Dall'Osto Antonio a cura
Spiritualità dell’operatore sanitario
2021/2, p. 40
Gli operatori sanitari, durante la loro formazione, vengono preparati per diagnosticare e curare le malattie con competenza ed efficienza. Ma è difficile per loro comprendere l’itinerario personale della spiritualità e il modo con cui si esprime l’esperienza spirituale e la ricchezza che ne deriva.

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RIFLESSIONE PER LA GIORNATA DEL MALATO
Spiritualità
dell’operatore sanitario
Gli operatori sanitari, durante la loro formazione, vengono preparati per diagnosticare e curare le malattie con competenza ed efficienza. Ma è difficile per loro comprendere l’itinerario personale della spiritualità e il modo con cui si esprime l’esperienza spirituale e la ricchezza che ne deriva.
Riscoprire la spiritualità della vita ordinaria
La prima domanda che l'operatore sanitario si pone, riguarda il luogo in cui si svolge la sua esperienza spirituale. Questi professionisti, all'inizio, rischiano di ritenere impossibile pensare a una spiritualità per se stessi, perché conducono una vita troppo coinvolta nelle realtà del mondo per le esigenze della loro professione. Ma ogni realtà umana è un luogo di esperienza spirituale, poiché lo Spirito può essere trovato in varie situazioni. Pertanto, riscoprendo la spiritualità della vita ordinaria nell'occupazione e nella vocazione temporale, riteniamo che l'operatore sanitario, consapevolmente o meno, faccia la sua esperienza spirituale in modo privilegiato, nel suo concreto contesto storico-culturale concreto, nella sua vita quotidiana di lavoro e nelle relazioni che ne derivano.
Lo specifico dell’esperienza dell’operatore della salute e ciò che caratterizza la sua spiritualità è il processo di salute-sofferenza. È soprattutto in mezzo al dolore e alla sofferenza di coloro di cui è chiamato a prendersi cura, che l’operatore della salute si trova di fronte alla precarietà e alla finitezza umana e si interroga sul senso della vita e l'esistenza di Dio.
Durante la formazione accademica apprende presto il concetto di salute (e di conseguenza il significato della malattia) stabilito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (1946): «salute è lo stato di totale benessere fisico, psichico, sociale e non solo assenza di sofferenza e di infermità».
Ma, ben presto, scopre l'insufficienza di questa definizione di fronte alle sfide che sperimenta nella sua pratica quotidiana. Si accorge che la salute in nessun modo è statica; che la completezza non sarà mai terminata; che il benessere è, in alcuni casi, più soggettivo che oggettivo, che la dimensione spirituale che manca nella definizione, in realtà, non manca mai nell’esperienza dei suoi pazienti. Probabilmente, lo stesso operatore sanitario scoprirà che la formazione gli ha insegnato ad affrontare bene la malattia; ma il soggetto malato, poco alla volta, è stato lasciato da parte a spese della tecnica, dello scientismo, della medicalizzazione e della razionalizzazione (ÁLVAREZ, 2013, p. 25). Si rende conto che “si specializza nel trattamento delle malattie e non del malato, del corpo e non della persona e della sofferenza, ma senza considerare la sofferenza” (ivi p. 25)
In quel momento ha la possibilità di seguire un percorso spirituale di risignificazione, incontrando Gesù Cristo. Ma, come può l'operatore sanitario guardare a Gesù e vedere nel suo volto, nel suo modo di essere, di vivere e di agire, una pienezza di vita che desiderava trovare?
