Angelini Maria Ignazia
Pregare nella lotta per la giustizia
2021/4, p. 10
... anche l’invettiva contro l’ingiustizia si fa terreno generativo di preghiera. Dobbiamo stare in preghiera anche nella soglia estrema. Nell’imprecazione c’è preghiera. Solo così può essere nominato il male. Davanti a Dio. I salmi sono infatti la preghiera che ha accompagnato le più ardue trasformazioni del cuore umano nel suo dialogo - personale e di popolo - con Dio, a proposito della domanda sulla giustizia del mondo, della storia umana.

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Pregare nella lotta per la giustizia
“Quanto a me, non sia mai che io pecchi contro il Signore,
tralasciando di supplicare per voi!” (1 Sam 12,23).
“La mente concordi con la voce”: un principio di vita spirituale, a dir poco sconvolgente, se lo accogliamo in verità. Risale ai Padri, è ripreso con forza da Benedetto da Norcia, applicato al vissuto della salmodia (Reg. Mon., 19,7). È riaffermato come un fondamento dal Vaticano II (Sacr. Conc., 11). A proposito della riforma della Liturgia delle Ore della Chiesa, nei lavori del Concilio si affermò molto presto il consenso: i Salmi dovevano rimanere la sostanza della Liturgia delle Ore. Ma il principio investe più vasto orizzonte: il rapporto coscienza personale con la Parola di Dio, in modo particolare nell’esperienza del pregare.
Sant’Agostino raccomanda: quello che esprimiamo con le labbra, tenda a divenire accadimento del cuore. È molto più che un principio di coerenza, di onestà basilare. È la chiave di volta del pregare cristiano. Siamo precedute, quando preghiamo, da una “Voce”. La voce corporea echeggia la Voce dello Spirito che prega: nei Salmi, Dio prega Dio; infatti il Libro dei Salmi è parola di Dio in preghiera. Il cuore deve dunque in certo modo “perdere forma” propria, per ricevere forma nuova dalla voce salmodiante che si fa luogo di risonanza della Parola: conformarsi, concordare, con la Presenza che vibra alla radice della voce salmodiante, il gemito dello Spirito.
“Partecipiamo alla salmodia in modo tale che l’intima disposizione del nostro animo si armonizzi con la nostra voce”. Quel “mens” è importante: indica l’adesione dell’interiorità a ciò che viene esteriormente cantato nei Salmi. L’adesione del nostro essere ad una verità che gli è esterna ma, in certo modo, lo abita in modo profondissimo, segreto. Ci si chiede la docilità di fronte alla Parola di Dio e il “farsi parlare” da essa, piuttosto che cercare di sovra significarla con i nostri pensieri e movimenti dell’animo.
Penso sia importante comprendere questo richiamo a “lasciarsi pregare”, a lasciare pregare in noi la Parola di Dio, perché ci troviamo a vivere un tempo in cui si pensa che tutto debba essere “nuova invenzione”, si pensa che l’autenticità del pregare corrisponda a un certo spontaneismo, mentre nuovo in verità è il cuore che aderisce alla Parola. Per pregare in spirito e verità, siamo chiamati, infatti, anzitutto al silenzio, per poter prima ascoltare; siamo chiamati a conformare la mente alla preghiera che sorprendentemente ci è rivelata.
È il salmo a metter ordine nei pensieri e sentimenti attraverso l’illuminazione che gli proviene da Dio, essendo intessuto attraverso la lunga storia di generazioni e generazioni umane davanti a Dio.
È voce dello Spirito, che in noi risuona come memoria vivente della Parola, il mistero dei Salmi a cui dobbiamo conformare l’interiorità. Così, il salmo ti “de-localizza” per collocarti più saldamente nel ricco fiume dell’umano.
Ebbene, in questo fiume che è la Salmodia, la sponda estrema, lo zoccolo più ostico, l’esperienza apparentemente più lontana dalla preghiera, è la ribellione, la protesta per l’ingiustizia, il grido di rivolta. I salmi “imprecatori”. Eppure c’è preghiera nell’urlo – anche l’invettiva contro l’ingiustizia si fa terreno generativo di preghiera. Dobbiamo stare in preghiera anche nella soglia estrema. Nell’imprecazione c’è preghiera. Solo così può essere nominato il male. Davanti a Dio. I salmi sono infatti la preghiera che ha accompagnato le più ardue trasformazioni del cuore umano nel suo dialogo - personale e di popolo - con Dio, a proposito della domanda sulla giustizia del mondo, della storia umana. Il riferimento va soprattutto a quei Salmi che scandalizzano, paiono impregabili, sono scostanti, duri, arrabbiati, al limite del blasfemo: e chiamano in causa Dio. Con disperazione mista a nuda fede. Sulla soglia del silenzio.
