Prezzi Lorenzo
Abusi: vergogna e coraggio
2021/4, p. 26
Due casi recenti di coinvolgimento dei religiosi in abusi mostrano un’immagine contrapposta. In Irlanda un rapporto governativo denuncia una odiosa discriminazione sulle ragazze-madri. In Spagna i gesuiti pubblicano con coraggio una relazione su quanto è avvenuto fra il 1927 e il 2020.

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IRLANDA E SPAGNA
Abusi: vergogna e coraggio
Due casi recenti di coinvolgimento dei religiosi in abusi mostrano un’immagine contrapposta. In Irlanda un rapporto governativo denuncia una odiosa discriminazione sulle ragazze-madri. In Spagna i gesuiti pubblicano con coraggio una relazione su quanto è avvenuto fra il 1927 e il 2020.
Il 12 gennaio 2021 una commissione di inchiesta governativa ha reso pubblico un rapporto sulle istituzioni per le ragazze-madri, spesso rette da suore e preti, denunciando risultati sconvolgenti. Nelle 18 istituzioni esaminate negli anni fra il 1922 e il 1998 sarebbero morti 9.000 bambini per denutrizione e scarse cure mediche. Con un tasso di mortalità doppia rispetto al paese. In una sola di queste, a Tuam, sarebbero morti 978 bambini. Nell’insieme le ragazze-madri interessate sarebbero state 56.000 e i bambini 57.000.
Erano i luoghi dove venivano indirizzate le donne incinte e non sposate, per evitare la vergogna di un figlio «bastardo». Il panorama non è completo visto che le istituzioni interessate erano 180, inquadrate in un sistema dove Stato e Chiesa lavoravano insieme per difendere la morale pubblica. Segnate dalla disapprovazione generale, queste donne erano costrette a fuggire dalla famiglia ricevendo rifugio nei centri. Il primo ministro, Michael Martin ha parlato di «gravi carenze da parte dello Stato e della società» e di una «cultura misogena pluridecennale in Irlanda», constatando l’amara verità di una «intera società complice».
Il documento parla di un livello spaventoso di mortalità infantile in luoghi che non solo non hanno salvato la vita dei bambini illegittimi ma hanno significativamente ridotto le loro prospettive di sopravvivenza. Nel rapporto si ammette che «la Chiesa cattolica non ha inventato da sé le attitudini nei confronti dei matrimoni o della responsabilità familiare» ma ha contribuito «a rafforzare (l’atteggiamento verso le ragazze madri) con insegnamenti che sottolineavano l’importanza della verginità prima del matrimonio e i pericoli sessuali legati alla pratica del ballo, ai vestiti impudichi, ai bagni misti e ad altri luoghi di “tentazione”». Senza dimenticare «le prediche in chiesa denuncianti l’immoralità sessuale e i mali della società moderna».
9.000 bambini morti
Il caso più studiato è quello di Tuam, retto dalle suore del Buon Soccorso. Grazie alla scoperta occasionale di ossa attorno all’istituzione, ormai dismessa, nel 1975 è partito un lungo lavoro di ricerca ad opera di Catherine Corless che ha via via recuperato i nomi dei bambini morti e non sepolti. Solo dopo il 2012 si è avuto la certezza di una fossa comune che coincideva con la fossa fognaria dove giacevano centinaia di resti di bambini. La scoperta di altri siti similari ha alimentato una attenzione divenuta generale e la scoperta di gravi disfunzioni come il sequestro dei bambini dalle madri naturali, la loro denutrizione, il mercato delle adozioni (particolarmente verso gli Stati Uniti), il pagamento delle rette anche dopo la morte dei bimbi o dopo la loro adozione. Nel 2015 – 2017 si è avviata una commissione di inchiesta governativa. Essa ha confermato che i resti umani non risalivano, come alcuni sostenevano, alla grande crisi alimentare del XIX secolo, ma erano databili nei decenni del ‘900. Un orrore giustificato da una mentalità retriva che rimonta ai costumi gaelici e che era accettata dall’insieme della società.
