Prezzi Lorenzo
Bose: una restituzione
2021/5, p. 20
La vita monastica e la vita consacrata hanno ricevuto molto negli scorsi decenni dall’esperienza e dalle attività della comunità di Bose. Nell’attuale tensione, purtroppo ancora non risolta, è bene ricordare un dovere di restituzione. Senza svalutazioni improprie («sono come tutti»), senza personalismi schierati, senza dipendenze mediali o pretese assolute («vogliamo sapere tutto») e senza un distacco scettico («non mi riguarda») i consacrati sono chiamati alla preghiera, alla riconoscenza e alla comprensione. Tutte le famiglie religiose hanno vissuto momenti difficili nella propria storia.

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Bose: una restituzione
La vita monastica e la vita consacrata hanno ricevuto molto negli scorsi decenni dall’esperienza e dalle attività della comunità di Bose. Nell’attuale tensione, purtroppo ancora non risolta, è bene ricordare un dovere di restituzione. Senza svalutazioni improprie («sono come tutti»), senza personalismi schierati, senza dipendenze mediali o pretese assolute («vogliamo sapere tutto») e senza un distacco scettico («non mi riguarda») i consacrati sono chiamati alla preghiera, alla riconoscenza e alla comprensione. Tutte le famiglie religiose hanno vissuto momenti difficili nella propria storia.
Il decreto pontificio
Dopo la visita fraterna del 2014 e quella canonica che si è sviluppata fra il 6 dicembre 2019 e il 6 gennaio 2020, il 13 maggio dello stesso anno un decreto della Santa Sede imponeva l’allontanamento di tre monaci (fra cui il fondatore, fr. Enzo Bianchi) e di una monaca. Tre hanno ubbidito, ma Enzo Bianchi è rimasto dov’era, in una casetta ai margini della comunità. Tutte le pressioni esercitate e tutte le proposte fatte (in particolare la sua possibile dislocazione in una delle comunità, a Cellole di Siena, notificato il 4 gennaio scorso) non hanno smosso il fondatore che ha aperto un proprio blog alimentando la divisione interna alla comunità. Al centro di una bufera mediale il priore (Luciano Manicardi) e il delegato (Amedeo Cencini) vengono ricevuti dal papa il 4 marzo e il 12 Francesco invia una lettera di sostegno. C’è voluto la lettera del papa alla comunità per dare luce e visibilità a quanti vivono a Bose e attraversano un periodo di defatiganti confronti interni. «Desidero esprimervi di tutto cuore la mia vicinanza e il mio sostegno in questo periodo di dura prova che state attraversando per vivere con fedeltà la vostra vocazione. Sono bene al corrente di quanto in questi ultimi mesi le gravi difficoltà che avevano portato alla visita apostolica e all’emanazione del decreto singolare si sono purtroppo accresciute a causa del prolungato ritardo frapposto all’esecuzione delle decisioni della Santa Sede ivi contenute … Non lasciatevi turbare da voci che mirano a gettare discordia tra voi: il bene dell’autentica comunione fraterna va custodito anche quando è alto il prezzo da pagare! Così come la fedeltà in tali momenti consente di cogliere ancora più la voce di Colui che chiama e che dà la forza di seguirlo».
Far vivere la comunità
Nella comunicazione pubblica, sia interna alla Chiesa e soprattutto esterna, la comunità, il suo vissuto, le sue indicazioni e la sua sofferenza non sembrano avere spazio. Di sofferenza, prova e dolore sono intrise le sorvegliate comunicazioni che appaiono sul sito del monastero. Le testimonianze di tutti i singoli fratelli e sorelle raccolti nella visita apostolica che hanno dato origine al decreto papale e gli indirizzi espressi da una larga maggioranza nei passaggi successivi non raccolgono alcuna attenzione. La «scelta del silenzio» è intesa nei media come irrilevanza. Essa contrasta con la logica comunicativa, penalizza le ragioni dei monaci e costringe i comunicati istituzionali a una rincorsa, spesso perdente. Un amico di lunga data della comunità e dello stesso Enzo Bianchi, Daniele Rocchetti, così scrive su L’eco di Bergamo (10 marzo): «una scelta (quella del silenzio) che deve essere costata non poco ai fratelli e alle sorelle visto il fango che, in modo quasi ininterrotto dallo scorso maggio in poi è stato gettato sul priore, sull’economo e poi sul delegato pontificio mandato per accompagnare la comunità in questo tempo tribolato. Fango che ha trovato spazio fecondo nei social. Dove, contrariamente a quanto sostengono in tanti, il mainstream ufficiale è sempre stato molto ostile nei riguardi della comunità e delle sue figure di rilievo, anche per il rilancio degli interventi di amici e firme autorevoli a sostegno di Enzo Bianchi sui più importanti quotidiani del nostro paese». Lo aveva già sottolineato p. Cencini in una intervista ad Avvenire il 2 settembre 2020: «Molti riducono la vicenda Bose a una questione di disposizioni disciplinari per alcune persone, ignorando in pratica la comunità. O sono turbati, e giustamente come dice lei, dalla sofferenza di chi è colpito direttamente dalle sanzioni del decreto, ma senza alcuna attenzione a una sofferenza che a Bose è presente da anni, e che forse per molto tempo è rimasta sotto traccia, non considerata, e che invece va riconosciuta e com-patita. L’attenzione deve andare in entrambe le direzioni. È proprio per questo che stiamo lavorando con tutta la fraternità, a livello individuale e comunitario, e non solo per accogliere e “curare” questo dolore, ma per eliminare il più possibile le radici».
Le strade parallele
Dichiarazioni molto secche, il 6 e 16 marzo 2021, fra il fondatore (che curiosamente afferma di avere obbedito) e il delegato apostolico indicano una distanza non ancora colmata. Si è sollevata, più recentemente, una disputa relativa allo statuto allegato alla domanda di sovvenzionamenti alle fondazioni bancarie per la presenza di una norma transitoria che riconosce a Bianchi il ruolo di priore emerito e di rappresentanza. Una aggiunta occasionale e condivisa dall’interessato che il testo ufficiale non ha. Da dieci mesi Bianchi parla di una possibile partenza di cui non vi è traccia. Un imbarazzato silenzio da parte dei monasteri (a parte M.D. Semeraro), del mondo ecumenico e dei vescovi italiani accompagna un clamore mediale che via via perde forza. Sull’intera vicenda resta molto “non detto e non pubblico” che sembra avere ragione non tanto nell’opacità dell’istituzione e nell’approssimazione della comunicazione (pur veri) quanto piuttosto nella custodia e difesa delle persone e della possibilità di una ripresa per tutti. La possibile diversa dislocazione dei monaci che sostengono le posizioni del fondatore potrebbe essere auspicabile davanti al pericolo di una implosione. Sarebbe un grave impoverimento per la Chiesa italiana.
LORENZO PREZZI