Gesù Cristo: terapeuta e malato
Nel momento in cui la sua esperienza antropologica di apertura e trascendenza si confronta con la verità della rivelazione cristiana, l'operatore sanitario può trovare nell'uomo Gesù la manifestazione della pienezza umana, scoprendo che il modo di essere e di vivere di Gesù è la realizzazione piena dell'umanità che desidera ardentemente (DE MORI, 2019, p. 5). Alla luce della fede, è Gesù Cristo che rivela la verità definitiva dell'essere umano. Lo Spirito di Dio in Gesù, incontrando lo spirito umano, rivela che la salute è anche un'esperienza di salvezza. In altre parole, fa parte del progetto salvifico di Dio (ÁLVAREZ, 2013, p. 32) che la donna e l’uomo siano sani allo scopo di essere in relazione con lui come figli e figlie molto amati, condividendo la sua gioia piena e la vita eterna. Dio esprime il suo desiderio di pienezza di vita per l'essere umano attraverso la salute e il dono della guarigione (ibid., p. 109). Inoltre, Dio anche “rivela e offre un modello di salute realizzato nel mistero di Cristo” (ibid., p. 104).
Forse, il motivo del fascino degli operatori sanitari per la persona di Gesù sono gli scritti di Luca, che, secondo la tradizione, era un medico e raccontò la storia di Gesù e dei suoi primi collaboratori mediante un Vangelo e gli Atti di Apostoli. Nel caso di Luca, sicuramente, qualcos'altro lo ha attirato in Gesù Cristo tanto da entusiasmarsi per conoscerlo meglio, al punto da decidere di raccontarci la sua storia (GRÜN, 2007, p. 17). Probabilmente, Luca stesso ha compiuto un cammino spirituale personale così trasformante da sentire il bisogno di registrare tutto per aiutare le generazioni future ad approfondire il loro rapporto con Gesù.
O forse, chi lo sa, gli operatori sanitari si sono sentiti interpellati rendendosi conto che, nel ministero di Gesù, i malati occupavano uno spazio privilegiato quanto ora lo occupano nella loro vita quotidiana. Abituati a trattare statistiche, incidenze, prevalenze e morbilità, questi professionisti possono essere impressionati dai dati raccolti da Vendrame (2001, p. 46) secondo cui: dei 3.779 versetti dei quattro Vangeli, 727 si riferiscono specificamente alla cura di malattie fisiche o mentali e alla risurrezione dei morti. Inoltre, ci sono 165 versetti che trattano generalmente della vita eterna e 31 riferimenti generali a miracoli che includono guarigioni. È così rilevante la parte dei Vangeli che tratta della guarigione dei malati che senza di essa il testo non si sostenterebbe.
Tuttavia, una cosa è certa: Gesù non tratta i malati che vanno da lui come numeri, né registra le diagnosi o le cure effettuate. Al contrario: egli è completamente disponibile ad incontrare la persona bisognosa per offrirgli la salvezza sotto forma di salute integrale. Per Gesù, salute e salvezza sono espressioni spontanee e inseparabili della sua persona, ossia fanno parte della sua identità (ÁLVAREZ, 2013, p. 133). Gesù guarisce salvando e salva guarendo. È così che comprende la sua vita e la sua missione. Tutti i suoi gesti sono orientati non solo a curare una malattia, ma, soprattutto, a ristabilire la piena salute e a far rinascere una persona nuova, trasformata, salvata interamente nella sua dignità (PAGOLA, 2016, p. 142; ÁLVAREZ, 2013, p . 216).
Il modo in cui Gesù promuove la salute è sempre un itinerario pedagogico, un apprendistato (ibid., p. 215-221). Gesù non si impone con la forza, al contrario fa appello alla volontà della persona, perché sia essa stessa protagonista di un processo di guarigione integrale, assumendo le redini da quel momento della sua vita. Per questo motivo Gesù chiede spesso al malato: "Vuoi guarire?" (Gv 5,6), oppure: "Cosa vuoi che io faccia per te?" (Lc 18,41; Mc 10,51; Mt 20,32), in modo che il malato sia coinvolto nel proprio processo terapeutico, risvegliando così il suo medico interiore e rafforzando la sua guarigione. Recuperate le funzioni vitali fino ad ora perse o atrofizzate, la salute comunicata da Gesù si traduce in una capacità di cambiamento, in un nuovo stile di vita e un crescente percorso di libertà di decidere sulla propria storia. La persona guarita inizia una nuova vita, reinserita nella comunità, nella vita sociale e relazionale, e ricomincia a compiere la missione alla quale era chiamata. Perché, “[solamente lui] [Gesù] ci rende la libertà, guarendola dalle sue ferite, arricchendola di nuovi contenuti e nuove ragioni per vivere ”(ÁLVAREZ, 2013, p. 219).
