Dall'Osto Antonio a cura
Comunità di vita consacrata in Terra Santa
2021/5, p. 4
Il card. Philippe Barbarin, di ritorno da un viaggio di alcuni mesi in Terra Santa, dove ha potuto visitare un notevole numero di comunità di vita consacrata, descrive le impressioni che ha avuto.

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Testimoni
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TESTIMONIANZA DEL CARD. BARBARIN
Comunità di vita consacrata
in Terra Santa
Il card. Philippe Barbarin, di ritorno da un viaggio di alcuni mesi in Terra Santa, dove ha potuto visitare un notevole numero di comunità di vita consacrata, descrive le impressioni che ha avuto.
Il confinamento dell’inizio del 2020 mi ha dato l’occasione di trascorrere più di tre mesi in Terra Santa. Avevo seguito precedentemente una formazione di alcune settimane per diventare guida, poi ho accompagnato diversi pellegrinaggi e partecipato ad alcuni incontri ebreo-cristiani internazionali, ma non ero mai rimasto così a lungo in Israele.
Tre mesi in Terra Santa
I monaci e le monache dell’abbazia di Abu Gosh mi hanno accolto come un fratello e mi hanno consentito di visitare numerose comunità religiose. La prima uscita nel paese mi ha condotto al santuario di Qiryat Yearim, per salutare le suore di San Giuseppe dell’Apparizione. Desideravo ritrovare questo luogo di Nostra Signora dell’Alleanza che avevo scoperto nel 1974 e allo stesso tempo la chiesa a forma di croce di Abu Gosh che accoglie da vari anni dei gruppi della “Bibbia sul campo” (BST). Quasi lungo il cammino è stato costruito di recente dall’Opus Dei un centro impressionante, “Saxum” di cui alcuni laici consacrati mi hanno spiegato il progetto pedagogico, concepito per i pellegrini.
Abu Gosh è stata, per così dire, la mia base. Durante il confinamento, il monastero non accoglieva più i gruppi dei pellegrini che normalmente vi affluivano, ma era mantenuto il contatto con un gran numero di comunità religiose della Terra Santa. Questo mi ha consentito, come mi era stato raccomandato da numerose comunità di Francia, prima della mia partenza, di visitare vari luoghi e di trascorrere diversi giorni in comunità come i trappisti di Latroun, il Carmelo e i Benedettini del Monte degli Olivi , le Beatitudini di Emmaus-Nicopolis, i monasteri di Betlemme, le Clarisse di Gerusalemme, le Piccole Sorelle di Gesù, le suore di San Vincenzo de’ Paoli, di San Giuseppe o del Rosario, i carmeli di Haïfa e di Betlemme, e naturalmente i Francescani della Custodia, ma anche gli Assunzionisti, i Gesuiti e i Domenicani, i Salesiani, i Legionari di Cristo, i Benedettini tedeschi della Dormitio, la comunità del Chemin Neuf al centro di Tantour... e certamente ne dimentico. Avevo previsto anche di andare in altri luoghi, come la casa dell’Emmanuel sulle rive del lago, ma questa era chiusa a causa del coronavirus. Quasi dappertutto, si è trattato di un bell’incontro con la comunità che si presentava, raccontava la sua vita, la sua storia, i suoi contatti, la sua missione e chiedeva semplicemente la mia testimonianza, e a volte una conferenza, e anche un piccolo ritiro o un incontro su un tema (soprattutto sulla Parola di Dio, ma anche su questo o quel teologo, sui rapporti ebreo-cristiani o ancora tre giorni sul discernimento al Carmelo di Haïfa). I fratelli e le sorelle di Abu Gosh, ma anche un monaco di Betlemme mi hanno accompagnato per giornate intere di cammino nel deserto o nel fondo di un wadi... un incanto e numerose scoperte per chi ha visto venti o trenta volte i medesimi luoghi da presentare ai pellegrini – perché questi non vengono che una sola volta nella vita in questa terra benedetta – ma non ha mai avuto il tempo di scoprire dei luoghi nuovi! Lì, secondo l’usanza che si è diffusa da alcuni decenni, eravamo “Bibbia alla mano” e “Bibbia sul campo” a due a due o in un piccolo numero. Leggevamo costantemente la Parola (una magnifica lettura di nove capitoli di Amos in una grotta del Wadi Chariton, vicino a Teqoa, che momento meraviglioso!) ma parlavamo anche semplicemente, soprattutto di questo paese evidentemente, della sua Chiesa e delle comunità a cui appartenevano questi fratelli e queste sorelle.
