Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2021/4, p. 39
Siria - Dieci anni di guerra Brasile - Lettera aperta all'umanità Chiesa - Lettera delle donne al Papa

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Testimoni
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Siria
Dieci anni di guerra
All’ Angelus del 14 marzo scorso, papa Francesco ha ricordato ancora una volta la tragedia della guerra in cui è immersa da ormai 10 anni la Siria: una tragedia «che ha causato una delle più gravi catastrofi umanitarie del nostro tempo: un numero imprecisato di morti e feriti, milioni di profughi, migliaia di scomparsi, distruzioni, violenze di ogni genere e immani sofferenze per tutta la popolazione, in particolare per i più vulnerabili, come i bambini, le donne e le persone anziane.
Era il 15 marzo 2011 – raccontano le cronache – a Dar'a, nella regione meridionale della Siria, sede di un importante Museo nazionale, scoppiava un altro focolaio delle cosiddette "primavere arabe". Cominciò una lunga storia di scontri tra popolazione civile, che chiedeva legittimamente riforme sociali e soprattutto maggiori garanzie democratiche, e l'esercito siriano. Conflitti interni che, nel corso di questi 10 anni, si sono trasformati da una fisiologica controversia interna tra un potere dispotico e formazioni spontanee della popolazione organizzata, in una guerra per procura, nella quale si sono innestati interessi egemonici di potenze regionali (Iran contro Arabia Saudita, con l'arrivo di una gran quantità di foreign fighters, piombati da tutte le parti, sotto le bandiere dei tagliagole del cosiddetto stato islamico (IS). Il quadro che appare oggi, dopo tutto questo è così sommariamente sintetizzabile: quasi 400 mila morti; città intere ridotte in macerie; 13 milioni di persone che sopravvivono grazie agli aiuti umanitari; 12 milioni di sfollati, sia all'interno che fuori dai confini nazionali, in pratica metà della popolazione registrata prima della guerra. Il potere politico di Assad è tuttora ancora nelle sue mani, nonostante, nel frattempo, la geografia politica dell'intera regione mediorientale abbia subito non pochi cambiamenti, con nuovi attori alla ribalta, come la Russia e la Turchia. Dunque, una limitata sovranità appare oggi quella di Assad, in un Paese dove altre potenze straniere esercitano il controllo su parti rilevanti del territorio, dove la presenza dei tagliagole dell'IS non è stata del tutto cancellata, con un futuro di pace di cui non si vedono segnali credibili e, infine, con prospettive di ritorno in patria dei siriani della diaspora tutt'altro che sicuro, minacciati come sono da ritorsioni possibili da parte del regime di Assad e delle milizie jihadiste dell'IS.
Il card. Mario Zenari, (nella foto) da dodici anni nunzio apostolico in Siria, intervistato il 16 marzo scorso dall’Agenzia SIR, ha dichiarato: “La guerra in Siria compie 10 anni e, sebbene sia sparita dalle prime pagine dei giornali, continua a mietere vittime. Il conflitto infatti non è finito, si combatte in alcune zone del nord e del nordest siriano.
La diplomazia segna il passo mentre la popolazione sprofonda nella disperazione e nella più totale povertà, presa in mezzo tra conflitto, sanzioni e Covid-19.
La situazione sul terreno è quella di una popolazione sempre più povera e disperata. Non ne può più. Tanti sacerdoti e presuli con cui mi trovo spesso a parlare mi raccontano che oramai le persone sono arrivate a rubare anche la poca biancheria messa al sole ad asciugare, rubano le batterie delle auto e dei mezzi agricoli per produrre un po’ di energia. L’enorme svalutazione della lira siriana sta impoverendo la gente ogni giorno che passa. La situazione è insostenibile e bisogna trovare una soluzione dopo 10 anni di guerra.