L'incontro di Gesù con il malato
La vita di Gesù, come ogni vita umana, è profondamente segnata da incontri e, anche, da discordie. In relazione a Gesù, i vari incontri vissuti durante i suoi viaggi hanno determinato il modo in cui egli ha inteso se stesso, la sua identità, il suo modo di essere, di agire e di svolgere la sua missione. In molte situazioni i racconti evangelici – in particolare quelli di Luca – ci presentano Gesù che all'improvviso si trova davanti a un malato. Così accadde con il cieco che Gesù incontrò sulla strada di Gerico (cf. Lc 18,35-43), con i dieci lebbrosi che andarono incontro a Gesù sulla strada tra la Samaria e la Galilea (cf. Lc 17,11-19), con la donna curva che Gesù incontrò in una sinagoga (cf. Lc 13,10-17), con un uomo con le membra gonfie che Gesù incontrò mentre mangiava a casa del fariseo (cf. Lc 14,1-6), con il paralitico calato dai suoi amici attraverso il tetto di una casa a Cafarnao (cf. Lc 5,17-26), con la donna che soffriva di emorragia cronica e che voleva solo toccare le vesti di Gesù per essere guarita (cf. Lc 8,43-48), tra molti altri.
E in che maniera piena Gesù vive questi incontri con il malato! Ogni volta che Gesù si avvicina a una persona concreta, una persona in carne ed ossa, che ha un volto e un corpo incarnato, Gesù sa che non si trova di fronte solo un corpo biologico: è soprattutto un corpo storico, vivo, relazionale, un corpo biografico (ÁLVAREZ, 2013, p. 158-163). In questo approccio, Gesù si rende presente totalmente e accoglie la persona nella sua unità: corpo, psiche e spirito. Tutto l'essere di Gesù è attento e sensibile alla realtà integrale della persona che ha di fronte. In questo faccia a faccia, si lascia toccare, accogliere, influenzare direttamente e totalmente dall'altro. La verità di questo volto ferito, vulnerabile ed esposto fa scaturire dall’interiorità di Gesù compassione, misericordia, solidarietà e responsabilità (ALVAREZ, 2013, p.141-147; VENDRAME, 2001, p. 142-144).
Davanti al volto che soffre, Gesù soffre e, toccato nella sua vulnerabilità, si sente totalmente responsabile dell'altro. Sente che non può semplicemente starsene inattivo davanti al malato né abbandonarlo al proprio destino. Mosso dal volto del prossimo, si offre senza riserve, incondizionatamente. Fa dono di sé agli uomini e alle donne che incontra lungo il cammino, offrendo loro la pienezza di vita che li costituisce nel loro essere, tradotta in guarigione e salute integrale.
Gesù si sente così toccato dall'incontro con il malato, che il suo amore misericordioso arriva al punto non solo di assumersi la responsabilità del malato, ma di sceglierlo per offrirgli “un’attenzione particolare” (VENDRAME, 2001 , p. 53). Per questo, durante tutta la sua vita, Gesù riafferma continuamente la sua speciale predilezione per i poveri, i malati, gli emarginati e gli esclusi dalla società (ibid., p. 107-120). In effetti, Gesù va oltre la semplice preferenza nei loro riguardi. Si identifica integralmente con loro e si mette al loro posto, dichiarando: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare; avevo sete e mi hai dato da bere; ero uno straniero e mi hai ricevuto in casa; ero nudo e mi hai vestito; malato, e ti sei preso cura di me; in prigione, e sei venuto a visitarmi" (Mt 25,35-36). Gesù ci avverte anche della nostra responsabilità verso i disprezzati di questo mondo, poiché aggiunge: "In verità vi dico, ogni volta che avete fatto questo a uno di questi più piccoli che sono miei fratelli l'avete fatto a me!" (Mt 25,35-36)
Affermando di essere presente nei malati, Gesù fa diventare i malati un sacramento, cioè un segno visibile e permanente della sua presenza viva in mezzo a noi. Pertanto, attraverso il sacramento del malato, l'operatore sanitario ha la possibilità di incontrare Gesù e fa sì che Gesù si riveli, allo stesso tempo, come terapeuta e come malato, conducendolo sul vero cammino dell'umanizzazione. Pertanto, come si svolge l'esperienza umanizzante dell'operatore sanitario che incontra personalmente Gesù malato e Gesù terapeuta?
