Anziani e futuro dell’Europa
2021/2, p. 31
Un importante documento della Commissione delle Conferenze episcopali
dell’Unione Europea (COMECE) propone di trasformare la crisi del Covid-19 in un’opportunità per un cambio di paradigma e per rinnovare il nostro modo di pensare sugli anziani.
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DOCUMENTO DELLA COMECE
Anziani
e futuro dell’Europa
Un importante documento della Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione Europea (COMECE) propone di trasformare la crisi del Covid-19 in un’opportunità per un cambio di paradigma e per rinnovare il nostro modo di pensare sugli anziani.
La COMECE – attraverso un documento intitolato “Gli anziani e il futuro dell’Europa: solidarietà intergenerazionale e cura in tempi di cambiamento demografico” (3/12/2020), pubblicato congiuntamente con la Federazione delle associazioni cattoliche della famiglia (Fafce) –, con riferimento a un recente dossier della Commissione europea (Rapporto sull’impatto del cambiamento demografico), offre un contributo in vista della prossima pubblicazione di una “Carta verde dell’invecchiamento”. Il documento dei vescovi si articola in tre parti (ruolo degli anziani nelle nostre comunità, come dono e risorsa; fragilità svelate dalla crisi del Covid-19; proposte concrete per la solidarietà intergenerazionale europea), con una sezione finale di raccomandazioni politiche.
Per un cambiamento di sistema
Partiamo innanzitutto da alcuni dati: si stima che entro il 2070, il 30% delle persone in Europa avrà un’età pari o superiore a 65 anni, rispetto a circa il 20% di oggi. Dal 2019 al 2070, si prevede che la quota di persone di età pari o superiore a 80 anni sarà più del doppio, raggiungendo il 13%. “L’Europa sta affrontando un cambiamento significativo, sistemico ed epocale”.
In questo contesto, nel 2020 è subentrata la pandemia Covid-19, che ha mostrato “al mondo molte vulnerabilità nascoste, anche nel nostro continente”. Le sue gravi conseguenze saranno indirette e a lungo termine. La pandemia sta già avendo un impatto devastante su ogni aspetto della nostra vita, mettendo a dura prova ogni settore della società.
Ma, occorre riconoscerlo, sono soprattutto gli anziani a essere maggiormente colpiti dal virus. Secondo Eurostat, a ottobre 2020, gli anziani dai 70 anni in su hanno rappresentato il 96% dei 168mila decessi aggiuntivi registrati rispetto al tasso medio dei decessi preso in considerazione per lo stesso periodo tra il 2016 e il 2019. L’Organizzazione mondiale della sanità stima inoltre che in Europa fino al 50% di tutti i decessi per Covid-19 durante la primavera del 2020 si siano verificati tra i residenti in case di cura.
Questo scenario “è stato presentato per lo più in termini negativi, percependo l’aumento della speranza di vita come un problema e non un'opportunità di cui essere profondamente grati”. Il presente documento vuole “concentrarsi sul ruolo positivo e cruciale che gli anziani ricoprono nelle nostre comunità, al fine di contribuire alle discussioni in corso a livello dell'UE sulle sfide demografiche e sul futuro dell'Europa”. La riflessione parte dal chiaro presupposto che la persona umana è relazionale per definizione: gli anziani non possono dunque essere separati dalla società e dalle reti relazionali, in particolare dalla famiglia. Essi sono parte integrante della famiglia, fonte di sostegno e incoraggiamento per le giovani generazioni. Quali sono allora le politiche che potrebbero favorire l'equilibrio necessario per una reale solidarietà intergenerazionale?
Lo squilibrio demografico in Europa
Il focus non deve essere sull’invecchiamento della popolazione europea, ma sullo squilibrio demografico che è in atto nel continente e che deriva principalmente dal fatto che gli europei fanno sempre meno figli, minacciando così la vitalità della realtà economico-sociale. È pertanto fondamentale e prioritario – secondo i vescovi e le associazioni familiari – mettere in atto politiche demografiche in grado di affrontare il calo della natalità “eliminando ogni ostacolo (economico, sociale, culturale) che le famiglie incontrano nel desiderio di accogliere nuovi bambini”. In ogni caso, la pandemia ha reso nuovamente determinante il ruolo della famiglia come “roccia della vita delle persone”. Infatti, hanno sofferto di più coloro che sono lontani dalle proprie famiglie o isolati. Oggi “investire nella famiglia è il primo passo verso una giusta ripresa sociale, economica ed ecclesiale” (cf. Messaggio congiunto del Consiglio delle Conferenze episcopali europee e della COMECE, 4/6/2020).
