Marras Vincenzo
Per una scelta consapevole
2021/2, p. 3
In questa seconda parte si indicano alcuni criteri per favorire una scelta consapevole su opportunità e modalità di adesione alla Riforma, e successivamente vengono offerte alcune indicazioni operative.

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OPPORTUNITÀ E MODALITÀ DI ADESIONE ALLA RIFORMA
Per una scelta consapevole
In questa seconda parte si indicano alcuni criteri per favorire una scelta consapevole su opportunità e modalità di adesione alla Riforma, e successivamente vengono offerte alcune indicazioni operative.
Per una corretta valutazione sulla scelta da compiere non è sufficiente basarsi unicamente su aspetti economici e fiscali, né tanto meno è saggio delegare ai consulenti dell’Istituto il giudizio sull’opportunità di aderire alla Riforma e sulle relative modalità. Risponde, invece, a ragionevoli criteri di prudenza collocare la scelta di aderire o meno al sistema della Riforma nell’ambito di valutazioni di natura carismatica, capaci di valorizzare le opere in un orizzonte temporale di medio-lungo periodo, considerando l’ambito di operatività delle iniziative dell’Istituto, le relative modalità di svolgimento e il loro fabbisogno economico-finanziario. Il dialogo con i professionisti che assistono l’Istituto può consentire una più compiuta consapevolezza delle possibili soluzioni e delle relative implicazioni.
Attente valutazioni
Naturalmente la Riforma impatta in maniera diversa a seconda delle dimensioni delle opere. Sono, quindi, valutazioni da farsi caso per caso, magari considerando forme collaborative tra realtà di piccole dimensioni. Per le opere più consistenti, le previsioni della Riforma paiono suggerire l’adozione del modello “Impresa sociale”, che consente di utilizzare il modello della società e, quindi, beneficiare di soluzioni organizzative di efficienza collaudata.
Spesso gli Istituti beneficiano con le risorse che derivano dalla gestione delle opere in Italia l’intera famiglia religiosa. In tali casi, è ragionevole una più attenta valutazione circa l’opportunità di aderire alla Riforma e le relative modalità. La Riforma, infatti, consente, solo in alcuni casi e a determinate condizioni (in particolare, quando l’impresa sociale è costituita in forma societaria), il trasferimento delle risorse generate dall’esercizio dell’attività a beneficio dell’intero Istituto o di alcune sue articolazioni. Analoghe considerazioni valgono per il sostegno alle attività missionarie e di carità. L’adesione al sistema della Riforma può, infatti, consentire una maggiore capacità di raccogliere fondi.
È poi ragionevole ritenere che nel futuro l’accreditamento o la convenzione con gli enti pubblici per l’esercizio di determinate attività di interesse generale – vale, ad esempio, per gli ambiti socio-sanitari o socio-assistenziali – possa essere subordinato all’appartenenza al sistema del Terzo settore. In questa prospettiva, l’adesione al sistema della Riforma risulta necessaria per le opere degli Istituti che svolgano le proprie attività in regime di convenzione con enti pubblici, fatta salva l’ulteriore valutazione sulle implicazioni fiscali della soluzione adottata.
La scelta di aderire alla Riforma comporta alcuni adempimenti istituzionali, che dipendono dall’opzione compiuta da ciascun Istituto in ordine alla modalità di adesione: “ramo” o ente civile collegato.
Se l’Istituto decide di svolgere le attività di interesse generale nel regime della Riforma secondo il modello del “ramo” deve: (1) adottare un regolamento e, a seconda dell’impostazione prescelta, recepire le norme del Codice del Terzo settore o del Decreto sull’impresa sociale; (2) individuare un patrimonio destinato e (3) tenere scritture contabili separate.
Il regolamento deve essere adottato «in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata» e va «depositato» nel Registro unico nazionale del Terzo settore» o, per la Impresa sociale, nel registro delle imprese «nel rispetto della struttura e delle finalità» degli enti ecclesiastici.
Contestualmente all’adozione del regolamento, è necessario «individuare il patrimonio destinato allo svolgimento dell’attività di interesse generale», che può essere costituito da beni, mobili e immobili, e risorse finanziarie (denaro contante, titoli, crediti). In ogni caso, i beni individuati non “fuoriescono” dal perimetro dei beni dell’Istituto conservando, così, la loro natura ecclesiastica. Il patrimonio destinato deve, inoltre, essere adeguato al volume di attività svolta dal “ramo”. In caso contrario, è possibile ipotizzare che banche e fornitori richiedano garanzie all’Istituto come condizione per l’erogazione del credito e la prestazione di beni o servizi.
L’adozione del regolamento e la contestuale individuazione del patrimonio destinato costituiscono atti di straordinaria amministrazione e necessitano pertanto di autorizzazione canonica, secondo le procedure previste dal diritto universale e, se del caso, dal diritto proprio di ogni Istituto.