L'esperienza salvifico-terapeutica dell’operatore della salute
L'operatore sanitario che trova Gesù Cristo nel volto del suo paziente ha anche la possibilità di fare un'esperienza personale di guarigione e di salvezza. In questo incontro gli vengono manifestate diverse sfaccettature di Gesù, risvegliando in lui dinamismi spirituali professionali diversi, anche se sono processi simultanei e sovrapposti tra loro. Nella sua routine quotidiana, l'operatore sanitario si avvicina al letto di un paziente affidato alle sue cure, lo saluta e si china per raccogliere i suoi segni vitali. In questo primo momento, è possibile che l’operatore scopra di trovarsi davanti al volto sofferente, solitario, desolato, dolorante dello stesso Cristo crocifisso, che ha assunto le sofferenze non solo di quel malato, ma di tutti gli esclusi dalla società, identificandosi personalmente con essi. Così, colpito dal suo paziente che soffre e gli rivela Gesù, l'operatore sanitario percepisce realmente di stare servendo e curando Cristo stesso. Si sente pienamente responsabile del suo paziente. Interiormente si sente spinto a donarsi senza riserve, offrendogli tutto il suo essere, la sua solidarietà, la sua formazione, tutte le sue conoscenze nelle scienze della salute sotto forma di cura (ALMEIDA; RIBEIRO JÚNIOR, 2014 , p. 243).
Pertanto, può essere che, trovandosi davanti al suo paziente, l'operatore sanitario si incontri faccia a faccia con Gesù terapeuta, il quale, pieno di Spirito, parla e agisce a partire dall'amore di Dio presente in se stesso e il cui potere di guarigione è radicato nella compassione. Di fronte al paziente che gli rivela Gesù curatore, la domanda che l'operatore sanitario si pone cessa di essere: “Forse ho il potere di guarire come Gesù?” e diventa: “sono disposto ad amare come Gesù? ”(LOUSSIER, 2008, p. 299). L'operatore sanitario che si sente chiamato a essere Gesù per il suo paziente e a servire Gesù in quello stesso paziente, si dispone interiormente a cambiare il proprio cuore, la mente, lo sguardo, l’udito e a "far sì che le sue mani, la voce, gli occhi , esprimano la tenerezza di Gesù ” (ibid., p. 299) in tutto ciò che fa. Per essere come Gesù terapeuta, egli si lascia guidare dallo Spirito Santo e trova la radice dell’infermità del suo paziente, sia essa spirituale, emotiva, biologica, per poi applicare la vera cura di colui o colei che è affidato alle sue cure ( ibid., p. 299).
Tuttavia, per guarire realmente come Gesù, è necessario, prima, che il professionista della salute abbia sperimentato la guarigione nella sua stessa vita (ibid., p. 300). Quando il professionista vede Gesù terapeuta nel volto del suo paziente, è chiamato a lasciarsi diagnosticare dallo sguardo misericordioso di Gesù. Uno sguardo che penetra in profondità nella sua condizione umana segnata da una radicale indigenza (ÁLVAREZ, 2013, p. 230-237). E in un’auscultazione attenta e profonda, Gesù terapeuta rivela all'operatore sanitario il suo vero stato interiore: se è sano o malato, se ha più bisogno di guarigione o di perdono. Gesù terapeuta scopre, cioè mette in luce, le aspirazioni di felicità e di pienezza fino allora nascoste o oscurate in angoli dubbi e confusi, nel cuore di questo professionista. In molti casi, Gesù presenta come ipotesi diagnostiche “l'esperienza della mancanza di significato e di speranza, la frustrazione e l'insicurezza, la mancanza di amore, una vita non vissuta o vissuta falsamente, il fallimento in termini di realizzazione personale di valori” (ÁLVAREZ, 2013, p. 237). Gesù terapeuta aiuta l'operatore sanitario a vedere la verità della propria umanità fragile, vulnerabile, corrotta, limitata, in modo da poter integrarsi interiormente e poi prendersi cura degli altri.
