Sisci Francesco
Il perdono dall’Impero di mezzo
2021/6, p. 9
Fra le conseguenze dello sviluppo della Cina vi sono la fine del villaggio tradizionale e della famiglia clanica. Un terremoto antropologico che implode su colpa e perdono. Una possibile e curiosa risposta: la confessione cattolica.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
NELLA SOCIETÁ CINESE
Il perdono dall’Impero di mezzo
Fra le conseguenze dello sviluppo della Cina vi sono la fine del
villaggio tradizionale e della famiglia clanica. Un terremoto
antropologico che implode su colpa e perdono. Una possibile e
curiosa risposta: la confessione cattolica.
La Cina conosce da alcuni decenni una crescita economica e di influenza internazionale di grande rilievo. Si è accreditata come la principale protagonista dell’Asia, ha fatto uscire dalla povertà la maggioranza della sua popolazione e si propone al mondo come una superpotenza in grado di gareggiare e forse anche sostituire l’egemonia americana.
Guardando dall’esterno l’Impero di mezzo pare voglia vincere la supremazia americana (pacificamente o con la guerra), e sembra voglia convincere il mondo che l’autoritarismo (del partito) è migliore della democrazia e il suo potere non deve spaventare i paesi vicini. Più facile sembrerebbe il compito di mantenere l’unità del paese, formato per il 95% da un’unica etnia (Han), con una lingua unica e confini geografici coerenti. Soprattutto se riuscisse a mettere in campo un sistema di stato sociale. Il centenario della fondazione del partito comunista coi suoi quasi 100 milioni di iscritti su una popolazione di 1,4 miliardi, sarà l’occasione per rafforzare il consenso e l’affidabilità della classe dirigente.
Queste note, come molte altre, anche critiche, appartengono a una lettura quantitativa del fenomeno cinese. È possibile accennare ai cambiamenti che interessano i singoli, che attraversano il loro vissuto? È possibile, in particolare, focalizzare un tema particolare e fondamentale come il senso del perdono? Non è stata questa l’intuizione di un genio come p. Matteo Ricci (1552 – 1610) e delle sue opere come il Trattato sull’amicizia e I dieci comandamenti del Signore del cielo?
Da dove partire?
Dopo alcuni decenni di vita in Cina e guardando solo al percorso di questi ultimi quarant’anni potrei partire nel momento in cui il paese ha cominciato ad aprirsi all’economia di mercato. La crisi sociale cinese profonda è cominciata forse a fine Ottocento però è senz’altro dal 1980, con l’inizio della politica del figlio unico e poi con la successiva spinta alla urbanizzazione e all’implosione demografica dei villaggi rurali che tutto è scoppiato. La struttura sociale cinese era – semplificando molto – basata su due colonne: la famiglia benestante dove un capo famiglia aveva sotto di sé una corte di servi e serve, mogli e figli, in una comunità che si reggeva per un’alchimia delicata di interrelazioni personali. Lo stesso avveniva nei villaggi dove le singole famiglie sentivano ed erano anche spinte a pensarsi come parte di uno stesso clan. A ciò si aggiungeva anche il pensiero legale dominante e condiviso. La responsabilità non era personale, non era appannaggio dell’individuo ma della famiglia o di un gruppo di persone. Se un grande mandarino cadeva in disgrazia lo seguiva tutta la sua famiglia e i suoi clientes. Se in un villaggio qualcuno faceva qualcosa di storto, l’intero villaggio compiva il crimine. Tutto il gruppo veniva punito per non avere posto un freno al colpevole.
Questi elementi si intrecciavano, e spingevano gli individui all’interno di questi due contesti sociali, la famiglia benestante e il villaggio, alla fin fine molto simili per meccanismi di funzionamento, a condividere pienamente tutti i problemi personali e psicologici con gli altri membri del gruppo. Nei villaggi non esistevano porte chiuse. Anzi chiudere la porta mentre si mangiava era quasi un segnale negativo. C’era qualcosa da nascondere.
Lo stesso succedeva nelle grandi famiglie dove le mogli, per esempio, avevano sì degli appartamenti separati, ma connessi. Le altre mogli potevano entrare e uscire praticamente a piacimento. In questo contesto i problemi psicologici di una persona, le colpe commesse dal singolo venivano digerite, alleviate e in qualche forma perdonate o punite all’interno della comunità.
Per i drammi individuali più difficili il singolo si rivolgeva al tempio buddista o taoista dove un indovino gli prediceva il futuro e gli indicava il corso delle azioni e comportamenti da tenere.
La crisi del vecchio modello
Con la fine delle grandi famiglie patriarcali già negli anni ’20-’30 del secolo scorso questo modello era andato in crisi. Un’ulteriore destrutturazione si ha poi con la politica del figlio unico, promossa dal partito e dal governo, dove la famiglia si restringe a un minuscolo nucleo di tre persone. Infine, un colpo fatale arriva con l’urbanizzazione a cominciare negli ultimi anni del decennio ‘90 che svuota i villaggi rurali e distrugge alla radice il tessuto dei rapporti umani.
Un processo sociale che offre anche enormi possibilità di crescita. È la fine del condizionamento soffocante delle famiglie patriarcali e autoritarie, che hanno dominato la Cina per millenni e hanno oppresso il ruolo delle donne e dei giovani a favore degli anziani. Si crea quindi uno spazio nuovo di modernizzazione e promozione di valori. Appaiono criteri completamente innovativi che fanno entrare la modernità nella struttura profonda del tessuto sociale. Ma tutto ciò crea un vuoto impressionante nella coscienza individuale, un abisso senza meccanismi di compensazione e processi di elaborazione del fallimento.
