Chiaro Mario
Trattato sulla proibizione delle armi nucleari
2021/4, p. 34
Con questo strumento si proibisce di sviluppare, testare, produrre, acquisire, possedere, conservare e trasferire qualsiasi dispositivo d’arma nucleare. Se ne vieta non solo l’uso, ma anche la “minaccia d’uso”.

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ENTRATO IN VIGORE IL 22 GENNAIO 2021
Trattato sulla proibizione delle armi nucleari
Con questo strumento si proibisce di sviluppare, testare, produrre, acquisire, possedere, conservare e trasferire qualsiasi dispositivo d’arma nucleare. Se ne vieta non solo l’uso, ma anche la “minaccia d’uso”.
In occasione della 75ª Giornata delle Nazioni Unite, che segna l’inizio della Settimana internazionale per il disarmo, un’importante e storica notizia ha fatto il giro del mondo: il 22 gennaio 2021 è entrato in vigore il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (Treaty on the prohibition of nuclear weapons-Tpnw), grazie alla 50esima ratifica da parte dell’Honduras. Il testo del Trattato era stato approvato il 7 luglio 2017 da una speciale conferenza indetta dall’Assemblea generale dell’ONU con 122 voti a favore, un astenuto (Singapore) e un contrario (Olanda). Alla definizione del Tpnw hanno contribuito in modo significativo organizzazioni non-governative, in particolare la coalizione ICAN, che ha ottenuto il Premio Nobel per la Pace 2017 proprio per l’impegno profuso nel “portare l’attenzione alle conseguenze umanitarie catastrofiche di qualunque uso delle armi nucleari e per i suoi straordinari sforzi per ottenere un trattato che metta al bando queste armi”. Si consideri che fino a oggi le uniche armi di distruzione di massa non vietate dal diritto internazionale erano proprio quelle nucleari: con questo Trattato saranno finalmente equiparate alle armi chimiche o alle armi biologiche. Con questo strumento si proibisce dunque di sviluppare, testare, produrre, acquisire, possedere, conservare e trasferire qualsiasi dispositivo d’arma nucleare. Se ne vieta non solo l’uso, ma anche la “minaccia d’uso”.
I grandi assenti
Nonostante la pressione della società civile e di leader religiosi a livello mondiale, ai negoziati non hanno partecipato le potenze nucleari riconosciute dal “Trattato di non proliferazione” (Tnp) del 1968 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) e le altre nazioni comunque dotate di arsenali atomici (Israele, Corea del Nord, India, Pakistan). I 9 paesi con armi nucleari e loro alleati hanno osteggiato l’indizione della conferenza e non hanno partecipato ai lavori. Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti sono arrivati a denunciare il Trattato come un pericolo per la sicurezza mondiale.
Tra le altre assenze si è segnalata quella dell’Italia: un comunicato del nostro Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, pur apprezzando «il ruolo della società civile nel sensibilizzare sulle conseguenze catastrofiche dell’uso delle armi nucleari», ha ribadito che «l’approccio migliore per conseguire un effettivo disarmo nucleare implichi un pieno coinvolgimento dei paesi militarmente nucleari laddove invece - dal momento in cui è stata lanciata l’iniziativa del Tpnw - abbiamo assistito a una crescente polarizzazione del dibattito in seno alla comunità internazionale. Pur nutrendo profondo rispetto per le motivazioni dei promotori del Trattato e dei suoi sostenitori, riteniamo quindi che l’obiettivo di un mondo privo di armi nucleari possa essere realisticamente raggiunto solo attraverso un articolato percorso a tappe che tenga conto, oltre che delle considerazioni di carattere umanitario, anche delle esigenze di sicurezza nazionale e stabilità internazionale». Val la pena ricordare che, attraverso la partecipazione al programma di condivisione nucleare dell’Alleanza atlantica, nelle basi italiane sono presenti testate nucleari: almeno 50 delle 134mila circa sparse su tutto il pianeta. Ricordiamo che la Nato ha formalmente dichiarato incompatibile l’adesione al Tpnw con l’appartenenza all’organizzazione, per cui i suoi membri si potrebbero trovare di fronte a scelte delicate e a una rivoluzione nella propria politica estera. Poiché in Cina e Russia non ci sono analoghe iniziative a mobilitare l'opinione pubblica, la Nato teme un suo indebolimento a fronte dei competitori nucleari.
Un nuovo punto di partenza per tutta l’umanità
In questo contesto, il Trattato va considerato come punto di partenza morale e legale verso uno sforzo a lungo termine per raggiungere il disarmo nucleare, ma è ancora difficile prevedere l’impatto che esso potrà concretamente avere sui temi cruciali per il controllo degli armamenti e il blocco dell’attuale corsa qualitativa alle armi nucleari. In ogni modo si può condividere ciò che si legge in una nota diramata da “Rete Italiana Pace e Disarmo e SenzAtomica”: con questo nuovo strumento «si concretizza un nuovo passo verso la totale eliminazione dalla faccia delle terra delle armi più distruttive mai costruite dall’umanità».