Per una Chiesa già segnata nei primi lustri del secolo da oltre 1.300 denunce di abusi riguardanti 500 preti di 26 diocesi, fatta oggetto di una severissima lettera di Benedetto XVI nel 2010 e della dolorosa ammissione di papa Francesco nel viaggio del 2018 circa il «fallimento delle autorità ecclesiastiche … nell’affrontare adeguatamente questi crimini ripugnanti», si è trattato di una vera mazzata. L’arcivescovo di Armagh, mons. Eamon Martin non si è tirato indietro, giudicando angosciante il documento. Ha ammesso che la Chiesa «faceva parte di una cultura in cui le persone venivano spesso stigmatizzate, giudicate e respinte … Per questo, per il prolungato dolore e l’angoscia emotiva procurata, chiedo scusa senza riserve ai sopravvissuti e a tutti coloro che sono personalmente colpiti dalla realtà scoperta». «Memori del Vangelo di Gesù Cristo che ci chiama a proteggere la vita e la dignità e a trattare tutti – specialmente i bambini e tutti coloro che sono vulnerabili – con amore, compassione e misericordia, credo che la Chiesa debba continuare a riconoscere davanti al Signore e prima di altri, la sua responsabilità nel sostenere quella che il rapporto descrive come “un’atmosfera dura, fredda e indifferente”».
La parte oscura
«Il rapporto aiuta ad aprire ulteriormente quella che per molti anni è stata una parte nascosta della nostra storia condivisa e mette a nudo la cultura dell’isolamento, della segretezza, dell’ostracismo sociale che hanno dovuto affrontare le ragazze madri e i loro figli in questo paese». «Insieme dobbiamo chiederci: com’è potuto accadere? Dobbiamo identificare, accettare e rispondere alle questioni più ampie sollevate dal rapporto sul nostro passato. Soprattutto dobbiamo continuare a trovare modi per raggiungere coloro le cui testimonianze personali sono al centro del rapporto. Esse hanno mostrato la giusta determinazione nel portare alla luce questo capitolo oscuro della Chiesa e della società». Marie Collins, ex-membro della Commissione pontificia per la protezione dei minori ha detto: «Le donne e le ragazze hanno patito tutta la forza della condanna e della denigrazione della Chiesa cattolica». Ricordando contestualmente che «per ogni madre celibe c’era pure un padre! E lui non ha subito denunce all’altare (secondo il rito gaelico) e non è stato trattato come qualcosa di sudicio da parte delle “suorine”». Il gesuita p. Leon O’Giollain sottolinea: «È un rapporto molto severo, ma bisogna accettare la verità, così com’è». Di momento catartico, parla un parroco della periferia di Dublino, p. Joe McDonald. In un testo del 2017 (Perché la Chiesa irlandese merita di morire) ricordava che è necessario affrontare la questione del perché e delle ragioni, senza la quale i problemi non saranno mai affrontati e risolti davvero. Un altro prete, Brendan Hoban, testimoniava già tre anni fa della scoraggiante emarginazione del clero dalla cultura oggi condivisa: «Destinatari di una valanga di critiche e biasimo da parte dei media, bersagli costanti di risentimento, spesso insultati e disprezzati, gli ultimi preti in Irlanda sono una “tribù perduta”, in difficoltà davanti all’isolamento, alla malattia e alle tante limitazioni dell’età avanzata».
Le suore e le scuse
E le suore? Quelle del Buon Soccorso, direttamente implicate nel caso Tuam, hanno contribuito economicamente alle ricerche, esprimendo in una dichiarazione pubblica il rammarico, il dolore e la richiesta di perdono. Riconoscono che il rapporto denuncia giustamente l’offesa alla dignità umana per molte donne e bambini e ammettono: «Quando gestivamo l’istituto (1925 – 1961) non eravamo all’altezza della nostra fede. Non siamo riuscite a rispettare la dignità profonda delle donne e dei bambini ospitati. Non siamo riuscite a dare loro la compassione di cui avevano bisogno. Riconosciamo in particolare che i neonati e i bambini morti nella casa sono stati seppelliti in modo inaccettabile e offensivo. Per tutto questo siamo profondamente dispiaciute. Offriamo le nostre sincere scuse a tutte le donne e i bambini dell’istituzione, alle loro famiglie e alle persone dell’intero paese … Ci auguriamo che noi, la nostra Chiesa e il nostro paese possiamo imparare da questa storia». Il cambiamento culturale e politico del paese è visibile nel voto largamente maggioritario sul referendum circa i matrimoni gay nel 2015 e in quello a favore dell’aborto nel 2018.