Precise modalità
L’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore avviene mediante l’invio telematico della domanda di iscrizione e del regolamento. All’atto di iscrizione occorre indicare l’indirizzo pec dell’Istituto di cui, quindi, è necessaria l’attivazione.
Con l’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore, l’Istituto continua a mantenere l’iscrizione presso il Registro delle Persone giuridiche della Prefettura competente. In tal senso, considerata la connessione tra i Registri, è necessario che l’Istituto abbia cura di assicurare la coerenza tra la documentazione depositata presso il Registro unico nazionale del Terzo settore e la documentazione contenuta nel Registro delle Persone giuridiche.
L’opzione per il “ramo” non modifica gli assetti di governo dell’Istituto. In questo senso, i superiori dell’Istituto permangono i responsabili anche delle attività di interesse generale svolte dal “ramo” e l’Istituto continua a interagire con i terzi mediante il proprio rappresentante legale. Tuttavia, in presenza di adeguate ragioni – come, per esempio, la carenza di consacrati, le elevate competenze professionali richieste per la gestione o, più in generale, esigenze di prudenza – le attività del “ramo” possono essere gestite da un organo costituito ad hoc dotato di adeguati poteri e chiamato a render conto del proprio operato ai superiori dell’Istituto. È prudente, in ogni caso, evitare procure generali che attribuiscano a un determinato soggetto un potere illimitato di agire in nome e per conto dell’Istituto.
Se l’opzione di un Istituto è per la costituzione di un ente collegato o di una Impresa sociale sarà necessario adottare misure in parte differenti rispetto a quelle appena descritte.
Per garantire la conformità al carisma dell’Istituto, è necessario che lo statuto dell’ente collegato o dell’Impresa sociale preveda: (1) scopi il più possibile simili, analoghi a quelli dell’Istituto; (2) il potere in capo agli organi di governo dell’Istituto di nominare e revocare i membri degli organi di amministrazione e i responsabili della gestione, nonché l’approvazione degli atti di straordinaria amministrazione; (3) obblighi di rendicontazione a favore dell’Istituto; (4) in caso di scioglimento dell’ente o di perdita volontaria della qualifica di Ente del Terzo settore o di Impresa sociale, clausole per la devoluzione del patrimonio ad altri enti del Terzo settore collegati con l’Istituto o ad altri enti che condividano i medesimi scopi. Va ricordato che il presidente di una Impresa sociale, tuttavia, non può essere espressione diretta dell’Istituto, essendo preclusa la carica a «rappresentanti» dell’ente ecclesiastico.
Qualora non sia possibile un controllo diretto dell’ente collegato (come accade, per esempio, nel caso di una associazione), è da raccomandare un uso intelligente di strumenti contrattuali che consentano all’Istituto un “controllo indiretto” dell’ente civile collegato.
La scelta di costituire un ente collegato o un’Impresa sociale comporta la perdita del carattere ecclesiastico dei beni che l’Istituto attribuisce in proprietà dell’ente collegato. Può, pertanto, essere giustificato il ricorso a strumenti civilistici che consentano di conservare la proprietà dei beni in capo all’Istituto concedendo all’ente collegato il solo utilizzo, o attraverso l’esercizio del comodato o l’attribuzione del diritto di superficie o di usufrutto.
Particolare attenzione merita l’ente collegato costituito in forma di Società a responsabilità limitata (S.r.l.), il cui capitale sia interamente di titolarità dell’Istituto. In termini generali, la S.r.l. è una struttura societaria collaudata e largamente diffusa nella prassi, che assicura la responsabilità verso i creditori limitata al patrimonio della stessa società e, come tutte le società di capitali, consente di essere “aperta” alla partecipazione di altri soci, così da attrarre ulteriori risorse finanziarie. Nello specifico della disciplina della Riforma, la S.r.l. consente, nei limiti previsti dalla legge, la distribuzione degli utili e, soprattutto, offre un vantaggioso regime fiscale, consentendo la detrazione degli apporti al capitale.
La flessibilità propria della struttura organizzativa della S.r.l. consente di assicurare il suo legame con l’Istituto mediante una pluralità di strumenti da prevedere nello statuto: (1) diritti particolari riconosciuti all’Istituto, come per esempio il diritto di nominare e revocare gli amministratori o il diritto di veto su alcune decisioni di gestione; (2) clausole di gradimento che subordinino il trasferimento delle partecipazioni a terzi al placet dell’Istituto, così da tutelarne la reputazione.
Nella scelta del modello, è necessaria una particolare verifica anche sulle possibili implicazioni tributarie e, di converso, all’accesso o meno a determinate agevolazioni fiscali.
Naturalmente, anche la costituzione di un ente collegato o Impresa sociale rappresenta un atto di straordinaria amministrazione che deve essere autorizzato canonicamente secondo quanto previsto dal diritto universale e dal diritto proprio di ciascun Istituto.
riduzione
a cura di VINCENZO MARRAS