Mentre gli europei vivono più a lungo, allo stesso tempo l’UE ha sempre meno giovani. Si prevede quindi una diminuzione della popolazione in età lavorativa (20-64 anni): nel 2019 ammontava al 59% dell’intera popolazione; entro il 2070, dovrebbe scendere al 51% e, nello stesso periodo, il numero di bambini e giovani (da 0 a 19 anni) dovrebbe diminuire di 12,6 milioni. Investire nella solidarietà intergenerazionale, nell’inclusione sociale, nella famiglia e nelle reti familiari è con tutta evidenza la chiave per affrontare le attuali sfide demografiche. Le reti familiari possono garantire meglio la solidarietà e la sussidiarietà e di conseguenza svolgere appieno il loro ruolo nel favorire l'incontro tra generazioni”: «Non si può più parlare di sviluppo sostenibile senza solidarietà intergenerazionale» (Laudato si’, 159).
Anziani, dono e risorsa
Gli anziani condividono la loro saggezza: trasmettono conoscenza, valori, fede e speranza alle generazioni future. Essi hanno un ruolo indiscusso nel futuro dell'Europa, “sono loro che hanno visto nascere e svilupparsi il progetto europeo dalle rovine dei totalitarismi del XX secolo”. La trasmissione dei principi include anche la trasmissione della fede: gli anziani possono essere 'missionari della famiglia', sostenendo le famiglie più giovani in momenti di difficoltà e prove. Certamente, all’aumento della speranza di vita corrisponde anche un aumento di patologie complesse con conseguente fragilità, che si manifestano principalmente dopo gli 80 anni. Le persone anziane hanno dunque bisogno di essere accompagnate, supportate e assistite quando la loro salute peggiora. Prendersi cura degli anziani è un promemoria del ciclo della vita e della dignità della vita umana, sana o malata che sia. Anche gli anziani però si presentano come caregiver, rappresentando un grande supporto per l’equilibrio vita-lavoro di molti genitori.
Il flagello della solitudine
La drammatica esperienza della pandemia di Coronavirus ha dimostrato che non siamo monadi, ma persone bisognose di relazioni umane, consapevoli della nostra interconnessione comunitaria e mondiale. Mentre sperimentano a poco a poco la morte del coniuge, dei colleghi o degli amici, le persone anziane vedono la loro cerchia sociale ridotta nel tempo; questo porta all’isolamento e alla solitudine. Inoltre, mentre la mobilità del lavoro in Europa ha ampliato le opportunità per i lavoratori europei, essa ha anche aumentato la distanza tra i membri della famiglia. Oggi sempre più bambini vivono lontani dai genitori. Va sottolineata l’importanza per gli anziani di rimanere in contatto con i propri familiari e i loro cari (anche digitalmente) e di garantire loro assistenza spirituale. “L'isolamento sociale e la solitudine possono anche essere fattori predittivi per le malattie mentali”. Si accetti il fatto che l’erogazione di servizi professionali non è sufficiente per rispondere al bisogno umano di contatto e relazione: ciò che serve è il sostegno di contesti in cui tutti possano inter-relazionarsi, avendo così persone di cui possono prendersi cura e che possono prendersi cura di loro. “La necessità di solidarietà tra le generazioni è una delle forze trainanti della ripresa dell’Europa”. Data la mancanza di parenti presenti in caso di bisogno, gli anziani avranno bisogno anche dell’assistenza delle loro comunità e Chiese.
Sanità e Recovery Plan
Lo stretto legame tra il declino demografico e le caratteristiche delle prossime generazioni di anziani dovrebbero essere adeguatamente presi in considerazione per le proiezioni future.