Nell'incontro con Gesù terapeuta nel volto del suo paziente, l'operatore sanitario è invitato a lasciarsi diagnosticare e guarire integralmente da Dio. È il momento in cui si riconosce malato, sofferente e bisognoso del suo paziente per rivelargli Gesù come guaritore. In questo processo relazionale e dinamico che svela la patologia e rivela la terapia, l’operatore sanitario scopre che il ripristino della sua salute integrale è legato a come intende la propria vocazione e missione, a come comprende la salute umana, il dolore e la sofferenza, come realizza il suo progetto di vita personale e professionale. Si realizza così l'esperienza salvifico-terapeutica dell'operatore sanitario, frutto della spiritualità dell'incontro con Dio attraverso il volto del suo paziente.
La vocazione e la missione dell'operatore sanitario
La spiritualità dell'operatore sanitario si sviluppa gradualmente, nella misura in cui egli integra le varie esperienze spirituali e dà un nuovo significato alla sua vocazione e missione di operatore sanitario. Perciò, una tappa importante nella maturazione della vita spirituale di questi professionisti avviene quando sperimenta che la sua professione e la sua vocazione missionaria coincidono.
Professione e vocazione non significano la stessa cosa. Secondo Libanio (2006, p. 27-28), la vocazione è qualcosa di più di una professione. Mentre il termine professione indica "preparazione tecnica, competenza, efficienza produttiva, sostentamento, funzione sociale, status, riconoscimento esterno", la vocazione "parla di decisione e realizzazione personale, di chiamata interiore, passione, amore e soddisfazione per ciò che fa ”(ibid., p. 27). La vocazione va oltre la “semplice funzionalità e utilità dell'uso di ciò che si è appreso” (ibid., p. 27), poiché è alimentata da motivazioni diverse, a partire dall'autorealizzazione dal dono di sé agli altri. Tuttavia, non esiste un taglio netto tra professione e vocazione. L'una può nutrire l'altra: la vocazione può essere affinata dalla tecnica e diventare più efficiente e fruttuosa; e la professione supererà la conoscenza tecnica e acquisirà un nuovo significato riuscendo a risvegliare il sapore della vocazione nel professionista (LIBANIO, 2006, p. 28).
Indubbiamente, la sorte di assaporare interiormente gli eventi della vita quotidiana e di osare di vedere in essi un nuovo significato è guidata dalla progressiva apertura, dal superamento di sé e dalla trascendenza dello spirito umano. L'operatore sanitario vive così un'esperienza spirituale trasformante quando si rende conto di essere chiamato, in modo personale e particolare, a realizzarsi come essere umano in modo originale e unico, agendo come professionista della salute e, nello stesso tempo, come collaboratore nel progetto divino della salute e della salvezza per tutta l'umanità.
L’esperienza di essere chiamato e inviato da Dio per svolgere un compito in suo nome non è novità della spiritualità della modernità. Questa esperienza è stata vissuta prima dai discepoli al tempo di Gesù, e poi estesa alla comunità dei seguaci, per opera dello Spirito. Luca racconta che “il Signore chiamò altri settantadue e li mandò, a due a due, davanti a lui, in ogni città e villaggio dove egli stesso sarebbe andato” (Lc 10,1), dicendo loro: “Andate! Io vi mando, (...) guarite i malati che sono in essa ... " (Lc 10, 3-9). Vedendo la moltitudine di bisognosi, Gesù chiama in aiuto i suoi collaboratori e i continuatori della sua missione e trasmette loro, mediante lo Spirito, potere, autorità, dinamismo, forza per guarire ogni malattia e infermità, oltre a liberare da tutto il male che impedisce e limita la piena salute (VENDRAME, 2001, p. 59-68).
