cui la bellezza appare (Maria Zambrano). Simbolo della preghiera è in tal senso l’aurora, colei che dà alla luce il giorno, ogni giorno, quando il gallo canta, aprendo col canto le porte al cammino della storia.
“Tutti quanti noi abbiamo un appuntamento nella notte con Dio, nella notte della nostra vita, nelle tante notti della nostra vita (…). Lì c’è un appuntamento con Dio, sempre. Egli ci sorprenderà nel momento in cui non ce lo aspettiamo, in cui ci troveremo a rimanere veramente da soli. In quella stessa notte, combattendo contro l’ignoto, prenderemo coscienza di essere solo poveri uomini (…) in quel momento Dio ci darà un nome nuovo, che contiene il senso di tutta la nostra vita; ci cambierà il cuore e ci darà la benedizione” (papa Francesco).
Ecco il senso d’ogni preghiera, “atto di parola ferita dall’alterità radicale” (J.-L. Chrétien), parola primigenia: voglio svegliare l’aurora.
MARIA IGNAZIA ANGELINI