“Trascorriamo gran parte della nostra vita in buona salute. Il numero di anni di vita in buona salute varia in base al sesso e al paese. Per l’Unione Europea nel suo insieme, il numero di anni di vita in buona salute alla nascita nel 2018 era di 64,2 anni per le donne e 63,7 per gli uomini”. A causa del miglioramento dell’assistenza sanitaria in Europa negli ultimi decenni, il concetto di fragilità degli anziani sta cambiando. Questo nuovo concetto conferisce una nuova rilevanza all'invecchiamento delle persone: gli anziani infatti possono vivere più a lungo in circostanze di vita attive e autodeterminate.
L'Europa deve quindi essere all’altezza delle sue responsabilità e deve sviluppare la migliore assistenza sanitaria possibile nell’ambito delle competenze dell’UE. “È positivo che la Commissione Europea abbia suggerito nel contesto del Recovery Plan, con il nuovo strumento “Next Generation EU”, un nuovo programma sanitario (“EU4health”) come risposta alla crisi Covid-19. Sarà importante fornire a questo programma fondi sufficienti per riservare forniture mediche per le crisi, per aumentare la sorveglianza delle minacce per la salute, per sviluppare la trasformazione digitale dei sistemi sanitari e per dare accesso all’assistenza sanitaria per i gruppi vulnerabili.
L'assistenza sanitaria è necessaria anche per la creazione delle condizioni ottimali per rispettare la dignità degli anziani durante l’ultimo periodo della loro vita fino alla morte naturale. Allora è necessario investire per migliorare le cure palliative, che non includono solo l’assistenza agli anziani, ma devono essere strutturate per gruppi di età, escludendo qualsiasi forma di eutanasia o anticipazione della morte.
L'assistenza istituzionale a lungo termine non è però l’unica alternativa per fornire assistenza agli anziani. Esistono molte possibilità nell’ottica di comunità, “promuovendo legami significativi anche tra persone non vicine, come asili nido aperti sul territorio, case famiglia residenziali, diverse forme di assistenza sociale, progetti di solidarietà di quartiere, gruppi di volontari che lavorano a favore di altri anziani e progetti abitativi intergenerazionali”. Si è di fronte a forme sperimentali di sussidiarietà in atto che, partendo dai bisogni, individuano le risorse più vicine alle persone. In tutti i casi, le famiglie non dovrebbero essere sole quando si prendono cura di un parente anziano o a carico.
Contro la povertà degli anziani
per l’inclusione sociale
Si è già visto, la povertà in età avanzata è in aumento. Di fatto, i lavoratori a basso reddito, i single e le donne corrono un rischio più elevato di entrare in povertà nell’età pensionabile. Il principio 15 del “Pilastro europeo dei diritti sociali” afferma che tutti gli anziani hanno diritto a risorse che garantiscano una vita dignitosa. Basandosi su quest’ultimo e su tutti gli altri processi politici legati a questo campo (cf. l’Agenda 2030 sugli obiettivi di sviluppo sostenibile con il suo obiettivo di “porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo” o la Carta dei diritti fondamentali), l’UE deve concentrarsi sulle esigenze degli anziani.
Va ribadito, le persone anziane non sono solo persone di cui prendersi cura. La maggior parte del lavoro di volontariato è compiuto proprio da pensionati, i quali hanno certamente più tempo dei lavoratori. Sebbene non lavorino più professionalmente, il loro volontariato resta “lavoro” e crea effetti positivi per la comunità: “l’Unione Europea dovrebbe valorizzare meglio il contributo del volontariato come espressione attiva di cittadinanza e promuovere il riconoscimento e la convalida delle qualificazioni informali e non formali ottenute attraverso il volontariato”. Le persone anziane non sono dunque solo persone vulnerabili, ma sono anche soggetti attivi della vita sociale. Per superare questa confusione tra età e vulnerabilità, gli anziani devono essere accolti in tutti gli ambiti della vita comunitaria, anche attraverso l’apprendimento permanente e l'educazione digitale, sia come insegnanti che come utenti. L'inclusione è la chiave per consentire la piena partecipazione degli anziani nelle nostre comunità.
MARIO CHIARO