Allo stesso modo, è molto probabile che a un certo punto del cammino, più o meno consapevolmente, ogni operatore della salute abbia sentito la sua chiamata personale, proveniente dallo Spirito del Signore, ad esercitare la sua specifica professione, in un dato luogo, a determinate condizioni. Quando l'operatore sanitario si sente personalmente chiamato da Dio ad esercitare la sua professione in situazioni particolari, è possibile anche che si senta partecipe di coloro che sono designati e inviati da Gesù in tutte le città e luoghi dove lui stesso dovrà recarsi. Ciò significa che Dio sceglie, personalmente, ciascuno di noi, professionisti della salute, e ci rende partecipi come suoi collaboratori nella costruzione di un mondo più sano e salutare.
Significato di malattia, dolore e sofferenza
Un fattore determinante nella vita spirituale dell'operatore sanitario che scorge Gesù nel paziente affidato alle sue cure è il modo in cui egli comprende il dolore e la sofferenza umana. Allo stesso modo in cui “la persona umana è sempre un progetto incompiuto che richiede di essere realizzato” (ibid., p. 66), anche il processo salute-malattia è vissuto dalla persona come pienezza nella finitezza. Il paziente vive la salute e la malattia come una possibilità nella limitazione. Quindi, la malattia e le sue espressioni nel dolore (esperienza più oggettiva, riferita in seguito alla lesione fisica) e sofferenza (esperienza più soggettiva, in base ai valori e ai sentimenti della persona) (PESSINI, 2004, p. 19-22) raggiungono un nuovo significato, poiché possono diventare esperienze umane di significato e di superamento.
Álvarez (2013, p. 68), citando il teologo Karl Rahner (1904-1984), afferma che sia la malattia che la salute mettono l'essere umano alla prova perché lo costringono a decidere sull'essenziale della sua vita. La persona vive la malattia nella sua condizione umana in un modo unico, originale e irripetibile. Più che un disturbo o un’alterazione organica, la malattia si ripercuote sull'intera personalità della persona, poiché il paziente vive interiormente con la sua sofferenza, 24 ore su 24, sentendola, analizzandola, percependone le conseguenze e attribuendo ad essa un suo significato. Pagola (2016, p. 121-130) ritiene che la malattia possa essere affrontata in modo più positivo, non tanto come una minaccia dall'esterno, ma come una sequenza di eventi benefici in grado di generare salute nel malato. In questo modo la malattia ha a che fare con l'interiorità stessa della persona che, per qualsiasi motivo, non permette di operare nel mondo e di agire in modo armonioso e pieno. Di conseguenza, la dinamica vitale della persona si altera, si interrompe o è bloccata dalla malattia. Tuttavia, la malattia diventa una rivelazione di sapienza corporea attivando un insieme multiforme di reazioni affinché la persona orienti nuovamente la sua vita in modo più salutare, liberandola anche da vecchi traumi, riconciliandola con se stessa, attivando dinamismi e capacità interiori fino allora assopite. Per l’operatore sanitario, questi modi di intendere la malattia, il dolore e la sofferenza non sono i più comuni. Forse è per questo che una minoranza di professionisti fa di questa sapienza interiore un alleato nel recupero e la promozione della salute dei propri pazienti.
Vivere e maturare la propria spiritualità:
itinerari per il cammino futuro
Per l'operatore sanitario, l’invito a sperimentare la vicinanza di Dio nell'incontro quotidiano con il malato e a collaborare con Gesù nella missione di curare ogni malattia e infermità è un esercizio costante di vera libertà, un compito sempre incompiuto che dura tutta la vita. Tutta la routine quotidiana, per quanto pesante e ripetitiva, porta con sé delle tracce e dei segni della presenza di Dio da scoprire e riscoprire quotidianamente. Questi segni, queste orme divine lasciate negli incontri, nelle discordanze, negli eventi e nelle realizzazioni vissute possono essere raccolti e interpretati. Pertanto, il cammino del professionista della salute ha bisogno di essere continuamente rivisto e confrontato affinché, aggiornato dallo Spirito, acquisisca un nuovo significato.