L’indebolimento dei percorsi di disarmo nucleare non proviene certo da una norma che mette questi ordigni fuori legge, ma è minacciato soprattutto dall’ammodernamento degli arsenali nucleari che tutte le potenze stanno attuando e che coinvolgerà anche le bombe presenti nel nostro paese. Si tratta di una situazione rigettata dalla maggioranza della popolazione italiana che ha confermato un evidente e continuato rifiuto delle armi nucleari: nell’ultima indagine di metà 2019 ben il 70% dei cittadini italiani si è detto favorevole all’adesione al Tpnw (solo il 16% si è detto contrario), mentre il 60% ritiene che si dovrebbero eliminare dal nostro territorio le testate nucleari statunitensi (solamente il 21% concorda con il mantenerle in Italia). Il desiderio della Rete è dunque che «l’Italia cambi la propria posizione e contribuisca a rendere obsolete e inaccettabili le armi nucleari, riconvertendo le ingenti somme che ogni anno vengono spese per costruirle e mantenerle a usi più utili per l’umanità come il contrasto al cambiamento climatico, alla pandemia, alla povertà».
È un segno molto importante il fatto che questo risultato sia arrivato nel corso della pandemia di Covid-19 tutt’ora in atto e che ha fatto comprendere al mondo intero l’importanza delle strutture sanitarie: perché in caso di attacco nucleare nessun sistema sanitario, nessun governo e nessuna organizzazione umanitaria sarebbe infatti in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni sanitari e di assistenza che un’esplosione nucleare porterebbe. Ci dobbiamo chiedere però se siamo pronti a intensificare i nostri sforzi per ottenere la più ampia adesione possibile e insistere su questa visione di sicurezza collettiva: a oggi, gli Stati firmatari sono 86 e quelli che lo hanno ratificato 51. Ancora troppo pochi!
Gli imperativi morali contro le armi atomiche
Anche papa Francesco ha colto l’occasione per lanciare un breve appello: «Si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che vieta esplicitamente questi ordigni, il cui utilizzo ha un impatto indiscriminato, colpisce in breve tempo una grande quantità di persone e provoca danni all’ambiente di lunghissima durata. Incoraggio vivamente tutti gli Stati e tutte le persone a lavorare con determinazione per promuovere le condizioni necessarie per un mondo senza armi nucleari, contribuendo all’avanzamento della pace e della cooperazione multilaterale, di cui oggi l’umanità ha tanto bisogno» (Udienza generale, 20/1/2021).
Sono affermazioni che riecheggiano il vibrante intervento del pontefice nel Memoriale della Pace di Hiroshima durante la visita apostolica in Giappone (24 novembre 2019). «Qui, di tanti uomini e donne, dei loro sogni e speranze, in mezzo a un bagliore di folgore e fuoco, non è rimasto altro che ombra e silenzio. Appena un istante, tutto venne divorato da un buco nero di distruzione e morte. Da quell’abisso di silenzio, ancora oggi si continua ad ascoltare il forte grido di coloro che non sono più… Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra. Come possiamo parlare di pace mentre costruiamo nuove e formidabili armi di guerra? Come possiamo parlare di pace mentre giustifichiamo determinate azioni illegittime con discorsi di discriminazione e di odio?». «Ricordare, camminare insieme, proteggere. Questi sono tre imperativi morali che, proprio qui a Hiroshima, acquistano un significato ancora più forte e universale e hanno la capacità di aprire un cammino di pace. Di conseguenza, non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno; un ricordo che si diffonde, per risvegliare le coscienze di tutti gli uomini e le donne, specialmente di coloro che oggi svolgono un ruolo speciale per il destino delle nazioni; una memoria viva che aiuti a dire di generazione in generazione: mai più! Proprio per questo siamo chiamati a camminare uniti, con uno sguardo di comprensione e di perdono, aprendo l’orizzonte alla speranza e portando un raggio di luce in mezzo alle numerose nubi che oggi oscurano il cielo. Apriamoci alla speranza, diventando strumenti di riconciliazione e di pace. Questo sarà sempre possibile se saremo capaci di proteggerci e riconoscerci come fratelli in un destino comune. Il nostro mondo, interconnesso non solo a causa della globalizzazione ma, da sempre, a motivo della terra comune, reclama più che in altre epoche che siano posposti gli interessi esclusivi di determinati gruppi o settori, per raggiungere la grandezza di coloro che lottano corresponsabilmente per garantire un futuro comune».
MARIO CHIARO