Gesuiti: riconoscere per guarire
È la prima indagine organica sugli abusi sessuali da parte di un ordine religioso in Spagna. Le province dei gesuiti hanno pubblicato il 21 gennaio un rapporto sugli abusi commessi dai propri religiosi. Dal 1927 al 2020 hanno subito violenze 81 minori e 37 adulti da parte di 96 religiosi gesuiti. Nella conclusione del testo (24 pagine di scritto e tabelle) si dice: «Lo studio è limitato, ma è un tentativo di camminare verso la verità. In futuro sicuramente sorgeranno nuove domande. Non affermiamo che quanto scritto è tutto ciò che è successo, ma è tutto quello che abbiamo saputo finora. Non pretendiamo che il presente possa cancellare il passato. Il passato, disgraziatamente non si può cambiare. Vi sono in esso dolore, storie di abusi come anche risposte insufficienti che hanno aggravato la sofferenza delle vittime. Per quello che ci riguarda chiediamo perdono. Come Compagnia di Gesù in Spagna vogliamo esprimere in forma inequivocabile la nostra determinazione di contribuire alla lotta contro la tragedia degli abusi. È l’intera società che deve prendere consapevolezza. È l’insieme della cultura che si è mostrata insufficiente per proteggere quanti, in determinati momenti, erano in situazione di vulnerabilità. Non ci spetta pretendere responsabilità da altri senza chiederla a noi stessi. Dobbiamo guardare in faccia quello che è successo. Non dobbiamo minimizzarlo né accontentarci se i dati sono più o meno rilevanti. Non sono comunque tollerabili. E non sono cifre. Sono vite e storie reali. Storia di uomini e donne che hanno subito come la mancanza di limite di quanti dovevano saperlo li ha sottoposti all’abuso. E la storia di quanti, incapaci di riconoscere il limite, sono diventati aggressori, provocando ferite che a volte persistono per tutta la vita. La storia di quanti denunciarono e furono ascoltati e di quanti lo dissero e furono scarsamente seguiti. La storia di decisioni insufficienti, che affrontavano gli abusi senza avvertirne la gravità. E di quanti non seppero vedere o non volevano credere. Dietro le cifre ci sono tutte queste storie. Speriamo diventino una memoria lucida e una scuola per l’oggi e il futuro perché non accada di nuovo. Ancora una volta esprimiamo la nostra richiesta di perdono, il nostro dolore per quello che è successo e il nostro impegno a contribuire con quanto è in nostro potere per camminare verso una società libera dagli abusi».
