Dall'Osto Antonio
Quando si chiude una comunità
2021/6, p. 6
Le suore tedesche della Congregazione di Santa Elisabetta, a Halle an der Saale (Sassonia-Anhalt), hanno deciso di chiudere la comunità. Con quali modalità? Lo spiega la responsabile sr. Dominika.

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L’ESPERIENZA DELLE ELISABETTINE DI HALLE
Quando si chiude una comunità
Le suore tedesche della Congregazione di Santa Elisabetta, a Halle an der Saale (Sassonia-Anhalt), hanno deciso di chiudere la comunità. Con quali modalità? Lo spiega la responsabile sr. Dominika.
Le suore erano arrivate ad Halle 130 anni fa. Inizialmente erano solo in quattro. Avevano come scopo di prendersi cura degli anziani e dei malati. Avevano trovato alloggio in un piccolo stabile che col tempo si sviluppò fino a diventare un grande ospedale. Anche il numero delle suore crebbe fino a superare il centinaio. Negli anni ‘20 si era resa necessaria la costruzione di un complesso più grande.
Oggi le suore sono rimaste solo in 16 e alcune di esse sono bisognose di cure. Così è giunto il momento di chiudere la comunità. Incaricata dell’operazione è sr. M. Dominika Kinder, Superiora provinciale della Provincia tedesca dal 2003 al 2021. Si tratta della comunità dove lei stessa era entrata. Nell’intervista che qui riportiamo, rilasciata per Katholisch.de a Cornelius Stiegemann, racconta quali sono i compiti complessi che ora l’attendono per effettuare la chiusura.
Sorella Dominika, di cosa deve occuparsi nel chiudere una comunità?
Dipende dal fatto se è stato programmato un riutilizzo dello stabile o se è già stata decisa la chiusura. A Halle non è ancora chiaro cosa ne sarà della casa. E non è nemmeno così facile, perché il complesso è un edificio storico tutelato dalle Belle Arti sia per quanto riguarda l'interno sia l'esterno. La nostra cappella neobarocca è grande quanto una chiesa. Per consentire qui un riutilizzo, bisognerebbe prima effettuare degli investimenti in modo appropriato.
Può fare degli esempi?
Abbiamo qui un'area di cura per le nostre sorelle più anziane. Si tratta di tutto ciò che occorre: dalle carrozzelle ai flaconi aperti dei prodotti per la cura. Non possiamo lasciare semplicemente tutto lì. In passato sono vissute qui molte sorelle. Il convento era anche casa provinciale della nostra congregazione; ciò significa che molte suore venivano qui per i ritiri. Quando le riunioni si tenevano nel grande refettorio, occorrevano molte stoviglie, posate e tovaglie. Non possiamo riutilizzare tutto questo. Inoltre dipende anche dal genere di occupazioni che veniva ancora svolto dalle suore stesse. C'è ancora nella casa una cucina funzionante e una lavanderia. Anche se i servizi di pulizia sono - come si dice oggi compiuti da esterni, - ci sono ancora molte suppellettili e bisogna vedere dove possono andare a finire. In passato, venivano distribuiti alle altre case nel nostro Paese. Ciò ha comportato che qui a Halle si siano accumulate molte cose che non erano state acquistate per la nostra comunità ma provenivano da comunità più piccole.
Ci sono dall’estero dei clienti per i letti della comunità?
Diamo i nostri letti e materassi, come anche gli armadi e altri mobili, alle nostre sorelle in Polonia. Le suore di S. Elisabetta gestiscono in questo paese strutture sociali o case per anziani. Le loro attrezzature sono 30, 40 anni più vecchie delle nostre, perciò saranno contente di poter ricevere le nostre cose usate ma ancora in buono stato. Oppure esse conoscono comunità locali bisognose a cui donarle. Si pensa sempre che i polacchi siano tutti cattolici e ben provvisti, ma non è così. Ci sono lì molte comunità povere. Esse ricevono, per esempio, i nostri paramenti liturgici.
I paramenti liturgici sono suppellettili importanti: e per quanto riguarda gli arredi della cappella?
Di solito diamo gli ostensori e i calici alla nostra casa generalizia a Roma o alle missioni. La nostra congregazione ha comunità in Russia, Brasile e Africa. Sono luoghi in cui cresce qualcosa di nuovo e si possono usare per attrezzare le loro chiese. Per i paramenti è più facile trovare clienti che per i banchi di chiesa.
Si tratta di un compito laborioso. Bisogna costruire relazioni con persone che si sentono legate al convento. Più ne conosci, maggiore è la possibilità di piazzare le cose.
E le opere d'arte?