Oggi la Siria – prosegue il Nunzio – è come quella di quel povero viandante della parabola del buon Samaritano, picchiato, derubato e lasciato a terra morente dai ladroni. La Siria oggi è umiliata dai ladroni che l’hanno saccheggiata. Provvidenziale è l’aiuto di tanti samaritani, singoli benefattori come anche agenzie umanitarie e organizzazioni internazionali che offrono aiuto al popolo siriano. Ma sono aiuti di emergenza per la Siria moribonda che deve essere rimessa in piedi, deve tornare ad avere la sua dignità. Metterla in piedi significa ricostruire il tessuto sociale e le infrastrutture come scuole, strade, case, ospedali, industrie. Purtroppo è tutto bloccato anche dalla corruzione e dalle sanzioni”.
Brasile
Lettera aperta all’umanità
Migliaia di cittadini brasiliani e brasiliane hanno firmato lo scorso 12 marzo una “lettera all’umanità” intitolata “La vita prima di tutto” contro il presidente del Brasile Jair Bolsonaro e il suo governo. «Viviamo in tempi bui, – è scritto, citando Hannah Arendt, – dove le persone peggiori hanno perso la loro paura e le migliori hanno perso la speranza». Il Brasile grida aiuto. Brasiliane e brasiliani impegnati nella difesa della vita sono ostaggio del genocida Jair Bolsonaro, che occupa la presidenza del Brasile con una combriccola di fanatici guidati dall’irrazionalità fascista. Quest’uomo senza umanità nega la scienza, la vita, la protezione dell’ambiente e la compassione. L’odio verso l’altro è la ragione che lo guida nell’esercizio del potere. Il Brasile oggi soffre del collasso deliberato del sistema sanitario. La noncuranza della vaccinazione e delle misure preventive di base, l’incentivo agli assembramenti e la trasgressione del confinamento, insieme alla totale mancanza di una politica sanitaria, creano l’ambiente ideale per nuove mutazioni del virus e mettono a rischio i paesi vicini e tutta l’umanità. Assistiamo con orrore allo sterminio sistematico della nostra popolazione, in particolare dei poveri, dei quilombola e degli indigeni. Siamo diventati una “camera a gas” a cielo aperto. Il mostruoso governo genocida di Bolsonaro non è una minaccia per il Brasile soltanto ma è diventato una minaccia globale. Facciamo appello agli organismi nazionali – STF, OAB, Congresso Nazionale, CNBB – e alle Nazioni Unite. Chiediamo urgentemente alla Corte penale internazionale (CPI) la condanna della politica genocida di questo governo che minaccia la civiltà.
La vita prima di tutto!»
Chiesa
Lettera delle donne al Papa
María Lía Zervino, argentina, presidente dell'Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche ha scritto una lettera al Papa, in occasione degli otto anni del suo pontificato per ringraziarlo per tutto ciò che ha fatto in questi anni, ma anche per esprimergli alcune aspettative delle donne nella Chiesa.
Un grande grazie
La lettera, pubblicata nella rivista America dei gesuiti statunitensi, in data 12 marzo 2021, è divisa in tre parti. Nella prima esprime un “grande grazie” per avere anzitutto stimolato una conversione pastorale di tutta la Chiesa e aver posto una pietra miliare nell’attuazione del Concilio. Un grazie inoltre per essersi lasciato guidare dallo Spirito Santo, come il santo di Assisi, a cui il Signore aveva chiesto. “Va’ e restaura la mia Chiesa” e per avere offerto degli orientamenti con la “Evangelii gaudium”.