Alcune dinamiche dei Salmi appaiono particolarmente destabilizzanti. Sconcertanti. Se non comprese, sembra che spengano la fiamma della preghiera. Il Vaticano II ha persino pensato di epurare alcuni Salmi, in tal senso. Ma in verità proprio questi salmi “ostici” – ci attestano i Padri - sono il crogiuolo della preghiera pura, in spirito e verità. Norbert Lohfink ha fatto il punto: "L'orante e i suoi nemici: questo è semplicemente il tema dominante del Salterio». Nessun altro campo semantico nel Salterio è tanto plastico e sfaccettato come quello della rappresentazione dei nemici.
La preghiera, nella fede biblica, non solo consente ma esige di andare là dove nessuno si arrischierebbe. Nelle regioni dell’umano inavvicinabili. La inimicizia fratricida è stata la prima, radicale, ferita ad animare l’umano grido a Dio: “la voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo” (Gn 4,10). E ha generato la prima preghiera umana di cui si conservi traccia. La Voce del sangue sparso: l’altissimo urlo (che nessuno ha scritto) di Abele che invoca giustizia – impossibile giustizia - percorre tutto il Salterio.
In particolare l’aspetto di lotta contro il male, e concretamente contro il malvagio, percorre quasi tutti i Salmi, anche quelli in cui predomina il tono lirico. Il grido che chiede giustizia. Dire a Dio ciò che non può, non ha da esser detto: questa è la sfida della preghiera. Nei Salmi, è evidentissima.
“Leggiamo bene i nostri Salmi: non vi è altra guerra che quella del Ribelle contro l'Innocente, né altra sconfitta che quella del Ribelle di fronte all'Innocente. È questa la legge di ferro del Giudizio di Dio. (…) e dinanzi a [l’Innocente] questo essere scarno, disarmato, perduto in un sogno impenetrabile, il Reprobo deve inchinarsi, come davanti a una luce scompaiono le tenebre. Se spesso l'Innocente è ucciso, il Ribelle è però sempre sconfitto. La linea inflessibile che determina il risultato è quella tracciata dalla giustizia di Dio” (A. Chouraqui). E questa ricorrenza quasi ossessiva della lotta tra l’empietà e l’innocenza (che nella realtà storica vivono sempre mescolate nel cuore umano) agisce in modo performante: nel senso che quella parte di noi più oscura e magmatica, che non arriva – forse non osa – esprimersi in parola, e tanto meno in preghiera, trova – attraverso la parola dei Salmi, “Dio che prega Dio” – la via per venire alla luce. L’indignazione, la ribellione per il potere del male; l’urlo di dolore per il sopruso che conculca il povero e la menzogna che uccide l’inerme fluiscono nella preghiera ove l’umano più umano sta alla presenza, è consegnato alla insondabile giustizia divina. Qui davvero la mente trova nella voce salmodiante la via del respiro. Rigenerante. La giustizia come compito, è preceduta dalla giustizia come grazia di giustificazione. E dunque l’atto di giustizia è preceduto dal legame con il solo Giusto, Gesù, nella preghiera. L’Unico genera la fraternità attraverso la consegna di sé. La fratellanza è anzitutto ricevuta in dono, dopo esser stata invocata con forte grido e suppliche.
Le parole curano. Nel conformarsi alla voce del salmo, la mente impara ad affidare la fame e sete di giustizia a Colui che, solo, può saziarla. È una delle dimensioni più radicali della preghiera d’intercessione. La preghiera della quaresima: tempo di “lasciarsi riconciliare con Dio” (2 Cor 5,21) in una postura tutt’altro che rinunciataria, ma con vibrante grido consegnata. È, fra tante, illuminante la testimonianza dei monaci martiri di Tibhirine…: «Le parole dei Salmi resistono, fanno corpo con la situazione di violenza, di angoscia, di menzogna e di ingiustizia. Sì, ci sono dei nemici. Non possiamo essere obbligati a dire troppo in fretta che li amiamo, senza offendere la memoria delle vittime il cui numero cresce ogni giorno. (…) Se tacessimo, griderebbero le pietre del wadi ancora bagnato del loro sangue selvaggiamente versato. ‘Svegliati, perché dormi Signore?’. ‘Non lasciare che le fiere sgozzino la tua tortora, non dimenticare per sempre la vita dei tuoi poveri’».
Abbiamo bisogno di ritrovare una preghiera implicata nella complessità della storia. La lotta contro il potere malvagio è cosa di Dio. L’orante vi si sottomette con passione. Passione contro la violenza distruttiva. Volontà di non schierarsi con gli empi che appaiono “vincenti” nella storia del mondo. Facendo affidamento sulla guida unica del Signore. Così, l’ira per gli avversari dell’opera di Dio si esprime in pieno abbandono effondendosi “davanti a Dio”.
MARIA IGNAZIA ANGELINI