Messa Pietro
La “Regola non bollata” di Francesco d’Assisi tra sinodalità e leadership
2021/3, p. 18
«Dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor papa me la confermò»

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A 800 ANNI DALLA STESURA
La “Regola non bollata” di Francesco d’Assisi
tra sinodalità e leadership
«Dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor papa me la confermò»
Contrariamente a quanto si crede, Francesco d’Assisi era alfabetizzato, ossia sapeva leggere e scrivere, ed è rimasta una raccolta di suoi scritti tra cui anche tre autografi sebbene non fosse un acculturato. Tra queste composizioni vi è pure una regola databile al 1221 circa che però non è stata confermata mediante un documento papale, cosa che avverrà invece per una redazione successiva confermata da papa Onorio III nel 1223 con la bolla Solet annuere. La redazione precedente risulta molto interessante perché testimonia il modo con cui la fraternità evangelica ha vissuto i suoi primi passi a cominciare dal 1208 circa fino a divenire nel giro di un ventennio l’ordine dei frati Minori.
Frate Francesco stesso nel Testamento, composto nel 1226 pochi mesi prima di morire, ricordando la fine del primo decennio del Duecento afferma: «E dopo che il Signore mi dette dei fratelli, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor papa me la confermò». Giacomo da Vitry in una lettera inviata del 1216 invece scrive riguardo alla fraternità minoritica: «Gli uomini di questa “religione” con notevole vantaggio convengono una volta l’anno nel luogo stabilito per rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme. Qui, avvalendosi del consiglio di persone esperte, formulano e promulgano le loro leggi sante e confermate dal signor papa». Tali convocazioni annuali sono nientemeno che i capitoli in cui i frati confrontano la forma di vita evangelica con la realtà vissuta facendo vere e proprie verifiche del vissuto e traendone delle norme comportamentali.
Se Francesco d’Assisi a distanza di un ventennio dai fatti si attribuisce la composizione di tale forma di vita, il vescovo Giacomo usa il plurale ponendo come autore l’intera fraternità; davanti a tali diverse attribuzioni sorge la domanda chi sia il reale artefice della regola minoritica. A questo proposito un altro frate, Giordano da Giano, nella sua Cronaca riferendosi all’Assisiate afferma: «Vedendo poi che frate Cesario era esperto in Sacra Scrittura, affidò a lui il compito di ornare con parole del Vangelo la Regola che egli stesso aveva concepito con semplici parole. Ed egli lo fece». Mediante un’analisi attenta del testo poi vi si scorgono diversi strati redazionali con differenti apporti: ecco amplificazioni per rispondere a nuove esigenze, inserimenti negativi volti a estirpare abusi, testi legislativi provenienti dal papa stesso e così via. Pertanto si può dire che realmente la regola minoritica è frutto di una riflessione condivisa.
Tuttavia davanti a ciò Francesco d’Assisi non sta né come spettatore e neppure quale fratello tra fratelli o primus inter pares. A questo proposito è emblematico quanto narrato dalla Compilazione d’Assisi in un racconto a cui è riconosciuto un alto grado di veridicità storica: «Mentre il beato Francesco era al capitolo generale, che si tenne a Santa Maria della Porziuncola, quello che fu detto capitolo delle stuoie e a cui intervennero cinquemila fratelli, molti di questi, sapienti e istruiti, dissero al cardinale Ugolino, il futuro Gregorio IX, presente al capitolo, che persuadesse il beato Francesco a seguire i consigli dei frati dotti e a lasciarsi qualche volta guidare da loro. Facevano riferimento alle regole di san Benedetto, sant’Agostino e san Bernardo, che prescrivono questa e quest’altra norma al fine di condurre una vita religiosa ben ordinata. Il beato Francesco allora, udita l’esortazione del cardinale su tale argomento, lo prese per mano e lo condusse davanti all’assemblea capitolare, e così parlò ai frati: “Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato per la via dell’umiltà e mi ha mostrato la via della semplicità. Non voglio quindi che mi nominiate altre regole, né quella di sant’Agostino, né quella di san Bernardo o di san Benedetto. Il Signore mi ha detto che questo egli voleva: che io fossi nel mondo un ‘‘novello pazzo’’: e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza!». Lo stesso atteggiamento autoritario di difesa lo si riscontra anche nella seconda parte del Testamento in cui, pur riconoscendo che ormai vi è una regola con tanto di approvazione pontificia del 1223, dà delle norme precise inerenti a nuove domande sorte nel frattempo quali ad esempio la costruzione di abitazioni e chiese per i frati.
