Prezzi Lorenzo
Scisma ed ecumenismo
2021/6, p. 1
Le tappe che hanno portato all’attuale situazione di spaccatura tra slavi ed ellenici, fra Mosca e Costantinopoli. Le accuse di papismo e di protestantizzazione mostrano come la vicenda ortodossa intacchi e incroci non solo la storia, ma il confronto ecumenico.

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LACERAZIONE NELL’ORTODOSSIA
Scisma ed ecumenismo
Le tappe che hanno portato all’attuale situazione di spaccatura tra slavi ed ellenici, fra Mosca e Costantinopoli. Le accuse di papismo e di protestantizzazione mostrano come la vicenda ortodossa intacchi e incroci non solo la storia, ma il confronto ecumenico.
A oltre due anni dalla concessione del tomos dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa di Ucraina (6 gennaio 2019) la spaccatura dell’ortodossia fra slavi ed ellenici, fra Mosca e Costantinopoli, continua a crescere. I piccoli segnali di dialogo (la riunione ad Amman nel febbraio del 2020 – e quella auspicata per quest’anno – il compromesso nei rapporti tra ortodossi filo-russi e filo-costantinopolitani in Francia, l’incontro in USA fra Elpidoro e Hilarion, la lettera alle Chiese sorelle dei polacchi) non sono decollati. I giudizi reciproci diventano aspri e le nuove situazioni li alimentano.
Se Chiesa autocefala e Stato ucraini invitano Bartolomeo per i 30 anni di indipendenza del paese (24 agosto 2021), il cancelliere della Chiesa filo-russa, metropolita Antonio, la rifiuta «per preservare la stabilità sociale e la pace» perché il patriarca ecumenico è, a suo dire, responsabile delle tensioni, delle violenze e illegalità promosse in Ucraina contro la Chiesa filo-russa. Se il vescovo filo-ellenico Job del Consiglio ecumenico delle Chiese ipotizza una rinnovata proposta di unificare la data della Pasqua, Hilarion di Mosca risponde che non se ne parla: «Non c’è alcun interesse del nostro popolo per un cambiamento del calendario». Se la Macedonia del Nord chiede l’autocefalia a Bartolomeo, la Serbia e la Russia alzano i toni dello scontro e se la Cechia festeggia i 70 anni di autocefalia da parte della Chiesa di Mosca, Bartolomeo ammonisce che il riconoscimento non ha validità perché non viene dal Fanar. Tutto questo non nasconde una diffusa sofferenza nelle Chiese ortodosse e la presenza di molte voci sinceramente preoccupate dello scisma. Ne è un segnale il silenzio di molte Chiese (rumena, bulgara, albanese ecc.), la neutralità delle altre confessioni (a partire dalla Chiesa cattolica) e la continuità dei rapporti anche in un contesto di progressiva sclerosi del movimento ecumenico.
Frattura sull’autocefalia
È utile ricordare alcuni momenti del confronto. Accogliendo un gruppo di deputati ucraini all’inizio di marzo Bartolomeo conferma: «La concessione dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa ucraina nel 2019 è stata anzitutto l’espressione di una cura pastorale per la giustizia e la libertà spirituali … Solo il patriarca ecumenico ha il diritto e la responsabilità di accordare l’autocefalia, in conformità alla tradizione e prassi canonica della Chiesa ortodossa». Nell’intervista concessa ad Avvenire (13 febbraio) sottolinea: «Non c’è scisma nell’ortodossia. L’ho detto e lo ripeto ora. C’è una visione diversa da parte della Chiesa di Russia sulla questione ucraina, che si è manifestata nella cessazione della comunione nella Chiesa madre di Costantinopoli e poi con le altre Chiese autocefale armonizzate con la decisione del patriarcato ecumenico di concedere l’autocefalia alla Chiesa di Ucraina». Differenze canoniche e non dogmatiche. Niente a che vedere con «convenienze politiche o addirittura geopolitiche». Il 7 gennaio il patriarca di Mosca, Cirillo, aveva detto «Il Fanar (Costantinopoli) non ha semplicemente commesso un errore, ma ha commesso un crimine … Il patriarca Bartolomeo era sotto pressione di potenti forze politiche di una delle superpotenze mondiali … La logica era quella di distanziare la Russia, la Russia ortodossa dai suoi fratelli e sorelle ortodossi del Mediterraneo e del Medio Oriente … L’intenzione: lo strappo fra la Chiesa russa e gli ortodossi greci». «Non c’è dubbio che ciò che è accaduto in seguito a Costantinopoli sia la testimonianza della punizione divina. Il patriarca Bartolomeo ha riconosciuto gli scismatici