D'Urbano Chiara
Rinascere dalla pandemia, ripensare il nostro stare insieme
2021/4, p. 1
Continuiamo a dar conto del Convegno on-line, tenutosi il 14 novembre scorso, sul tema “Vita consacrata: laboratorio di nuova umanità”, organizzato dall’Area animazione della Vita Consacrata USMI e CISM nazionale con la collaborazione dell’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni. Dopo gli interventi, presentati il mese scorso, di don Beppe Roggia e di don Cesare Pagazzi, in queste pagine diamo spazio alla riflessione psicologica della dott.ssa Chiara D’Urbano, psicologa e psicoterapeuta, specializzata in Psicologia clinica e Psicoterapia psicoanalitica, che si occupa in particolare di accompagnamento psicoterapeutico della vita sacerdotale e consacrata, oltre che di problematiche di coppia.

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AREA FORMAZIONE CISM – USMI
Rinascere dalla pandemia,
ripensare il nostro stare insieme
non c’è sommario. la parte che segue fa da sommario, per questo va lasciata in corsivo
Continuiamo a dar conto del Convegno online, tenutosi il 14 novembre scorso, sul tema “Vita consacrata: laboratorio di nuova umanità”, organizzato dall’Area animazione della Vita Consacrata USMI e CISM nazionale con la collaborazione dell’Ufficio nazionale per la pastorale delle vocazioni. Dopo gli interventi, presentati il mese scorso, di don Beppe Roggia, e di don Cesare Pagazzi, in queste pagine diamo spazio alla riflessione psicologica della dott.ssa Chiara D’Urbano, psicologa e psicoterapeuta, specializzata in Psicologia clinica e Psicoterapia psicoanalitica, che si occupa in particolare di accompagnamento psicoterapeutico della vita sacerdotale e consacrata, oltre che di problematiche di coppia. E di seguito all’intervento del prof. Giovanni Grandi, associato di Filosofia morale dell’Università statale di Trieste e curatore della metodologia di lavoro dello stesso Convegno, che ha ripercorso le tappe metodologiche, sia verificandone le fatiche sia valorizzando nella gestione e conduzione dei lavori le potenzialità delle piattaforme digitali adottate.
Nulla sarà più come prima?
Dire che “nulla sarà più come prima” – tema di fondo dell’incontro di questa giornata – suona vero, ma anche un po’ spaventoso, perché ha il sapore di qualcosa che si è perso e non si potrà più recuperare. Ma cosa effettivamente vorremmo recuperare?
Infatti, se ci concentriamo sulle relazioni interpersonali, non è che le cose andassero un granché neppure prima di questa drammatica pandemia.
Già da qualche anno la letteratura, ma anche la semplice esperienza quotidiana, ci rimandavano l’impatto della Rete sulla mente e sulla vita umana e come questa abbia contribuito e abbia accelerato quella che è definita una vera e propria rivoluzione antropologica, dal punto di vista della costruzione dell’identità, ma anche e soprattutto dal punto di vista delle relazioni.
Voglio dire, però, che lo scenario già di per sé complesso e contraddittorio degli ultimi anni ha ricevuto il colpo di grazia dall’evento traumatico della pandemia che ha ulteriormente scompensato i nostri equilibri interpersonali. O meglio, lo scompenso arriva dalla paura del contagio reciproco e quindi da nuove forme di diffidenza che si sono attivate, o, viceversa da situazioni forzate di convivenza.
Come si è tradotto tutto questo
nella vita consacrata?
Certamente anche le esperienze di fraternità, per cui lo stare insieme è costitutivo della vocazione stessa, hanno risentito e risentono del clima generale, con difficoltà enormi a integrare la dimensione tecnologica nell’assetto delle relazioni.
Ora la pandemia ha amplificato forza e limiti dei gruppi familiari e comunitari, rimettendo al centro l’urgenza di ravvivare e di rendere sempre più autentici e vitali i contesti di vita comune.
Qui, perciò, potremmo riflettere su cosa voglia dire rinnovare la vita comunitaria e le sue forme storiche, in quanto talvolta non corrispondono più alle esigenze attuali e non sono più in grado di dire parole efficaci alle nuove generazioni – cosa mantenere e cosa aggiornare – ma non è questo lo spazio più indicato, nonostante l’importanza dell’argomento.
La mia riflessione, da psicologa credente, si radica nell’amicizia, ma soprattutto in una stima profonda per le esperienze vocazionali che considero la grande forza del Terzo Millennio, vera profezia per l’umanità smarrita e alla ricerca di senso.
Il mio focus di oggi – tra tanti possibili – è circoscritto alla capacità relazionale del singolo.
È vero, non bastano più persone mature a rendere maturo e ben funzionante il contesto, tuttavia gli studi sul funzionamento dei gruppi rilevano come il fattore chiave sia proprio la maturità individuale, che si declina anche come capacità relazionale.