Proprio queste nuove norme assenti nella Regola ma presenti nel Testamento spinsero i frati nel 1230, ossia solo quattro anni dopo la morte di colui che nel frattempo era stato canonizzato nel 1228, a mandare una delegazione di alcuni frati acculturati dal Papa per chiedere se dovessero o no osservare il Testamento. Gregorio IX, pontefice dal 1227, rispose negativamente perché san Francesco «non poteva, senza il consenso dei frati e principalmente dei ministri, perché riguardava tutti, obbligare»; si intravvede nel responso papale la citazione del testo Quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet coniato pochi decenni prima.
Proprio questo principio è richiamato dalla Commissione Teologica Internazionale nel documento Il sensus fidei nella vita della Chiesa pubblicato nel 2014: «La pratica di consultare i fedeli non è nuova nella vita della Chiesa. Nella Chiesa del Medioevo si utilizzava un principio del diritto romano: Quod omnes tangit, ab omibus tractari et approbari debet (ciò che riguarda tutti deve essere trattato e approvato da tutti). Nei tre campi della vita della Chiesa (fede, sacramenti, governo), “la tradizione univa a una struttura gerarchica un regime concreto di associazione e di accordo”, e si riteneva che fosse “una prassi apostolica” o “una tradizione apostolica”».Sempre la Commissione Teologica Internazionale in La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, pubblicato nel marzo 2018 dopo aver ricevuto il parere favorevole di papa Francesco, riprende il suddetto paragrafo del precedente documento, seguito dalla precisazione: «Questo assioma non va inteso nel senso del conciliarismo a livello ecclesiologico né del parlamentarismo a livello politico. Aiuta piuttosto a pensare ed esercitare la sinodalità nel seno della comunione ecclesiale».
Francesco d’Assisi aveva recepito tale prassi che nel linguaggio odierno è definita sinodale? Da una parte sì visto che nel Testamento afferma la superiorità della Regola: «E non dicano i frati: “Questa è un’altra Regola”, perché questa è un ricordo, un’ammonizione, un’esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, fratelli miei benedetti, affinché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore. E il ministro generale e tutti gli altri ministri e custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole. E sempre abbiano con sè questo scritto accanto alla Regola. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole». Ma nel frattempo no perché nel desiderio di salvaguardare la scelta di vita evangelica dà ordini ben precisi: «Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati […] E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza».
La contraddizione tra tali affermazioni è palese e per diversi studiosi rimane un punto interrogativo insoluto nella comprensione del pensiero dell’Assisiate; qualcuno invece, come Paolo Martinelli, ha suggerito di vedere in ciò un esempio di quanto Romano Guardini descrive nel suo studio L’opposizione polare. Filosofia del concreto vivente. Sì, opposizione tra desiderio di essere fratello tra fratelli ma anche affermazione perentoria di aver ricevuto per rivelazione divina la forma di vita del santo Vangelo a cui sono chiamati tutti i frati; una opposizione mai risolta in frate Francesco ma in un certo qual modo neppure nell’Ordine minoritico.Una maggiore dimensione sinodale si può riscontrare in Chiara d’Assisi e nella sua posterità, ossia la storia delle clarisse.
PIETRO MESSA, OFM
Pontificia Università Antonianum