nella Chiesa di santa Sofia a Kiev e ha perso la cattedrale di santa Sofia a Costantinopoli, diventata moschea … Il peccato era troppo grande». Più sorvegliate, ma simili, le parole di Hilarion, presidente del dipartimento delle relazioni ecclesiastiche del patriarcato, pronunciate qualche settimana prima: «Questa è la vox populi. Come gerarchi della Chiesa russa non siamo d’accordo con queste conclusioni perché riteniamo che il triste evento non interessi solo la Chiesa costantinopolitana, ma l’intero mondo ortodosso». La Chiesa ortodossa «sta dividendosi. Il patriarca Bartolomeo è all’origine della divisione». «Rompiamo la comunione solo coi primati e le gerarchie che entrano in comunione con gli scismatici e lo facciamo perché ce lo impongono i santi canoni». Le Chiese interessate sono: Costantinopoli, Grecia, Antiochia e Cipro. Il cancelliere della Chiesa ortodossa ucraina filo-russa, il metropolita Antonio conferma: «È necessario parlare della crisi che si sviluppa nell’ortodossia mondiale non come uno scontro fra il mondo greco e slavo o una battaglia per questioni di amministrazione ecclesiale. È tutto più complesso e più grave. Si sta producendo un grande scisma che attraversa sempre più le Chiese locali. L’essenza della crisi può essere riassunta nella lotta fra coloro che vogliono alimentare la propria visione dell’ortodossia, accomodante e corrispondente ai propri interessi, e quelli che restano fedeli al deposito della fede ortodossa».
Papisti contro protestantizzanti
L’ “infamante” accusa verso Costantinopoli è quella di “papismo”, la pretesa di un potere simile a quello esercitato da Roma sulle Chiese d’Occidente. «Quello che si sta diffondendo attraverso i media – risponde Bartolomeo l’8 marzo – sulle pretese papiste del patriarcato ecumenico è completamente falso … Fornire un contributo all’arbitrato e alla risoluzione delle controversie che sorgono fra le Chiese … è la nostra responsabilità, la nostra eredità. Non abbiamo il diritto di ignorarlo. Le speculazioni circa altre intenzioni sono fake news». In una intervista del 10 febbraio era stato esplicito: «Il problema non riguarda propriamente l’autocefalia ucraina o le ordinazioni considerate inesistenti o invalide della gerarchia ucraina, come alcuni dicono. L’obiettivo è di cancellare i diritti propri alla sede costantinopolitana per passarle in altre mani. Potete comprendere come nella mia posizione da una parte non posso svendere le responsabilità che i miei predecessori mi hanno consegnato per la prassi ecclesiale e, dall’altra, permettere, perché ne va di mezzo la mia responsabilità, il tracollo spirituale di quanti flirtano con una Chiesa ortodossa di tipo federalistico proprio delle Chiese protestanti. Chi si comporta da papista? Colui che resta fedele alla tradizione o chi rivendica una posizione che non ha mai avuto e che non avrà?». L’allusione a Mosca è evidente.
Risponde Hilarion: «Quanto alla mitologia che aleggia sulla Chiesa russa, le accuse di espansione della teoria della “terza Roma” citatemi un solo documento ufficiale della nostra Chiesa ove si parli di Mosca come la “terza Roma”. O anche una risoluzione del sinodo, una citazione del patriarca o un mio intervento. Non c’è. È una concezione che rimonta a secoli precedenti e che appartiene a un lontano passato. Non ha più alcun interesse per noi, non desideriamo prendere la testa dell’ortodossia mondiale. Ci basta il posto che occupiamo». Il vescovo Ireneo di Bača, della Chiesa serba, grande sostenitore di Mosca (più cauto l’attuale patriarca serbo, Porfirio), aggiunge: «Il problema del “neo-papismo” esiste purtroppo … (l’intervento di Costantinopoli in Ucraina) non ha abolito né attenuato gli scismi, ma al contrario li ha approfonditi e prolungati. Gli scismi esistenti, dal contesto ucraino si sono trasmessi all’intero mondo ortodosso». Si è voluto indebitamente conciliare il primus inter pares (primo fra pari) col primus sine paribus (primo senza pari). Mosca mette la sordina sui conflitti religiosi con la Chiesa di Georgia (Ossezia e Abcazia), con quella rumena (minoranze rumene nei territori ucraini a prevalente presenza della Chiesa filo-russa) e moldava, per enfatizzare le difficoltà delle Chiese che hanno accettato l’autocefalia ucraina (Costantinopoli, Cipro, Grecia e Antiochia).
