Papa Francesco
Il significato del viaggio in Iraq nell’udienza del 10 marzo scorso, dopo il suo ritorno.
2021/4, p. 4
Dopo questa Visita, il mio animo è colmo di gratitudine. Gratitudine a Dio e a tutti coloro che l’hanno resa possibile: al Presidente della Repubblica e al Governo dell’Iraq; ai Patriarchi e ai Vescovi del Paese, insieme a tutti i ministri e i fedeli delle rispettive Chiese; alle Autorità religiose, a partire dal Grande Ayatollah Al-Sistani, con il quale ho avuto un incontro indimenticabile nella sua residenza a Najaf.

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Testimoni
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Il significato del viaggio in Iraq
nell’udienza del 10 marzo scorso, dopo il suo ritorno.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Nei giorni scorsi il Signore mi ha concesso di visitare l’Iraq, realizzando un progetto di San Giovanni Paolo II. Mai un Papa era stato nella terra di Abramo; la Provvidenza ha voluto che ciò accadesse ora, come segno di speranza dopo anni di guerra e terrorismo e durante una dura pandemia.
Dopo questa Visita, il mio animo è colmo di gratitudine. Gratitudine a Dio e a tutti coloro che l’hanno resa possibile: al Presidente della Repubblica e al Governo dell’Iraq; ai Patriarchi e ai Vescovi del Paese, insieme a tutti i ministri e i fedeli delle rispettive Chiese; alle Autorità religiose, a partire dal Grande Ayatollah Al-Sistani, con il quale ho avuto un incontro indimenticabile nella sua residenza a Najaf.
Ho sentito forte il senso penitenziale di questo pellegrinaggio: non potevo avvicinarmi a quel popolo martoriato, a quella Chiesa martire, senza prendere su di me, a nome della Chiesa Cattolica, la croce che loro portano da anni; una croce grande, come quella posta all’entrata di Qaraqosh. L’ho sentito in modo particolare vedendo le ferite ancora aperte delle distruzioni, e più ancora incontrando e ascoltando i testimoni sopravvissuti alle violenze, alle persecuzioni, all’esilio… E nello stesso tempo ho visto intorno a me la gioia di accogliere il messaggero di Cristo; ho visto la speranza di aprirsi a un orizzonte di pace e di fraternità, riassunto nelle parole di Gesù che erano il motto della Visita: «Voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). Ho riscontrato questa speranza nel discorso del Presidente della Repubblica, l’ho ritrovata in tanti saluti e testimonianze, nei canti e nei gesti della gente. L’ho letta sui volti luminosi dei giovani e negli occhi vivaci degli anziani. La gente che aspettava il Papa da cinque ore, in piedi…; anche donne con bambini in braccio… Aspettava, e nei loro occhi c’era la speranza.
Il popolo iracheno ha diritto a vivere in pace, ha diritto a ritrovare la dignità che gli appartiene. Le sue radici religiose e culturali sono millenarie: la Mesopotamia è culla di civiltà; Baghdad è stata nella storia una città di primaria importanza, che ha ospitato per secoli la biblioteca più ricca del mondo. E che cosa l’ha distrutta? La guerra. Sempre la guerra è il mostro che, col mutare delle epoche, si trasforma e continua a divorare l’umanità. Ma la risposta alla guerra non è un’altra guerra, la risposta alle armi non sono altre armi. E io mi sono domandato: chi vendeva le armi ai terroristi? Chi vende oggi le armi ai terroristi, che stanno facendo stragi in altre parti, pensiamo all’Africa per esempio? È una domanda a cui io vorrei che qualcuno rispondesse. La risposta non è la guerra ma la risposta è la fraternità. Questa è la sfida per l’Iraq, ma non solo: è la sfida per tante regioni di conflitto e, in definitiva, è la sfida per il mondo intero: la fraternità. Saremo capaci noi di fare fraternità fra noi, di fare una cultura di fratelli? O continueremo con la logica iniziata da Caino, la guerra? Fratellanza, fraternità.
Per questo ci siamo incontrati e abbiamo pregato, cristiani e musulmani, con rappresentanti di altre religioni, a Ur, dove Abramo ricevette la chiamata di Dio circa quattromila anni fa. Abramo è padre nella fede perché ascoltò la voce di Dio che gli prometteva una discendenza, lasciò tutto e partì. Dio è fedele alle sue promesse e ancora oggi guida i nostri passi di pace, guida i passi di chi cammina in Terra con lo sguardo rivolto al Cielo. E a Ur, stando insieme sotto quel cielo luminoso, lo stesso cielo nel quale il nostro padre Abramo vide noi, sua discendenza, ci è sembrata risuonare ancora nei cuori quella frase: Voi siete tutti fratelli.
Un messaggio di fraternità è giunto dall’incontro ecclesiale nella Cattedrale Siro-Cattolica di Baghdad, dove nel 2010 furono uccise quarantotto persone, tra cui due sacerdoti, durante la celebrazione della Messa. La Chiesa in Iraq è una Chiesa martire e in quel tempio, che porta inscritto nella pietra il ricordo di quei martiri, è risuonata la gioia dell’incontro: il mio stupore di essere in mezzo a loro si fondeva con la loro gioia di avere il Papa con sé.
Un messaggio di fraternità abbiamo lanciato da Mosul e da Qaraqosh, sul fiume Tigri, presso le rovine dell’antica Ninive. L’occupazione dell’Isis ha causato la fuga di migliaia e migliaia di abitanti, tra cui molti cristiani di diverse confessioni e altre minoranze perseguitate, specialmente gli yazidi. È stata rovinata l’antica identità di queste città. Adesso si sta cercando faticosamente di ricostruire; i musulmani invitano i cristiani a ritornare, e insieme restaurano chiese e moschee. Fratellanza, è lì. E continuiamo, per favore, a pregare per questi nostri fratelli e sorelle tanto provati, perché abbiano la forza di ricominciare. E pensando ai tanti iracheni emigrati vorrei dire loro: avete lasciato tutto, come Abramo; come lui, custodite la fede e la speranza, e siate tessitori di amicizia e di fratellanza là dove siete. E, se potete, tornate.
Un messaggio di fraternità è venuto dalle due Celebrazioni eucaristiche: quella di Baghdad, in rito caldeo, e quella di Erbil, città dove sono stato ricevuto dal Presidente della regione e dal suo Primo Ministro, dalle Autorità – ringrazio tanti che siano venuti a ricevermi – e anche sono stato ricevuto dal popolo. La speranza di Abramo e della sua discendenza si è realizzata nel mistero che abbiamo celebrato, in Gesù, il Figlio che Dio Padre non ha risparmiato, ma ha donato per la salvezza di tutti: Lui, con la sua morte e risurrezione, ci ha aperto il passaggio alla terra promessa, alla vita nuova dove le lacrime sono asciugate, le ferite sanate, i fratelli riconciliati.
Cari fratelli e sorelle, lodiamo Dio per questa storica Visita e continuiamo a pregare per quella Terra e per il Medio Oriente. In Iraq, nonostante il fragore della distruzione e delle armi, le palme, simbolo del Paese e della sua speranza, hanno continuato a crescere e portare frutto. Così è per la fraternità: come il frutto delle palme non fa rumore, ma è fruttuosa e fa crescere. Dio, che è pace, conceda un avvenire di fraternità all’Iraq, al Medio Oriente e al mondo intero!
PAPA FRANCESCO