Fumagalli Aristide
La famiglia in cammino
2021/3, p. 31
La gioia del vangelo ha spinto papa Francesco a promuovere una «nuova “uscita” missionaria» della Chiesa, presto incamminandola sulla strada della famiglia. Già Giovanni Paolo II, del resto, aveva indicato la famiglia come «la prima e la più importante» delle vie sulle quali la Chiesa è chiamata ad affiancarsi al cammino terreno degli uomini per adempiere alla sua missione.

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AMORIS LAETITIA
La famiglia in cammino
La gioia del vangelo ha spinto papa Francesco a promuovere una «nuova "uscita" missionaria» della Chiesa, presto incamminandola sulla strada della famiglia. Già Giovanni Paolo II, del resto, aveva indicato la famiglia come «la prima e la più importante» delle vie sulle quali la Chiesa è chiamata ad affiancarsi al cammino terreno degli uomini per adempiere alla sua missione.
Sulla via della famiglia la Chiesa è inviata ad annunciare il kerigma, ovvero che «Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti». Questo primo e centrale annuncio è quanto di «più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario» (60) la Chiesa possa annunciare, cosicché «davanti alle famiglie e in mezzo ad esse deve sempre nuovamente risuonare» (58).
L’annuncio kerigmatico dell’amore di Cristo rivela la via della famiglia quale via caritatis, la via del comandamento nuovo di Gesù: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Per i cristiani che vivono una situazione matrimoniale, la via caritatis, valida per tutti, si specifica come via caritatis coniugalis.
La via della carità coniugale è orientata in una precisa direzione, il cui punto focale è dato dal «matrimonio, riflesso dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa». Così inteso, il matrimonio «si realizza pienamente nell’unione tra un uomo e una donna, che si donano reciprocamente in un amore esclusivo e nella libera fedeltà, si appartengono fino alla morte e si aprono alla trasmissione della vita, consacrati dal sacramento che conferisce loro la grazia per costituirsi come Chiesa domestica e fermento di vita nuova per la società» (292).
Come il faro di un porto che orienta la rotta dei naviganti, questo «ideale pieno del matrimonio» è irrinunciabile per la Chiesa, che mancherebbe di «fedeltà al Vangelo» qualora lo proponesse con «tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto» (307).
Cammino graduale
L'ideale pieno del matrimonio, dati i limiti e le fragilità della condizione storica, può essere vissuto solo incompiutamente dai coniugi, giacché il suo compimento è escatologico, in corrispondenza all'avvento definitivo del Regno dei cieli. Lungo il corso della storia, il matrimonio, anche sacramentale, è solo un «segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa» (72). Stante il già e non ancora che caratterizza la storia della salvezza, «nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare» (325).
L'incompiutezza storica dell'ideale pieno del matrimonio corrisponde alla storicità dell'essere umano, il quale «conosce, ama e realizza il bene morale secondo tappe di crescita», e «avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell’intera vita personale e sociale dell’uomo» (295).
La condizione storica della famiglia fa sì che la Chiesa, che pur sempre propone la «perfezione» e ritiene che «ogni rottura del vincolo matrimoniale è contro la volontà di Dio» sia «anche consapevole della fragilità di molti suoi figli» e della doverosità di accompagnarli «con attenzione e premura» (291).
Alla Chiesa è richiesto di «annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona», cosicché «a tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi» (309). Nell’annuncio della misericordia, sempre «immeritata, incondizionata e gratuita» (297) brilla «la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio» (311).
Discernimento del bene possibile
Chiamata ad «accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno», la Chiesa, pur «senza sminuire l’ideale evangelico del matrimonio» e «benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada», non rinuncia alla ricerca del «bene possibile» (308).
Nel cammino graduale verso l'ideale pieno del matrimonio, il bene possibile, paragonabile al passo secondo la gamba di chi cammina, non può essere stabilito da «una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi», ma esige «un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari» (300).