Camminare nella storia, soprattutto nel percorso della storia personale, rende sempre più l'operatore sanitario capace di riconoscere la teografia, cioè la scrittura di Dio nella sua vita. Tuttavia, il riconoscimento di questa grafia dinamica e creativa dello Spirito non è un processo tanto ovvio, tanto manifesto. La vita spirituale non è un fatto evidente, non solo per l’operatore della salute, ma per chiunque. E per aiutare a prendere coscienza della propria spiritualità e del suo progressivo sviluppo, la direzione spirituale può essere di grande aiuto per il professionista della salute.
La direzione spirituale o l’accompagnamento spirituale sono una relazione di aiuto in diversi ambiti: aiutare a trovare il significato (il perché), i punti di riferimento che consentono alla persona di orientarsi verso Dio (VÁZQUEZ MORO, 1994, p. 56); aiutare ad entrare in dialogo con Dio, a prestare maggiore attenzione all'esperienza di Dio nella vita, a comprendere meglio questa relazione e impegnarsi in essa (BAR-RY; CONNOLLY, 1987, p. 20); aiutare a crescere nella comunicazione con Dio e nella capacità di discernere il modo in cui egli si rende presente, leggendo spiritualmente i diversi aspetti della realtà (VERÓN CÁRDENAS, 1999, p. 61). La direzione spirituale favorisce una vita spirituale più autentica e significativa, poiché può essere offerta personalmente o a piccoli gruppi i cui membri hanno affinità comuni. Nel contatto personalizzato dell'accompagnamento, ogni persona è unica; la sua maturazione spirituale e il suo ritmo sono rispettati. Nell'interazione personale e individualizzata, i bisogni degli operatori sanitari tendono ad essere meglio ascoltati e compresi.
Confrontare le esperienze di vita personali con qualcuno che ha spiritualmente più esperienza, come accade durante questo accompagnamento, aiuta l'operatore sanitario a immergersi nel centro della propria vita e acquisire familiarità con le complessità della vita interiore. Aiuta anche ad articolare i movimenti interni e a discernere le varie esperienze personali. Lo aiuta anche a rimuovere lentamente ma coerentemente gli ostacoli interiori che impediscono allo Spirito di entrare e a creare uno spazio interiore perché il Signore - "il cui cuore è più grande del suo, i cui occhi vedono più dei suoi e le cui mani possono guarire più delle sue”- possa vivere (NOUWEN, 2001, p. 63).
La vita spirituale è un continuo viavai: andare in missione e tornare per riposarsi e ristabilirsi nel Signore. Raccontargli tutto quello che abbiamo fatto. Ed egli si rallegrerà della nostra gioia e si rattristerà con la nostra tristezza. Accogliendoci, ci inviterà, uno per uno, in un luogo deserto per riposarci un po'. Perché, infatti, Gesù sa che, durante la nostra giornata di lavoro, c’è tanta gente che va e viene da non avere neanche il tempo di mangiare. E quando saremo riposati, ci rivelerà quanto sono beati gli occhi che vedono ciò che noi vediamo, perché molti desideravano vedere quello che noi vediamo, e non l’hanno visto (cf. Lc 10,23-24). Noi operatori sanitari, più di altri, vediamo quotidianamente che “i ciechi riacquistano la vista, i paralitici camminano, i lebbrosi si purificano e i sordi sentono” (Lc 7,22). Ma sarà che vediamo la realtà intorno a noi solo fisicamente o la vogliamo vedere spiritualmente?