Per me è stato importante anche trascorrere diversi giorni al Patriarcato latino e avere degli scambi fraterni, semplici e profondi, in questa “Casa” specialmente con mons. Pizzaballa, Amministratore della diocesi, lui stesso religioso francescano, ex Custode della Terra Santa. Con lui abbiamo trascorso un lungo momento nel monastero di Betlemme. L’ho visto ascoltare, interrogare le suore, pregare con la comunità, condividere un pasto. Mi ha chiesto più volte le impressioni sui luoghi dove mi ero recato.
Alcune impressioni
Ciò che mi ha anzitutto colpito nel panorama generale della vita della chiesa cattolica è la forte diminuzione delle comunità cristiane, mentre la presenza degli istituti di vita consacrata rimane impressionante. Un monaco mi ha comunicato la sua paura nel vedere molti cristiani arabi che lasciavano il paese. “Presto, la comunità di Gerusalemme diminuirà fino al numero del primo giorno. Non saranno neanche 3000!”. Questo non vale indubbiamente per il Nord dove si vedono delle parrocchie melchite numerose e vivaci, ma diventa per esempio veramente doloroso nella regione di Betlemme. In vari ambienti sentivo la domanda dopo il discorso di Pietro: «Fratelli che cosa dobbiamo fare? Un interrogativo che avevo l’impressione volesse anche dire: “La Chiesa si rende conto di ciò che ci capiterà?”
Gli ordini, le congregazioni e gli istituti religiosi, le nuove comunità cercano quasi tutti di tenere o mantenere un vero insediamento in questa terra promessa e donata al popolo eletto, specialmente nella città di Gerusalemme che noi proclamiamo tutti come la nostra città natale (Sal 87,5).
Un altro aspetto che mi ha colpito: il mondo monastico è ben rappresentato, direi anzi in maniera molto impressionante dalla famiglia benedettina (oltre ad Abu Gosh, ci sono un monastero di benedettine sul Monte degli Ulivi e due insediamenti di benedettini tedeschi a Gerusalemme (La Dormitio) e sulle rive del lago (Tabgha). La montagna del Carmelo ha attirato i padri carmelitani e le suore, ad Haïfa e Muhraqa. Ma ci sono tre altri carmeli femminili a Gerusalemme, Betlemme e Nazareth...., alcune comunità internazionali in cui la presenza francofona e italiana è ancora significativa, e dove sono giunte delle forze nuove dalla Polonia, America latina, Africa e Madagascar. Non ci cono comunità certosine ma la presenza dei Cistercensi di Latroun (abbazia “figlia” Sept-Fons) è un riferimento nella chiesa locale e importante nella regione. Numerosi russi, giunti da una trentina d’anni, frequentano questo luogo; molti che si sentono “assetati” vengono a cercare una vita nuova... Un sacerdote salesiano che si trova a Bet Gemal fa da cappellano della parrocchia russa. È una sorpresa vedere, entrando nel negozio di Latroun, che oltre il vino e le diverse bibite prodotte dal monastero, tutto il resto (icone, libri di preghiera...) è in russo! Io ho avuto la gioia di celebrare una mattina la messa dalle Clarisse di Gerusalemme e di trascorrere poi un lungo momento insieme a loro. Mi hanno parlato della loro suor Maria della Trinità che era stata vicina ad Adrienne von Speyr, e a cui Hans von Balthasar si era interessato (come alla suora Missionaria delle campagne che portava il medesimo nome in Francia). Impressiona, forse anche dolorosamente, vedere che il reclutamento delle comunità contemplative è troppo poco praticato, in questo tempo, nella chiesa locale.