Servitù politiche
Mentre Elpidoro, vescovo d’America per i greco-bizantini, paragona il coraggio di Bartolomeo a quello del patriarca Fozio «che ha presieduto con amore al primo trono dell’ortodossia» verso cui gli slavi saranno sempre in debito «per la sua visione, coraggio e tenacia nel condividere la grande luce di Cristo», Hilarion accusa il patriarca ecumenico di servilismo rispetto agli USA e il già citato Ireneo semplifica e ironizza sulla rivoluzione copernicana di Costantinopoli che, dopo una decina di incontri con l’ambasciatore americano alla libertà religiosa, M. Brownback, cambia il proprio atteggiamento e riconosce le strutture scismatiche in Ucraina. Per l’arcivescovo Leonide, vice presidente del dipartimento delle relazioni estere del patriarcato di Mosca, l’autocefalia ucraina «è anzitutto un progetto politico, teso a indebolire la Chiesa ortodossa russa, a smantellare l’ortodossia, a rafforzare la divisione fra Russia e Ucraina». Bartolomeo è vittima dello scontro geopolitico fra USA e Russia. Una lettura pressoché identica a quella espressa dal ministro degli esteri di Mosca, Sergej Lavrov in una conferenza stampa il 18 gennaio: «Washington non ha nascosto la volontà di seminare discordia in Ucraina creando una pretesa Chiesa ortodossa d’Ucraina». Gli americani avrebbero affidato a Bartolomeo, attraverso lo scisma ucraino, la missione «di seppellire l’influenza dell’ortodossia nel mondo di oggi. Non vedo altra spiegazione per le sue azioni». L’ex segretario di stato americano, Mike Pompeo, rovescia specularmente la lettura invocando la libertà religiosa: «Ho vegliato perché gli Stati Uniti sostenessero il riconoscimento internazionale della Chiesa ortodossa ucraina, aiutando il metropolita Epifanio a sfuggire l’influenza russa».
Ucraina: la guerra e le leggi
La situazione ecclesiale in Ucraina è più tranquilla di due anni fa. La Chiesa filo-russa rimane quella più importante: 53 diocesi, 12.374 parrocchie, 255 monasteri, 12.456 preti, 108 vescovi (dati che comprendono anche la Crimea). La Chiesa autocefala ha 7.000 parrocchie, 44 diocesi, 80 monasteri, 4.500 preti, 60 vescovi. Ma le rilevazioni sociologiche danno a quest’ultima il 18% dei consensi e alla prima il 13,6% (senza Donbass e Crimea). Va ricordata la significativa presenza dei cattolici greco-ortodossi che superano i quattro milioni di abitanti (oltre a quelli di rito latino). In una indagine sulla fiducia dell’ottobre 2020 le figure ecclesiastiche sono in quest’ordine: papa Francesco 45,4%, Epifanio (Chiesa autocefala) 44,3%, Bartolomeo 32,1%, Onufrio (Chiesa filo-russa) 31,9%, Ševčuk (greco-cattolici) 29,3%, Cirillo di Mosca 15%. La recrudescenza della guerra del Donbass (14.000 morti) ha visto innalzarsi il pericolo di un confronto Nato-Russia ed è l’emergenza più impellente e il problema sociale più grave. In tale contesto i conflitti ecclesiali sono da un lato evidenziati (il Donbass e le aree di confine orientale sono in maggioranza di ceppo russo, così come la Crimea occupata militarmente dalla Russia), dall’altro lato relativizzati dalla necessità urgente della pace. I temi ecclesiali più discussi sono le possibili censure di Costantinopoli alla Chiesa filo-russa e la permanenza di leggi della precedente presidenza (Poroshenko). Bartolomeo ha già detto di non riconoscere più Onufrio come il metropolita di Kiev, a cui ha risposto il sinodo della Chiesa filo-russa affermando l’inesistenza di un diritto in merito da parte di Costantinopoli non essendo Kiev sotto la giurisdizione di Costantinopoli. È in preparazione un analogo provvedimento contro i vescovi. Il metropolita Antonio lo considera semplicemente «delirante». Epifanio ha chiesto a Bartolomeo il riconoscimento di patriarcato, una volta che la maggioranza delle parrocchie aderissero alla Chiesa autocefala. Sono ancora vigenti due leggi che prevedono la modalità del passaggio canonico alla Chiesa autocefala e il cambiamento di nome della Chiesa filo-russa: da Chiesa ortodossa ucraina a Chiesa russa in Ucraina. Con un terremoto giuridico in ordine alle proprietà e ai riconoscimenti amministrativi e legali. La Chiesa autocefala ne ha invocato il rispetto, mentre quella filo-russa ha presentato al presidente un milione di firme che ne pretendono la modifica. Sarebbero una decina i progetti di legge che intaccherebbero i diritti della Chiesa filo-russa. Hilarion ha ricordato al presidente ucraino Zelensky il suo diritto-dovere di ricorrere alla Corte per verificare la coerenza costituzionale delle leggi e di vigilare sulle amministrazioni locali.
