Noi monache e la Messa
2021/2, p. 13
La scelta di limitare la Messa alla domenica da parte di un monastero benedettino
di monache belghe può sembrare estemporanea e non pertinente, ma le ragioni che guidano la decisione possono illuminare tutti.
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Testimoni
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SCELTA DELLA COMUNITÀ BENEDETTINA BELGA DELL’HURTEBISE
Noi monache
e la Messa
La scelta di limitare la Messa alla domenica da parte di un monastero benedettino di monache belghe può sembrare estemporanea e non pertinente, ma le ragioni che guidano la decisione possono illuminare tutti.
Nelle discussioni aperte a causa della pandemia circa la celebrazione eucaristica, le ragioni di carattere sociale (il ruolo delle celebrazioni in ordine alla libertà di culto e alla pace e coesione civile) si intrecciano su quelle legate ai temi ecclesiologici e spirituali: nell’emergenza pandemica la rinuncia alla Messa è un gesto di altruismo e una testimonianza evangelica? La celebrazione è possibile senza il popolo? La distribuzione eucaristica va compiuta al di fuori della celebrazione? Le nuove pratiche (come la Messa in streaming, la preghiera in famiglia, il ruolo della Scrittura ecc.) sono temporanee o suggeriscono qualcosa per il futuro? In tale contesto la scelta di limitare la Messa alla domenica da parte di un monastero benedettino di monache belghe può sembrare estemporaneo e non pertinente, ma le ragioni che guidano la decisione possono illuminare tutti. Il monastero in questione è quello di Notre-Dame d’Hurtebise (Saint-Hubert), attivo in Belgio dal 1932. Esso fa riferimento alla Congregazione benedettina dell’Annunciazione e all’Unione delle benedettine del Belgio (ndr).
La recente decisione della comunità dell’Hurtebise di celebrare l’eucaristia solo le domeniche, solennità e feste del Signore, richiede qualche giustificazione. Vorremmo condividere il cammino che ci ha condotto a questa decisione.
Una questione da molto tempo
Dal 2012 non abbiamo più un sacerdote fisso che possa celebrare l’eucaristia quotidiana per la nostra comunità. Da allora abbiamo fatto ricorso ad amici preti, ai diocesani della regione o a quanti erano di passaggio nella foresteria. Privilegiando la Messa quotidiana, le rare volte in cui non abbiamo trovato preti disponibili, abbiamo fatto una celebrazione della Parola, con le letture del giorno e la possibilità della comunione eucaristica. Ricordiamo con gratitudine tutti i sacerdoti generosi. Con loro abbiamo sviluppato dei bei legami di amicizia. E tuttavia, questa modalità ci faceva sorgere delle domande. Ci intrigava la questione dell’eucaristia quotidiana nel quadro della liturgia monastica. In primavera del 2020 l’esperienza del confinamento e del conseguente e prolungato digiuno eucaristico, ci hanno permesso di approfondire la domanda e di accelerare un processo di discernimento. Ecco le ragioni che l’hanno accompagnato.
Riscoprire l’importanza della domenica,
centro della settimana
Durante i primi secoli del cristianesimo l’eucaristia era celebrata la domenica «primo giorno della settimana». Il suo simbolismo è evidente: è il giorno della risurrezione. L’eucaristia è così collocata nel momento giusto: è il memoriale del mistero pasquale in tutta la sua interezza, passione, morte e risurrezione di Cristo, in vista della parusia. Secondo il prof. Louis-Marie Chauvet è necessario comprendere che la domenica è prima dell’eucaristia: non è per celebrare l’eucaristia che i cristiani si riuniscono la domenica, ma è proprio perché i cristiani si riuniscono la domenica, la ragione per cui celebrano l’eucaristia. «Si può quindi parlare di una ‘sacramentalità’ per questo giorno memoriale, nel senso che come il battesimo e l’eucaristia sono memoriali della Pasqua cristica attraverso il supporto sacramentale dell’acqua o del pane e vino, così la domenica è il memoriale attraverso il supporto ‘sacramentale’ del tempo (il giorno della domenica), e, più precisamente attraverso l’assemblea che caratterizza quel giorno […] Ma se l’eucaristia come tale è al cuore dell’assemblea domenicale, se quindi essa non è secondaria, rimane tuttavia ‘seconda’, subordinata al gesto assembleare in memoria di Gesù risuscitato dai morti. Un tale raduno ha valore teologico in se stesso: è come il ‘sacramento’ primo del Risorto. In conseguenza, là dove per mancanza di preti, la comunità locale non può celebrare l’eucaristia, non di meno essa è convocata dal suo Signore a ‘fare chiesa’ in memoria di lui».1
Il Vaticano II ha insistito sull’importanza della domenica. «Secondo la tradizione apostolica, cha ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente “giorno del Signore” o “domenica”. In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all’eucaristia, e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendere grazie a Dio che li “ha rigenerati nella speranza viva per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti” (1 Pt 1,3). Per questo la domenica è la festa primordiale che deve essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le venga anteposta nessun’altra solennità che non sia di grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l’anno liturgico» (SC 106).