Molti istituti dedicano anche una grande energia al servizio sociale e educativo, in particolare nel mondo scolastico e sanitario. Certo mancano anche le vocazioni, in maniera inquietante attualmente, presso i Fratelli delle scuole cristiane, le Figlie della carità o le suore di San Giuseppe, ma le loro istituzioni occupano ancora un posto importante nel paesaggio. Alcuni ordini cavallereschi continuano a dar prova di una grande generosità per le scuole e gli ospedali. È impressionante vedere, nella piccola città di Taybeh, quasi tutta cristiana, in territorio palestinese, che numerose famiglie musulmane dei dintorni mandano i lori figli alla scuola cattolica. All’ospedale Saint-Louis dove è morto il p. Charles, ex abate di Abu Gosh, i musulmani e gli ebrei sono accolti con la stessa attenzione dei cristiani e tutti mangiano un menu “casher” senza alcuna obiezione.
È una gioia vedere comunità desiderose di un contatto in profondità e di immersione nel mondo locale. Alcuni decenni fa, avevo incontrato le Piccole Sorelle di Gesù che vivevano la loro consacrazione nel mondo ebraico, vicino a Tel Aviv; e questa volta, un mattino di quaresima mi sono recato a celebrare dalle Piccole Sorelle alla 6° stazione, a Gerusalemme. Poi abbiamo avuto a nostro agio un tempo di condivisione con questa comunità in cui l’ex superiora generale continua il suo percorso e la sua testimonianza: è una presenza molto semplice che irradia e offre la sua luce all’intorno. Il Fratel Louis Marie, priore di Abu Gosh, mi ha spiegato che all’origine della fondazione del loro monastero da parte dell’abbazia di Bec-Hellouin, ci fu il desiderio esplicito di una presenza monastica cristiana in terra d’Israele, volta particolarmente al mondo ebraico e in buona relazione con le altre componenti della società. Si capisce perché questo luogo era così caro al card. Lustiger e ammiriamo come il Dr Prasquier e gli ebrei di Francia (CRIF) abbiano desiderato di collocare un memoriale in suo onore nel parco dell’abbazia.
In questo luogo in cui “Terra e Parola” sono intimamente legate, gli istituti di vita consacrata – specialmente gli ordini mendicanti – vogliono anche continuare a lavorare sulla Parola. I Domenicani nel convento Saint-Étienne continuano la missione inaugurata dal p. Lagrange alla Scuola Biblica e Archeologica Francese. Il progetto straordinario della BEST (la Bibbia nelle sue Tradizioni) promossa da tutta un’équipe attorno al P.O. Th. Venard, lascia intravedere un buon secolo di lavoro! Coloro tra i Predicatori e gli altri ricercatori che sono partiti all’inizio di marzo per festeggiare a Parigi il 100° anniversario dell’affiliazione della École Archéologique all’Istituto sono stati impediti di ritornare per diversi mesi a causa del confinamento. I Gesuiti hanno anch’essi il loro Istituto Biblico e alcuni sono molto impegnati nel dialogo con il mondo ebraico. I Francescani, oltre alla loro missione di custodi dei luoghi santi (la “Custodia”) vegliano sul loro “studium” nel convento della Flagellazione, un’istituzione di alto livello in cui si formano i francescani giunti da tutti i continenti, ma anche dei giovani delle nuove comunità consapevoli dell’importanza di questi anni di presenza e di formazione in questi luoghi santi.
