Cabra Piergiordano
Excursus quasi seri sui 25 anni di Vita Consecrata
2021/3, p. 3
Il 25 marzo del 1996, Papa Giovanni Paolo II firmava la Esortazione apostolica Vita consecrata. Ci sia permesso partecipare alla commemorazione del venticinquesimo con alcuni excursus semiseri. Una Magna Carta per il nuovo millennio?

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Excursus quasi seri sui 25 anni di Vita Consecrata
Il 25 marzo del 1996, Papa Giovanni Paolo II firmava la Esortazione apostolica Vita consecrata. Ci sia permesso partecipare alla commemorazione del venticinquesimo con alcuni excursus semiseri.
Una Magna Carta per il nuovo millennio? Così è stata presentata da alcuni entusiasti esperti. Ma nel frattempo stiamo entrando nell’epoca del digitale, che sta sostituendo il cartaceo. L’avanzata del digitale è l’affermazione della rapidità dei cambiamenti, della funzionalità, dell’attualità. Ora, dato che il documento riflette una situazione segnata dalla turbolenta stagione del primo post-concilio, stagione appartenente all’epoca cartacea, è ovvio che, in alcuni punti, debba essere digitalizzata.
Una teologia troppo alta? Così alcuni commentatori che avevano presente la situazione delle nostre comunità impegnate nei gravosi problemi terra terra della contrazione numerica, delle defezioni e degli scandali. Ora il documento ha innalzato il livello teologico per rendere possibile una discesa o kenosis, capace di mettere mano al servizio cristiano, che non è possibile senza un alto livello di partenza.
Non si può avere la forza e il coraggio di scendere a servire umilmente se non si parte dall’alto, da molto in alto, da dove è partita la kenosis. Non si ha il senso dell’umiltà se non si circola nelle alte regioni del divino, dove si misura la reale consistenza di tutte le cose. Non si combatte contro se stessi se non si alza il capo per guardare in alto.
Una identità troppo accentuata? Proprio in un momento in cui si riscopriva e si rivendicava la comune dignità del cristiano, il documento sembrava accentuare la distinzione della vita consacrata dalle altre forme di vita. E ciò non è piaciuto a molti. Ma distinzione non è separazione e il “di più” attribuito alla vita consacrata è posto al servizio della testimonianza di ogni cristiano, perché non dimentichi che ci sono parole piuttosto difficili di Gesù che esigono distacco, disponibilità a rinunciare a qualche cosa di umanamente prezioso, per essere suoi discepoli. La ripresentazione della forma di vita di Cristo, pur nelle inadeguatezze di chi tende a conformarvisi, “è una memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato” (VC 22). Tener viva la memoria del Salvatore, non solo con le parole e con le opere, ma con la vita, in un momento storico in cui il suo ricordo sembra eclissarsi, è un atto d’amore, di riconoscenza e di spirito missionario.
Un segno illeggibile? Il documento ripropone la vita consacrata nell’ordine dei segni. Ma anche se è vero che è difficile essere segno in questa società che considera un optional ogni scelta di vita, la scelta di una vita come quella consacrata non può non far suscitare almeno la domanda: chi glielo fa fare? Inoltre, date le incertezze dei tempi, chi può escludere che la vita consacrata sia tenuta in vita dal suo Signore, per i tempi difficili, quando le fondamenta del nostro mondo sono scosse, quando si avverte la caducità del tutto, quando si guarderà con meno supponenza a chi ha vissuto nell’attesa della Sua venuta, a chi ha posto la sua fiducia nel futuro di Dio, perché sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore?
Una comunione trinitaria? Il riferimento trinitario è presente in ogni ambito del documento e tocca quindi anche la comunità religiosa. E non solo, come avrebbe detto qualche bello spirito, per il fatto che le comunità si riducono spesso a tre persone…ma più seriamente, perché la comunità religiosa radunata dal Padre al seguito del Figlio, nella forza dello Spirito, può rivelare che la partecipazione alla comunione trinitaria può cambiare i rapporti umani, creando un nuovo tipo di solidarietà. Una simile affermazione può apparire un tentativo di spiegare una cosa difficile con un’altra ancora più difficile. Invece è il richiamo alla irrinunciabile dimensione teologale della vita consacrata, che fonda la fraternità come dimensione che non può essere surrogata da nessun pur necessario approccio umano.
Quale bellezza? Un tempo si diceva che il Signore sceglieva per sé le ragazze più belle, per farle sue spose. Poi andarono di moda le fotografie di graziose suorine. Oggi quando si vuol presentare qualche cosa di belIo e convincente della vita consacrata si presenta il volto rugoso e l’esile corpo piegato di Madre Teresa di Calcutta, icona dell’amore che si dona, che sa accogliere chi cerca aiuto, che mostra il lato bello della vita a chi ne ha conosciuto solo le brutture, che coltiva in sé la gioia, per poterla comunicare agli altri, che ha una parola buona per ogni occasione. Che fa dire: “che bella persona!”
Ma c’è anche il fatto che la vita religiosa oggi non si presenta solo in bianco e nero, ma tutta colorata dai volti dei diversi popoli che la ringiovaniscono e manifestano la bellezza policroma della Chiesa, circumdata varietate.
Che dire ancora? Cedo la parola al Sommo Poeta, che ripete più di una volta che la vita religiosa è il luogo del benessere spirituale: U’ ben si impingua se non si vaneggia. Il documento è una guida anche a quella pinguedine (moderata, dati i tempi dietetici che corrono), a quel benessere, che rende la vita bella e attraente, se non si vaneggia. Anche perché se si vaneggia, si danneggia, come si può leggere nelle cronache poco edificanti di tutti i tempi! Pietà di noi Signore, perché non siamo migliori degli altri!
PIER GIORDANO CABRA