Questa estraniazione psicologica si somma ad altri elementi di torsione personale. I cinesi nell’arco di quarant’anni sono passati dalle campagne alle città, da un’economia e una società rurale ad una società post industriale, da un mondo antico e statico a un mondo moderno all’occidentale. I drammi dell’emigrazione dal Sud al Nord, che l’Italia ha vissuto negli anni ‘50 e ‘60, sono stati ripetuti in Cina in anni più recenti e meno numerosi, con una proporzione infinitamente più estesa, perché le trasformazioni erano molto più radicali e pervasive, con numeri incomparabilmente maggiori su un territorio molto più esteso. Il senso di alienazione profondissima è difficile da sottostimare, alimentando uno smarrimento e confusione enorme tra la gente. Difficoltà compensata, nei fatti, dalla capacità del governo di dare un senso di direzione e di missione al paese.
Un passaggio doloroso
Il fatto che i cinesi si identifichino con lo Stato e con la missione modernizzatrice del partito non va sottostimata. Ma per generazioni che hanno perso il senso antico della propria esistenza, anche in processi complessivamente positivi, è un passaggio doloroso. L’indirizzo generale non rimuove il vuoto individuale. Secondo le stime ufficiali tra il 15% e il 20% dei cinesi ha dei problemi psicologici. Tali percentuali potrebbero non essere eccessive, se confrontate con dati analoghi in paesi sviluppati, ma diversamente dai paesi sviluppati in Cina non ci sono strutture che compensino e aiutino a superare questi problemi. Non c’è la famiglia, non c’è più il villaggio.
Il partito, che aveva cercato di rimpiazzare la funzione sociale del villaggio negli anni ‘60, oggi si affida a un controllo capillare attraverso l’intelligenza artificiale e gli apparati tecnologici. Freddo e anonimo. Resta quindi uno spazio incustodito e sta crescendo la domanda di consigli terapeutici e dell’opera degli psicologi. C’è una esplosione di studi professionali che cercano di aiutare le persone con bisogni psicologici. C’è allo stesso tempo un iniziale, ancora minimo interesse e curiosità per la confessione cattolica.
In questo spazio fatto di sensi di colpa e di vergogna, solitudine, alienazione, spiazzamento, l’ipotesi che si possa andare da una persona e in totale segreto confessarsi ed essere perdonato senza gravi conseguenze personali, senza punizioni pubbliche, né svergognamenti palesi suona molto suggestivo. Offre un grande respiro di possibilità di riscatto. Quasi tutti in Cina si sentono in colpa per un motivo o per un altro, ma sostanzialmente per il problema di avere lasciato il modo di vivere antico senza però essere ancora approdati a un comportamento codificato e vivibile oggi. La colpa si manifesta e può essere guarita con delle donazioni a templi buddisti o taoisti che tradizionalmente, in cambio di denaro, guariscano dal cattivo Karma accumulato e dalla sfortuna che potrebbe colpire l’individuo o i suoi congiunti nel resto della vita o nelle generazioni future. Ancora una volta le colpe dell’individuo si riflettono su una famiglia più o meno allargata.
In che senso la Chiesa cattolica
può essere di aiuto?
Parlo da non praticante e senza conoscere la travagliata e sorprendente storia della confessione cattolica. Avverto che, da un punto di vista pratico, essa potrebbe risolvere queste difficoltà o essere di aiuto nella transizione sociale. Potrebbe persino aiutare il governo a scaricarsi di una parte di responsabilità. Infatti la missione modernizzatrice del potere cinese se dovesse fallire trascinerebbe nel baratro tutta la gente che si era votata al governo, che si sentirebbe tradita. Sarebbe importante, da un punto di vista sociale e politico, cercare di diluire la responsabilità del potere e quindi aiutare il governo stesso ad assolversi dalle colpe eventuali di errori. Uno sbaglio politico non può e non deve diventare un dramma enorme per il paese. Deve essere accettato con una correzione di rotta.
Azzardo un pensiero ulteriore. Questa dimensione sociale della confessione forse potrebbe rivalorizzarla anche nel resto del mondo. Se la psicologia e la psicanalisi nascono da pensatori ebraici, nondimeno esse ereditano un’attenzione prima esercitata dalla confessione. Una sorta di modernizzazione della confessione cattolica in un contesto diverso. Il proprio della confessione resta l’attestazione del perdono, attraverso il sacerdote. È Dio che perdona. Nessun psicoterapeuta può farlo, anche se può facilitare al singolo l’accettazione del proprio vissuto.
Mi rendo conto di aver superato molti confini delle competenze professionali e del politicamente corretto, ma avverto che anche grazie alla prova della pandemia ci sia oggi una rinnovata attenzione al perdono. Naturalmente in forme che hanno poco a vedere con l’intrusione indebita e malsana e con un approccio di tipo giuridico e penale. Ma l’esortazione ripetuta da papa Francesco in ordine alla pratica della confessione e ai modi rispettosi e cordiali richiesti dal confessore non sono una semplice riproposizione di una pratica del concilio tridentino. C’è qualcosa d’altro in ballo. Forse il papa avverte che otto miliardi di persone oggi affrontano sfide che non avrebbero mai immaginato, processi di cambiamenti e sfide economiche strategiche di vita senza precedenti. Oltre all’elenco sterminato delle vittime della pandemia e alle nubi di una seconda guerra fredda si intuisce l’impotenza dei governi e l’assenza di risposte alle singole persone. Forse il «sacramento perduto» ha qualcosa da dire alla domanda di perdono e di rinnovamento degli uomini e donne del nostro tempo. Quasi paradossalmente, a partire dalla Cina.
FRANCESCO SISCI