Progressiva chiarezza
Davanti alle prime denunce c’è stata nella Chiesa una diversificata reazione: dallo scetticismo all’incredulità, dalla negazione alla rabbia. Per molti non era possibile che fosse successo. Per altri si sarebbe dovuto riconoscere il legame necessario fra celibato e abuso. Qualcosa di simile è successo anche nella Compagnia, che obbliga ora ad ascoltare la voce delle vittime e il loro dolore. «E ci fa male che dei nostri confratelli gesuiti con cui abbiamo vissuto e condiviso la missione abbiano superato quelle linee che non vanno mai oltrepassate». Vi è stato negli ultimi decenni un cambiamento di sensibilità che ha mostrato l’insufficienza delle misure allora in vigore: avvertimenti, cambio di sede, invito al silenzio. La richiesta di perdono per non essere stati all’altezza del Vangelo si trasforma in decisione perché le strutture della Compagnia diventino luoghi sicuri per i minori e i vulnerabili. Con discipline e protocolli da aggiornare via via. Il testo parla di abusi in una accezione molto ampia (sessuali, di potere, di condizionamento ecc.) ed è stato elaborato in base agli archivi della Compagnia, alle memorie dei provinciali, all’ascolto delle vittime che si sono presentate, di gesuiti e laici che potevano sapere qualcosa e attraverso i media. È probabile che qualcosa sia sfuggito. Si parla di numeri e cifre, ma non si fanno nomi. Perché molte vittime l’hanno chiesto, perché alcuni casi sono già pubblici, perché la profonda diversità degli abusi non uniformi gli aggressori ai casi più gravi. Come già scritto, le vittime sono 81 minori e 37 adulti in un periodo di 93 anni. Per gli abusi sui minori, 17 riguardano gesuiti viventi (6 ragazze e 11 ragazzi) e 47 gesuiti già morti (12 ragazze e 35 ragazzi). Per gli abusi sugli adulti, 8 riguardano gesuiti ancora viventi e 23 gesuiti morti. Per quanto riguarda le denunce pubbliche: fra il 1967 e il 2012 sono 17: 3 riguardano gli anni ‘60, 2 i ‘70, 3 gli anni ‘80, 3 quelli ‘90 e 6 successivamente. In corso vi è un processo civile e un processo canonico. Le denunce riguardanti gesuiti defunti, sempre sui minori, sono 48. Per quanto riguarda le denunce di abusi sugli adulti: per gesuiti ancora vivi sono 8, per gesuiti già morti sono 23. In 19 casi sono stati valutanti anche accuse non circostanziate e mormorazioni diffuse che hanno riguardato 15 religiosi, ma senza esiti convincenti. Vi è il caso di una pretesa vittima che ha accusato 9 religiosi che è stata condannata in tribunale per ricatto.
I predatori: 1,8%
I 96 gesuiti accusati fra il 1927 e il 2020 vanno collocati dentro gli 8.782 religiosi della Compagnia attivi negli stessi anni. Gli accusati rappresentano l’1,08%. Uno studio comparativo su un caso statunitense (John Jay College) offre cifre assai più allarmanti, parlando di una percentuale di aggressori fra i religiosi che sale al 4,2%. I dati vanno comunque presi con cautela perché ci possono essere casi di abusi non ancora censiti. I luoghi più comuni degli abusi sono le istituzioni educative (collegi, scuole e dintorni) rispetto a cui i nuovi protocolli di comportamento sono già in esecuzione. A seguire, le case delle vittime, che testimoniano una fiducia drammaticamente violata.
Per quanto riguarda le vittime che non portano alcuna responsabilità in ordine agli abusi il testo lamenta una qualche resistenza dei responsabili a riconoscere il coinvolgimento di comunità e di opere. La volontà della Compagnia è ora di ascoltare le vittime, di rispondere alle loro esigenze, di facilitare le cure e, possibilmente, la riconciliazione. Le province religiose intendono dare vita a una associazione esterna alla Compagnia, più facilmente accessibile a tutti, anche a coloro che non intendono avere più alcun rapporto coi religiosi. Si sta anche elaborando un protocollo che prevede riparazioni e compensi per le vittime, senza alcuna pretesa di cancellare lo scandalo e la sofferenza.
Il rapporto accenna anche al doloroso rapporto con confratelli che si sono macchiati di abusi, anche se oggi vi è maggior chiarezza nella definizione dei crimini e delle responsabilità. Ma anche nei loro confronti vi è un cammino da perfezionare che trovi l’equilibrio fra esigenze insopprimibili di giustizia e la possibile riconciliazione, fra il rigore dei metodi e la necessità di non sprecare vite e generosità. La reazione dell’opinione pubblica, spagnola e non, è stata positiva, anche se le associazioni delle vittime avrebbero preferito la pubblicazione dei nomi e un impegno più esplicito per i compensi. Il coraggio della Compagnia dovrebbe fare scuola, anche se le cifre dovessero rivelarsi imbarazzanti. Come ha fatto notare il quotidiano El Pais. Nei suoi archivi ci sono 123 presunti predatori nel clero, di cui solo 8 gesuiti. Lo studio della Compagnia fa supporre numeri ben più consistenti. Ma la verità è la condizione di ogni fecondità futura.
LORENZO PREZZI