Cosa si intende per maturità relazionale?
È un concetto che rischia di essere fumoso. Perciò ne parlo, o meglio do qualche cenno, attraverso un testo che può sembrare solo tecnico, ma non lo è. Inoltre, è compatibile con l’antropologia cristiana e offre criteri che sono transgenerazionali e transculturali, condivisi da una comunità scientifica internazionale. L’intento è di mettere in dialogo fede e scienza e di non rendere autoreferenziali i contributi sulle esperienze di vita consacrata.
Il testo è quello del DSM-5 (il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali più diffuso in Italia e nel mondo), che nell’ultima versione presenta una griglia interessante. Noi facciamo lo sforzo di declinarla in ambito vocazionale. In fondo le realtà di vita fraterna sono il laboratorio privilegiato in cui questa capacità può crescere e perfezionarsi.
Entriamo nel vivo. Ci vengono fornite due dimensioni: quella dell’empatia e quella dell’intimità. Parole molto usate nel linguaggio comune.
Empatia
L’empatia non è un concetto romantico, ma estremamente impegnativo. Empatia vuol dire:
Comprensione e valorizzazione delle esperienze altrui. Viene richiesto non solo di “comprendere”, ma addirittura di valorizzare l’altro. Quindi non solo fare lo sforzo di capirlo, ma addirittura anche di dargli valore, di non far cadere nell’indifferenza le sue motivazioni, i suoi punti di vista. Possiamo usare queste coordinate per una sorta di esame di coscienza psicologica, per valutare dove ci collochiamo rispetto a ciò. Poi cerchiamo di raccordare i vari punti.
Tolleranza di punti di vista differenti e questo ci è più immediato.
Un altro punto importante: comprensione degli effetti del proprio comportamento sugli altri. Siamo cioè chiamati ad uscire da noi stessi: a dircelo è un Manuale laico e scientifico. La maturità personale (qui stiamo prendendo solo qualche frammento, ma il tutto si riconduce lì) passa attraverso una sensibilità valutativa, per cui in ciò che faccio devo considerare quale risonanza l’altro viva, e se rimarrebbe ferito o turbato dal mio comportamento forse dovrei pensarci bene… Non ci sono eccezioni, non ci sono limiti di età e di cultura, per cui nessuno è risparmiato da questo impegno.
Intimità
E veniamo all’intimità.
Qui troviamo: la profondità e la durata del rapporto con gli altri e desiderio e capacità di vicinanza. Questa dimensione va modulata con l’obiettivo di vita esistenziale scelto. Il rapporto con l’altro va vissuto in modo profondo e durevole, ma anche secondo la vocazione specifica. Non sono dimensioni scontate in quanto la scelta celibataria e di castità potrebbe legittimare forme di egoismo e di concentrazione su di sé, in nome della solitudine. Invece, in conformità allo stile di vita abbracciato, le relazioni dovrebbero essere improntate a profondità, durata, vicinanza. Qui ci sarebbe molto da approfondire ma il tempo ce lo impedisce.
Infine troviamo: comportamento improntato al rispetto reciproco. E anche questa espressione tocca un tema molto sensibile oggi. Come si potrebbe declinare il rispetto reciproco? Gli esempi positivi e meno positivi sono numerosi. Il rispetto coinvolge anche la dimensione corporea, e il modo di stare in relazione con l’altro, per cui – sempre considerando la griglia nel suo insieme – corpo e modalità comportamentali dovranno essere in armonia con la scelta vocazionale. L’adolescente avrà uno stile, la persona singola un altro, la coppia un altro ancora; e anche dentro la comunità c’è uno stile, un codice non scritto di decoro che garantisce la qualità di convivenza, perché non scada con la quotidianità data per scontata. Alcune domande pratiche possono essere: posso mandare questo messaggio? Posso scrivere questo o quello? Sono tante le declinazioni possibili del rispetto. Dovremmo tenerne conto nelle microscelte di ogni giorno.
Riassumo e concludo: se siamo onesti, la condizione dei nostri rapporti interpersonali, di coppia, familiari, comunitari, già prima del Covid-19 aveva subito profondi cambiamenti. L’occasione drammatica di questa pandemia mondiale accelera la necessità di ripensare il nostro stare insieme.
La prospettiva di questo breve contributo si è concentrata su come intendere la “mia” capacità relazionale. I criteri proposti offrono il vantaggio di non vagare quando si voglia tentare un “esame di coscienza psicologico” e di potersi confrontare con dei punti concreti. L’obiettivo ultimo non è quello di renderci più critici – atteggiamento da cui il nostro Papa si distanzia – ma di aiutare noi stessi e gli altri a esprimere al meglio le proprie risorse personali e relazionali e di individuare gli aspetti che possono essere migliorati.
CHIARA D’URBANO