Non siamo ciechi! La cecità è una delle malattie più citate nei testi biblici. Diversi racconti biblici della guarigione dei ciechi: il cieco di Gerico ( cf. Lc 18,35-43), il cieco di Betsaida (cf. Mc 8,22-26) e il cieco dalla nascita (cf. Gv 9,1-41) sono tra i più noti. Al di là di questo significato caratteristico del male fisico, la cecità ha anche una connotazione simbolica. Significa l'incapacità di percepire le meraviglie di Dio e di vedere Gesù come l'inviato del Padre per ripristinare la salute e la salvezza (VENDRAME, 2001, p. 50-51). Forse ci aiuta ad allargare l'orizzonte, oltre il punto fin dove l'occhio può vedere, l'itinerario spirituale di Paolo che, anche vedendo , forse era anche più cieco degli altri. Luca ci racconta, negli Atti degli Apostoli (cf. At 9,1-22), che, nell’intenzione di Paolo, perseguitare e arrestare uomini e donne che aderivano alla Via, voleva dire zelare per la causa di Dio. Per questo, gli occhi di Paolo sprizzavano minacce di morte contro i discepoli del Signore. Ma, alle porte di Damasco, una grande luce dal cielo lo avvolse. Stordito da tanta luminosità, Paolo cadde a terra. Quando si alzò, aprendo gli occhi, non riusciva a vedere più nulla. Incapace di vedere a causa di quella luce, Paolo dovette farsi accompagnare per mano da coloro che l’accompagnavano. Rimase tre giorni senza poter vedere. Anania, mandato da Gesù, gli impose le mani e Paolo riprese a vedere. Fu pieno di Spirito Santo e, da quel momento in poi, cominciò a testimoniare tutto ciò che aveva visto e udito (cf. At 22,15).
Pertanto, in nessun modo dobbiamo rimanere ciechi davanti alla nostra realtà! Noi professionisti sanitari dobbiamo superare quella prima esperienza spirituale generica, dissociata, secolare e materialistica del periodo universitario, basata sull’idea di un Dio astratto e di una salute estranea alla dimensione spirituale della persona (LOUSSIER, 2008, p. 308), che non corrisponde più all'antropologia unitaria dell'essere umano. Inoltre, la nostra spiritualità ha bisogno di integrare le esigenze coflittuali, in mezzo alle quali viviamo, con le reali esigenze dei nostri pazienti. Da un lato, ci sono le organizzazioni o sistemi di assistenza in cui operiamo che ci impongono modelli professionali, puntando più sull'efficienza e la produttività che non sul rispetto e la compassione richiesti dal malato. Dall'altro, ci sono modelli personali che noi, professionisti della salute, stabiliamo per noi stessi, ma che, in pratica, non possiamo raggiungere, assommati alle esigenze di chi ci sostiene, le nostre famiglie, gli ambienti sociali, gli svaghi, le chiese e altri gruppi della nostra convivenza (ibid., p. 308-310). In mezzo a tutte queste richieste, forse abbiamo vagato alla cieca per un po’ di tempo, non sapendo bene chi siamo, cosa vogliamo veramente o qual è il vero significato della nostra vita. Non più! L'operatore sanitario che rinuncia alla presunta autosufficienza e si lascia visitare quotidianamente da Dio nell'incontro con i malati, non rimane nelle tenebre (cf. Gv 12,46), perché ha già trovato la vera luce che illumina tutto il creato (cf. Gv 1,4). Camminare nella vita quotidiana nella luce di Cristo richiede dall'operatore sanitario una disposizione interiore a lasciarsi continuamente interpellare, come anche il coraggio di riordinare la propria vita e la libertà per assumere la missione di diventare anche luce del mondo (cf. Mt 5,14).
La spiritualità dell’operatore sanitario è dinamica, progressiva e relazionale. Non esistono formule pronte né risultati veloci. Non si tratta di seguire un protocollo stabilito né un trattamento classico. Vivere e maturare la spiritualità è una scelta quotidiana, che dura tutta la vita: richiede disponibilità, coraggio e libertà.
a cura di ANTONIO DALL’OSTO