Gellini Anna Maria
L'evento che lega cielo e terra
2021/3, p. 46
La domanda sull ’Abbandono di Gesù che, a vari livelli, attraversa tutto il libro, può essere così sintetizzata: come interpretare il significato e la portata di questo straordinario evento da cui nasce e a cui sono indissolubilmente legate originalità e forza della fede cristiana?

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NOVITÀ LIBRARIA
L’ evento
che lega Cielo e terra
La domanda sull'Abbandono di Gesù che, a vari livelli, attraversa tutto il libro, può essere così sintetizzata: come interpretare il significato e la portata di questo straordinario evento da cui nasce e a cui sono indissolubilmente legate originalità e forza della fede cristiana? Nella prima parte del libro, Gérard Rossé propone – sviluppandola in dieci capitoli - una lettura in chiave esegetica con riferimento all'Antico Testamento, al vangelo di Marco, di Matteo e alle Lettere di san Paolo. In sintesi Rossé afferma che «nella morte di Gesù, significata dal grido d’abbandono, è avvenuto l'incontro tra i due estremi: tra l’uomo lontano da Dio, e il Dio che rivela il suo vero volto di Padre e accoglie l'uomo nella sua intimità comunionale. Mistero di salvezza».
Nella seconda parte, Piero Coda, partendo da una premessa metodologica, fa riferimento al Nuovo Testamento, per poi percorrere le diverse interpretazioni di Gesù Abbandonato lungo la storia dell’esperienza spirituale, mistica e teologica, in particolare in s. Agostino, s. Tommaso d’Aquino, s. Francesco d’Assisi, s. Bonaventura, s. Giovanni della Croce e s. Teresa d’Avila, fino alla teologia trinitaria della kenosi in s. Sergej Bulgakov, uno dei più importanti teologi del ‘900. Nella terza parte del libro, Coda presenta il grido d’abbandono nel carisma di Chiara Lubich, che più volte ha affermato: «il carisma [dell'unità: quello di cui lei stessa è riconosciuta portatrice e testimone] è Gesù Abbandonato», rivelazione dell’Amore trinitario e figura dell’umanità nuova. Un inscindibile legame tra croce e gloria, tenebra e luce, dolore e amore, abbandono e risurrezione.
Il grido dell’abbandono
all’alba del terzo millennio
Quando Cristo dice: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" le sue parole non sono solo espressione di quell'abbandono che più volte si faceva sentire nel Primo Testamento, specialmente nei salmi. Queste parole sull'abbandono nascono sul piano della indissolubile unione del Figlio col Padre. Nella Novo millennio ineunte, la Lettera apostolica indirizzata da Giovanni Paolo II alla Chiesa cattolica nell'inizio del terzo millennio dall'incarnazione del Figlio di Dio, l'invito a «ripartire da Cristo» viene proprio declinato, nella sua massima espressività, in rapporto al volto dolente del Crocifisso che grida l'abbandono, per poi additare nella kenosi d'amore da Lui così vissuta, la via maestra per vivere nella luce del Risorto l’ecclesiologia di comunione, missionaria e dialogica, maturata e proposta dal Vaticano II.
Il grido di Gesù sulla croce non esprime l'angoscia di un disperato, ma la preghiera del Figlio che offre la sua vita al Padre nell'amore, per la salvezza di tutti. Partendo da questa verità, Giovanni Paolo II ha voluto proporre a tutti la meditazione sull'abbandono di Gesù come lo sguardo specifico con cui ″guardare il Crocifisso sotto la luce che è la più vera, la luce della redenzione", quasi a indicare in ciò la postura con cui "contemplare, pregare e ringraziare", leggendo la vicenda umana con gli occhi concentrati sul volto del Cristo che grida, anche oggi, nella carne di tanti fratelli e sorelle.
Stella polare
della sequela Christi
Nella parte riguardante la teologia del Novecento, viene data particolare evidenza all’attenzione del Magistero di papa Francesco sul significato del grido dell’abbandono, quasi a indicarlo alla Chiesa, come stella polare della sequela Christi, in questo nostro tempo storico. Del resto, già più volte richiamatosi a questo mistero, il Papa, «nel pieno dell'infuriare della pandemia del coronavirus, ha offerto agli occhi del mondo l’incancellabile icona della statio orbis di fronte al Crocifisso, in una Piazza San Pietro deserta, flagellata dalla pioggia». Interessante la riflessione di Coda sul fatto che «dopo la profetica stagione del Concilio Vaticano II, in cui il kerigma del Cristo pasquale è stato rimesso al centro del cammino della Chiesa, descritto come sequela esigente del Cristo che “spogliò se stesso" (cfr. LG 8), pochi sembrano i passi compiuti in questa direzione. Forse, soltanto nella teologia sbocciata dalla condivisione del grido di dolore dei popoli imprigionati nel "rovescio della storia" - com'è stata chiamata l'altra faccia, fatta di miseria, ingiustizia e sofferenza, e coinvolgente un numero crescente di persone, gruppi sociali, intere popolazioni, a fronte dell'opulenza sazia e disperata di una minoranza dell'umanità, - è rimasta viva la forza critica, sovvertitrice e liberatrice di quella che J.B. Metz ha definito la memoria passionis». Su questa strada, nel ricco e prezioso patrimonio offerto dalla "teologia dei Santi”, viene situata la testimonianza di Chiara Lubich e del Movimento spirituale e socio-culturale che riconosce nell'abbandono la sua origine e la sua ispirazione. La figura di Gesù Abbandonato è l’espressione massima dell’amore di Dio che Chiara imprime nel suo cuore e che contempla, vive e testimonia come l’evento salvifico per eccellenza, di portata universale, che lega Cielo e terra, Dio e l’uomo.
ANNA MARIA GELLINI