Il discernimento del bene possibile non può prescindere dalla coscienza personale degli interessati. Proprio riferendosi ad alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la concezione matrimoniale della Chiesa, papa Francesco afferma che «la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa». Constatando che «stentiamo a dare spazio alla coscienza dei fedeli», egli ricorda che «siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle» (37). Il servizio dei pastori, allora, è quello di «incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata», che possa riconoscere «non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo», ma anche «con sincerità e onestà ciò che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale quella che è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo» (303).
Il discernimento dei casi particolari, evitando di credere che «tutto sia bianco o nero» e identificando piuttosto «gli elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale» (293), aiuta a «trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti» (305). A beneficio di tale ricerca va ricordato che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà» (305).
Al contempo personale e pastorale, il discernimento ha il suo luogo concreto e proprio nel «colloquio» dei fedeli col sacerdote «in foro interno» (300). Lo statuto dialogico del discernimento permette agli uni di «comprendere meglio quello che sta succedendo e […] scoprire un cammino di maturazione personale» e all'altro di «entrare nel cuore del dramma delle persone e di comprendere il loro punto di vista, per aiutarle a vivere meglio e a riconoscere il loro posto nella Chiesa» (312).
Mirante «alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere» (300), il discernimento non s’arresta all'individuazione di un singolo passo, ma continua nell'indicare i successivi. Per questo motivo, «il discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l'ideale in modo più pieno» (303).
Situazioni matrimoniali fragili
Benché rispetto all'ideale pieno del matrimonio ogni situazione sia in qualche modo "irregolare", il diritto canonico riserva tale qualificazione alle situazioni matrimoniali dei battezzati che convivono more uxorio senza il sacramento del matrimonio, non corrispondendo ancora, come nel caso della semplice convivenza e del matrimonio civile, o non più corrispondendo, come nel caso della nuova unione di chi fosse già stato sposato sacramentalmente, all'insegnamento della Chiesa. La fragilità specifica di queste situazioni è dovuta al non godere della grazia propria del sacramento del matrimonio.
Nell'innumerevole varietà e concretezza di queste situazioni, talune «contraddicono radicalmente» l’ideale del matrimonio cristiano, altre «lo realizzano almeno in modo parziale e analogo» (292). Riconoscendo che la misericordia di Dio tutti raggiunge e nessuno esclude, la Chiesa affronta tali situazioni matrimoniali «in maniera costruttiva», valorizzando quei «segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di Dio» e cercando di trasformarli in «opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo» (294).
Il discernimento relativo ai semplici conviventi e agli sposati solo civilmente deve considerare che la loro scelta «molto spesso non è motivata da pregiudizi o resistenze nei confronti dell'unione sacramentale, ma da situazioni culturali o contingenti» (294). In ogni caso, «quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio» (293).
Ciò che risulta possibile per i semplici conviventi e gli sposati solo civilmente, non lo è per i divorziati in nuova unione, data l'impossibilità di sciogliere il loro precedente valido matrimonio sacramentale. Nella chiara consapevolezza che la nuova unione di divorziati «non è l'ideale che il Vangelo propone per il matrimonio e la famiglia», il discernimento «deve sempre farsi "distinguendo adeguatamente"» le «situazioni molto diverse» in modo che non siano «catalogate o rinchiuse in affermazioni troppo rigide».
Papa Francesco prospetta chiaramente anche per i fedeli divorziati in nuova unione la «logica dell'integrazione» quale «chiave del loro accompagnamento pastorale» (299). Promuovendo il cammino sulla via caritatis, il «discernimento pastorale carico di amore misericordioso» (312) evita la logica dell'emarginazione e persegue, invece, la logica dell'integrazione misericordiosa nella vita della Chiesa (cf 296), che, del resto, vale per «tutti, in qualunque situazione si trovino» (297). Sorretta all'«architrave» della misericordia, «la Chiesa non è una dogana» presidiata da «controllori della grazia», ma «la casa paterna dove c'è posto per ciascuno con la sua vita faticosa» (310).
ARISTIDE FUMAGALLI