Dare futuro all’ecumenismo
Le accuse di papismo e di protestantizzazione mostrano come la vicenda ortodossa intacchi e incroci non solo la storia, ma il confronto ecumenico. L’avvicinamento fra ortodossia e cattolicesimo è avvenuto con il Concilio, la rimozione delle scomuniche e l’incontro fra Atenagora e Paolo VI. Il dialogo teologico è stato iniziato negli anni ‘80 e la questione del primato (nel primo millennio) viene avviata nel 2000. Già nelle riunioni a Belgrado (2006) e ancora di più a Ravenna (2007) l’ortodossia russa si sfila dal considerare l’esistenza di una primazia universale nella Chiesa nel primo millennio, seppur declinata molto diversamente dalle due tradizioni. In particolare nel 2013 esce da Mosca il documento risposta a quello di Ravenna che ne invalida le conclusioni. Il documento ravennate è ispirato da parte ortodossa dalla teologia del massimo teologo ortodosso vivente, Giovanni Ziziulas. Essa è centrata sulla interpretazione eucaristica dell’ecclesiologia. La Chiesa si realizza solo nel sacramento che diventa modello anche per le sue strutture. Come nella celebrazione il Cristo che convoca si rappresenta nel ministro, così avviene nell’esercizio delle istituzioni ecclesiali a tutti i livelli, diocesano, territoriale e universale. È quanto richiesto anche dalla cristologia: il mistero di Dio è compenetrato con la carne di Gesù. Questo suppone che la sua rappresentanza non sia legata a istituzioni (fosse pure il sinodo o il concilio), ma ad una figura che abbia i tratti della “personalità rappresentativa”. Si comprende come il patriarca ecumenico possa essere definito congiuntamente dall’essere primus inter pares e primus sine pares. Il testo russo si oppone radicalmente a questo impianto. L’autorità del vescovo nelle diocesi è di ordine sacramentale in base alla tradizione apostolica, quello del primate è di ordine primaziale-elettivo, quello universale è secondo i canoni della Chiesa antica: un primato di onore senza alcuna primazia. La conseguenza è di sacralizzare gli attuali equilibri e strutture. Con queste conclusioni sommate allo scisma ucraino è facile prevedere un blocco o un serio rallentamento del movimento ecumenico, almeno a livello teologico. Il responsabile del dicastero per il dialogo ecumenico, card. Kurt Koch, in un articolo del 18 gennaio (Osservatore Romano) valorizza la posizione del documento di Ravenna: «Da parte delle Chiese ortodosse, invece, possiamo aspettarci che, nel dialogo ecumenico, giungano a riconoscere che il primato a livello universale non è solo possibile e teologicamente legittimo, ma anche necessario. Le tensioni intra-ortodosse, emerse in modo particolarmente evidente in occasione del santo e grande sinodo di Creta del 2016, dovrebbero farci comprendere la necessità di considerare un ministero di unità anche a livello universale della Chiesa, che ovviamente non dovrebbe limitarsi a un semplice primato onorario, ma includere anche elementi giuridici. Un tale primato non contraddirebbe in alcun modo l’ecclesiologia eucaristica, ma sarebbe compatibile con essa, come spesso ricorda il teologo e metropolita Giovanni Ziziulas». È comunque interessante notare come il dibattito teologico più spinoso prenda avvio proprio dal dialogo ecumenico. A testimonianza della sua necessità.
LORENZO PREZZI