Un grazie ancora per aver ascoltato il grido dei più poveri del pianeta, identificandoli in un’unica crisi alla quale ci insegna a rispondere con Laudato si ’ e per avere intuito che la chiave per affrontare i problemi del nostro mondo, immerso in una terza guerra mondiale combattuta a pezzi, è una società di fratelli e sorelle, come è sottolineato in Fratelli tutti; inoltre per aver continuato a percorrere la via dell’ecumenismo e del dialogo. Un grazie per essere il Francesco del 21° secolo e per la passione dimostrata in Amoris laetitia per le famiglie, specialmente le più bisognose. Un grazie per aver cercato di purificare e sanare le ferite aperte della Chiesa, le atrocità dei moderni abusi e schiavitù, le violazioni della dignità delle donne e il nostro modo caratteristico di vivere quotidianamente il Vangelo. Un grazie per aver superato le critiche e il turbine del diavolo, guidando la barca dell'umanità in mezzo alla tempesta provocata dal Coronavirus. Un grazie per averci mostrato che è essenziale intraprendere processi per ottenere il cambiamento e che ogni cambiamento richiede un processo educativo che coinvolge tutti. Un grazie soprattutto per aver cercato di dare alla Chiesa il volto femminile che la identifica con la sua tenerezza, vicinanza e misericordia.
Un ulteriore passo in avanti
La seconda parte della lettera esprime il desiderio di un ulteriore passo in avanti. «Con tutto rispetto, fiducia e affetto, – scrive Maria Lía Zervino – come donna sento che c’è qualcosa che ci è dovuto. Lei combatte contro il machismo e il clericalismo, ma penso che non siano stati compiuti progressi sufficienti per valorizzare le ricchezze delle donne che costituiscono gran parte del Popolo di Dio. Esiste già una teologia delle donne con molteplici elaborazioni. L'idoneità delle donne è stata dimostrata nella società civile, nell'economia, nella salute, nell'istruzione, nella cura del pianeta, nella difesa dei diritti umani e in molti altri campi, ovviamente, oltre alla famiglia e alla catechesi. ...Il desiderio da lei espresso che le donne facciano parte dei gruppi decisionali insieme agli uomini cessi di essere un'utopia e diventi qualcosa di comune nella Chiesa. Questo non vuol essere una rivendicazione. Non si tratta di occupare posizioni per essere "dei vasi di fiori", messi come ornamento, perché è di moda nominare donne, né si tratta di raggiungere posti per "salire" a posizioni di potere. No. Si tratta di servire la Chiesa con i doni che il Padre Creatore ci ha elargito: un'intelligenza e una sensibilità peculiari, un'affettività e una capacità particolare per la gestazione e la formazione delle persone e una speciale attitudine alla generazione di beni relazionali. Il desiderio da lei espresso, – sottolinea la Zervino – che le donne facciano parte dei gruppi decisionali insieme agli uomini, cessi di essere considerato un'utopia e diventi qualcosa di comune nella Chiesa».
Un sogno
La terza parte della lettera riguarda la condivisione di un sogno. «Sogno – scrive la Zervino – una Chiesa che abbia donne idonee come giudici in tutti i tribunali dove si trattano le cause matrimoniali, nelle équipe di formazione di ogni seminario ed esercitare ministeri come l'ascolto, la direzione spirituale, la pastorale sanitaria, la cura del pianeta, la difesa dei diritti umani, ecc., per i quali, per natura, le donne sono ugualmente o talvolta meglio preparate degli uomini. Non solo donne consacrate, ma quante laiche in tutte le regioni del globo sono pronte a servire! E sogno che, durante il suo pontificato, inauguri, insieme ai Sinodi dei Vescovi, un Sinodo diverso: il Sinodo del Popolo di Dio, con una rappresentanza proporzionale del clero, di consacrati e laici. Non saremo più soddisfatte solo perché una donna vota per la prima volta ma perché tante laiche preparate, in comunione con tutti gli altri membri di tale Sinodo, avranno dato il loro contributo e il loro voto che si aggiungerà alle conclusioni che saranno messe nelle sue mani. Probabilmente, Santo Padre, lei ha già questa “carta nel suo mazzo” per attuare la sinodalità e aspetta il momento giusto per giocarla».
«Grazie – conclude la lettera – per aver aperto così tante strade nella Chiesa. E ringrazio la divina Provvidenza per questo e molto altro che abbiamo ricevuto attraverso di lei, durante questi primi otto anni di pontificato».
a cura di ANTONIO DALL’OSTO