Non è sempre facile per una comunità religiosa come la nostra cedere queste cose. Nelle nostre case ci sono ancora mobili o quadri antichi. Spesso si tratta di regali dei primi tempi dell'insediamento. Non hanno un grande valore, ma ci sono alcune cose belle. Come religiosa non voglio che finiscano in antiquariato o doverli svendere. Stiamo cercando di vedere come agire diversamente. Cerchiamo partner affidabili.
A chi date allora le opere d'arte?
In concreto qui ad Halle abbiamo trovato come cliente il monastero Marienstern presso Mühlberg. Si tratta di un monastero cistercense che fu sciolto durante la Riforma e dal 2000 fu ristrutturato dai padri clarettiani che ne fecero un luogo di incontri ecumenici. Siamo contente di regalare opere d'arte. Ma ci sono altre istituzioni ecclesiastiche o case per anziani che vorrebbero qualche immagine o un quadro per il loro ingresso o la loro cappella.
Vengono da voi anche dei privati di Halle desiderosi di prendere qualche cosa? Del resto il convento ha fatto parte della città per 130 anni.
Sì, ma si tratta di piccole cose. Ci sono anche dipendenti dell'ospedale che chiedono se possono ottenere un quadretto o una immagine. Io organizzerò anche un mercatino dell’usato. Così più o meno tutto andrà via e il resto sarà messo in un container. Si prova in tutti i modi, ma se nessuno è interessato, sarà così.
Lei è stata Superiora provinciale delle Suore di S. Elisabetta per 18 anni. Quante case ha dovuto chiudere durante questo periodo?
Quando ho iniziato il mio incarico nel 2003, c'erano 423 suore in Germania. Ora ne sono rimaste ancora 152. A quel tempo ho avuto in consegna 32 case. E ora con la chiusura di Halle, ne rimarranno ancora sei.
Sei conventi, ossia meno di un quarto delle case – un netto calo.
Sì, ma non è così solo da ieri. Prima del mio ingresso, entravano ogni anno ancora da 10 a 15 giovani. Alla fine degli anni ’60 io ero solo una delle due novizie e l'altra in seguito se ne andò. Anche negli anni che seguirono, ci fu solo una manciata di nuovi ingressi. Penso che al momento del mio ingresso siano vissute in Germania più di 1.000 nostre suore. Anche allora, venne da me la superiora e mi disse: "Non può essere … ma cosa succederà se non entrerà più nessuna?" Io allora le risposi: "Se dobbiamo essere le ultime, vogliamo almeno essere delle buone suore di santa Elisabetta ". Pensavo così già quando ero una novizia di 19 anni e questo è un pensiero che mi ha sempre accompagnato”.
Cosa si prova a chiudere un convento in cui una volta lei era entrata?
È triste chiudere i conventi. Ma mi dispiace di più che siano sempre meno le giovani che desiderano percorrere questo cammino spirituale. Papa Benedetto XVI una volta ha definito gli istituti caritativi-apostolici "progetti di Dio in questo mondo". E io penso che se si realizza un progetto quando c'è un problema o bisogno urgente questo è già in certo senso anche finito. Le nostre fondatrici hanno iniziato affinché i malati non dovessero rimanere senza cure a casa loro. E, bisogna dirlo davvero, sono intervenute con successo.
Ha ancora speranza per la sua congregazione?
Naturalmente diminuiremo, ma il nostro istituto non si sta estinguendo. Ci stiamo rimpicciolendo, senza dubbio, ma – e questo è particolarmente importante per le nostre sorelle più anziane – si va avanti. Non qui a Halle, forse nemmeno più in Germania. Ma nei nostri conventi in Russia, Brasile e Africa.
Dove andranno le sue sorelle di Halle?
Ho chiesto a tutte dove andrebbero più volentieri dopo Halle. Mi sono sempre sentita rispondere: "Oh, un tempo abbiamo fatto voto di andare dove saremmo state inviate. Sarà trovato il posto giusto per noi e ci andrò anche io". Il nuovo governo provinciale ha più o meno esaudito i desideri delle suore. Ovviamente sentiranno dispiacere. Ci sono ancora da noi alcune suore che hanno trascorso qui a Halle tutta la loro vita religiosa, cioè dai 60 ai 70 anni.
Cosa ne sarà di lei?
In estate abbiamo in programma di salutare il personale dell'ospedale. Poi io andrò a Magdeburgo, dove abbiamo un ospedale con una piccola comunità. Io faccio ancora parte del consiglio di vigilanza dell'associazione per gli ospedali e sono presidente della nostra fondazione. Quindi non mi mancherà cosa fare.
trad. a cura di ANTONIO DALL’OSTO