I legami di queste diverse istituzioni con il mondo ebraico e l’Università ebraica sono attualmente frequenti e nutriti. All’interno della diocesi cattolica latina, la presenza della comunità ebreofona è cambiata e ha assunto molta importanza in questi ultimi decenni. Il dialogo ebreo-cristiano è ricco e variato; il “Camino” (Cammino neocatecumenale) che non ha lo statuto di un Istituto di vita consacrata, ha il suo posto al centro delle preoccupazioni della Chiesa, ma sempre un po’ decentrato. Immagino che non tutto vada bene tra tutte queste comunità, ma ho visto che tutto ciò è fiorente, ci si conosce e ci si rispetta in questa diversità di presenze e di modalità di azione in una terra, un paese dove è essenziale che i discepoli di Gesù abbiano il loro posto.
Giovani cattolici vengono da ogni parte e soprattutto dall’Europa per fare servizio per alcuni mesi, o anche per uno o più anni in questi diversi luoghi di Chiesa. Sono accolti con premura e seguiti, nelle diverse comunità.
Una sera, prima che il confinamento diventasse più rigido, gli Assunzionisti mi avevano invitato a incontrare i giovani francesi in servizio a Gerusalemme: una bella serata fraterna di preghiera, domande, riflessioni e scambi in questo luogo magnificamente restaurato e trasformato di San Pietro in Gallicantu.
Le nuove comunità aprono dei cammini e prendono delle iniziative interessanti. Un membro di spicco dell’Opus Dei mi ha invitato a scoprire il centro Polis che aveva fondato in collegamento con la Scuola Biblica per un apprendimento accelerato delle lingue antiche e moderne. I membri della comunità delle Beatitudini, fedeli al loro carisma di origine (Leone di Giuda), approfondiscono il solco delle relazioni con l’ebraismo. I Legionari escono dalle loro dolorose ferite lavorando all’accoglienza dei pellegrini e aprendosi all’archeologia grazie alla scoperta di questa sinagoga così straordinaria del I° secolo a Magdala. Molti cercano di approfondire il legame e il dialogo con gli ebrei messianici che sono per noi come dei fratelli per il loro riconoscimento del Messia nella persona di Gesù ma che sono molto diversi, per non dire divisi tra di loro.
A mo’ di conclusione: un invito alla preghiera
Per quanto riguarda la vita consacrata, terminerei esprimendo la mia gioia di un incontro con la comunità melchita, nel corso di un ritiro in una Laura della Galilea. Eravamo sulla cima di una collina, in una foresta, un sabato. Una religiosa e un prete melchita, sposato, padre di famiglia e direttore scolastico aveva proposto una giornata di ritiro. C’erano alcune centinaia di famiglie con dei bambini, piccoli e adolescenti, e un buon numero di giovani adulti. Alcuni di essi cercavano un cammino di una vita consacrata che non esiste nella loro Chiesa e che non vedevano come poter realizzare attualmente nella Chiesa melchita di Galilea. Io li ho incoraggiati ad avere pazienza e ad essere determinati, a mantenere, per il momento, il loro impegno professionale e ad approfondire il significato e la realtà della vita consacrata. Mi hanno chiesto di parlare di loro all’Amministratore apostolico e anche a papa Francesco. Mi hanno legato al polso un braccialetto di spago perché mi ricordassi di loro e pregassi fedelmente per questa intenzione. Questo fatto mi offre l’occasione di parlare spesso di loro, in particolare a quanti mi interrogano sul significato di questo piccolo segno. Da alcuni mesi mi tengono al corrente del cammino che seguono. Alcuni vanno a fare un ritiro e intrattengono contatti con diversi monasteri contemplativi della Chiesa latina per comprendere poco alla volta cosa vuol dire “vita consacrata”. Trovano naturalmente anche degli ostacoli e io sono contento di affidarli alla preghiera dei lettori di queste righe perché questo progetto abbia successo e rigeneri interiormente la comunità melchita e tutta la Chiesa di questa terra benedetta dove il Signore è venuto fino a noi!
a cura di Antonio Dall’Osto