Silenzio, solitudine. La vita spirituale in tempo di pandemia
2021/3, p. 19
Ritorna alla memoria l’esperienza del lock-down che ha chiuso nella propria abitazione molte persone, ha fatto vivere tempi di solitudine, ha costretto, come figli di Adamo, a sperimentare un modello esemplare di che cosa comporta il limite della creatura umana. Vorremmo vivere con pluralità di rapporti, con libere decisioni sul dove andare; intendiamo scegliere noi con chi costruire legami
di amicizia, e invece siamo costretti a tenere chiusa la porta di casa, a centellinare gli incontri, a vivere con una certa apprensione ogni dialogo faccia a faccia, mascherina davanti a mascherina…
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Silenzio, solitudine. La vita spirituale in tempo di pandemia
Ritorna alla memoria l’esperienza del lock-down che ha chiuso nella propria abitazione molte persone, ha fatto vivere tempi di solitudine, ha costretto, come figli di Adamo, a sperimentare un modello esemplare di che cosa comporta il limite della creatura umana. Vorremmo vivere con pluralità di rapporti, con libere decisioni sul dove andare; intendiamo scegliere noi con chi costruire legami di amicizia, e invece siamo costretti a tenere chiusa la porta di casa, a centellinare gli incontri, a vivere con una certa apprensione ogni dialogo faccia a faccia, mascherina davanti a mascherina…
La pandemia, che in certo senso ha imposto il silenzio alla scienza che non sapeva capire del tutto come trattare il virus, ci ha confinato in casa, e per alcuni di noi questo fatto è stato difficile da vivere. Nel silenzio, nella solitudine si aprono facilmente le oscurità nel nostro cuore: malinconia, memorie che per lo più riguardano quei fatti del nostro passato che ci riportano a rendere presenti sconfitte o mancanze. Ci è stata data insomma l’occasione per riconoscere l’importanza di coltivare in noi l’esercizio della attenzione alla nostra vita dello spirito, e di imparare come vivere la contemplazione.
Esemplare, in questo senso, è stata le preghiera solitaria e silenziosa di papa Francesco, in una Piazza S. Pietro vuota e bagnata dalla pioggia, quando in Italia era arrivato il picco di morti con quasi mille decessi al giorno. Nella solitudine, nel silenzio, nella novità della sfida, il Papa indicava una via: la contemplazione delle grandi opere di Dio: la croce del Figlio di Dio, la presenza di Maria.
Fa parte del patrimonio della pietà cristiana, l’essere attenti al futuro di ciascuno di noi, e della storia del mondo. Nel silenzio e nella solitudine che mettono in discussione la nostra fede, sono ancora più luminose le parole di Pietro nella sua prima lettera: Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell'ultimo tempo. Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, per un po' di tempo, afflitti da varie prove. (I Pietro 1,4-6)
Lo sguardo sulla verità della nostra vita, che si proietta nel futuro della vita nostra, che non ha fine, può essere la modalità con cui vivere l’obbedienza a quel ricorrente invito, nella predicazione del Maestro, al “vigilare”. La vigilanza cristiana significa il rimanere, nel pensiero, nella memoria, nella preghiera, sotto il segno del primato di Dio nella nostra vita. Questa scelta aiuta a rinnovare ogni giorno, e in particolare nel momento della solitudine, la persuasione che l’offerta di Dio a ciascuno di noi, è la proposta di luce nuova su di noi, di gioia e di pace.
La vigilanza interiore possiamo descriverla come custodia del cuore: la solitudine e il silenzio consentono di prestare attenzione ai sentimenti, alle fantasie e ai giudizi che si sono depositati nel nostro animo, e che, se sono in noi troppo insistenti, diventano quasi a nostra insaputa, un groviglio interiore; avvertiamo allora che le emozioni ci fanno sorgere nel cuore un clima inadatto e persino contrario non solo alla preghiera e al dialogo con il Signore, ma anche alla serenità del nostro spirito.
Nella storia della spiritualità cristiana vi è l’esperienza espressa dai monaci d’oriente, che insistono sull’esercizio della preghiera continua; essa è possibile solo se si custodisce il cuore, si filtrano le ingerenze della immaginazione, si vincono le paure della solitudine e degli abbandoni. Il punto centrale, sempre ritrovato, della nostra attenzione è l’implorazione della misericordia di Gesù. Che è dimensione presente nel profondo dell’anima, e va richiamata alla memoria.
Alla luce della pietà che il Signore ha avuto per noi, desideriamo che Gesù occupi il cuore, sia il punto di riferimento dell’orante, divenga motivo di preghiera, talora con l’aiuto di formule, ma sempre con la volontà di stare semplicemente sotto lo sguardo di Dio. Possono aiutare ad assumere questo atteggiamento, il guardare alle tante figure bibliche che la storia del Popolo di Dio ci illustra. Abramo che, con la sua gente e i suoi animali, esce da Ur dei Caldei. Supera l’immaginario confine del paese di cui conosce la lingua e i costumi, per avanzare nel deserto, sapendo che Dio gli ha parlato e ha promesso di benedirlo. Elia che incontra il Signore in un silenzioso soffio di vento, dopo aver camminato a lungo nel deserto, e aver sperimentato la solitudine per la sconfitta della sua strategia di violenza.
La vigilanza del cuore è dolce, tonificante, capace di rasserenarci; è necessario impegnarci a viverla, chiedendola umilmente al Signore, ritornando all’esercizio della memoria che ci rende presente il modo di agire di Gesù, raccontando a noi stessi quanto il Creatore continuamente compie «rinnovando la faccia della terra» (salmo 102).
GIOVANNI GIUDICI