Confermare l’importanza della liturgia delle ore,
base della nostra vita monastica
Anche la liturgia delle ore rimonta alle origini della Chiesa, riprendendo la preghiera ebraica che la precede. La tradizione monastica ha posto questa liturgia quotidiana in primo piano. Secondo la regola di san Benedetto non bisogna assolutamente anteporre niente all’ufficio divino. La liturgia delle ore ha come funzione principale di santificare il tempo. «L’ufficio divino, secondo la tradizione cristiana, è ordinato a santificare tutto il corso del giorno e della notte per mezzo della lode divina» (SC 84). La liturgia delle ore si compone del canto dei salmi e dei cantici, dell’ascolto della Scrittura, della condivisione di preghiere spontanee, di silenzio … È nutrimento della fede nel quotidiano e apre il cuore dell’orante all’intercessione e alla lode sempre più universali. La Chiesa ce l’affida come una missione particolare e in essa noi ci impegniamo con la professione monastica.
Interrogare la storia della Chiesa
sulla frequenza
Uno sguardo sulla storia mostra che la liturgia eucaristica ha subìto mutamenti significativi nel corso del tempo. La consapevolezza storica permette di intravedere nuovi cambiamenti nella fedeltà alla tradizione vivente. Se, durante i primi secoli cristiani, è evidente la forza del ritmo domenicale, la questione della moltiplicazione delle Messe è assai variegata. Un articolo di Robert Taft ne offre testimonianza. 2 Con uno sguardo da storico passa in rassegna la grande diversità delle pratiche nel corso dei secoli e nei diversi luoghi. Mostra la necessità di distinguere le eucaristie comunitarie da quelle di natura privata, così come la pratica (comune alle origini) di ricevere la comunione ogni giorno al di fuori della celebrazione eucaristica. Sottolinea che in questa evoluzione era l’occasione che invitava all’eucaristia e non l’eucaristia che creava l’occasione. Come conclusione di un articolo molto argomentato si guarda dal trarre conclusioni definitive, mostrando che c’è il rischio di fare della teologia una ideologia.
C’è stato un tempo nella storia della Chiesa in cui si ordinavano preti solo per dire la Messa. La pratica della Messa quotidiana è appannaggio della Chiesa latina piuttosto che di quella orientale. È sempre bene guardare ai fatti nel contesto delle situazioni storiche particolari, per esempio in occasione della reazione alla Riforma da parte del Concilio di Trento. Le prassi furono legate a giustificazioni teologiche o spirituali che oggi è legittimo interrogare in relazione al nostro tempo. Da secoli, e ancora oggi, per molte persone l’eucaristia quotidiana è l’occasione per unirsi personalmente all’offerta del Cristo, affidando a Lui la propria giornata.
«Non è facile mostrare come la Messa quotidiana sia diventata una abitudine regolare. Durante l’alto Medioevo non è ancora una pratica consueta. È necessario attendere il 19° secolo perché ciascun prete celebri quotidianamente. La devozione della Chiesa d’Occidente verso i luoghi santi, le Messe celebrate sulle tombe di un santo o sull’altare contenente sue reliquie, hanno facilitato la moltiplicazione delle Messe. Così come il desiderio di far celebrare “secondo un’intenzione” con relativa offerta ha influito sulla frequenza delle Messe. L’offerta ha il senso di un dono presentato da persone che hanno l’intenzione di unirsi all’oblazione di Cristo nella sua Chiesa. Rispetto a quella domenicale la Messa feriale è una manifestazione di pietà personale: un atto che, nella relazione di amore e devozione a Dio, permette a ciascuno di unirsi a Cristo nel suo sacrificio e offerta, prega con Lui il Padre, alimentando la propria vita alla Sorgente, per fare del quotidiano una via più evangelica. Ma non si tratta solo di un rapporto cuore a cuore solitario con Dio. È un gesto, una preghiera della Chiesa, che richiede di essere adattato ai presenti, di assumere una forma meno solenne di quella domenicale, pur mostrando che è comunque un atto del corpo di Cristo».3
E nella tradizione monastica?
Nella tradizione monastica l’eucaristia è molto importante, ma la sua frequenza quotidiana non è quella delle origini. Padre Vogüe4 ricorda che nella Regola «Benedetto non parla se non occasionalmente della Messa della domenica, che viene celebrata nella cappella del monastero (RB 38,2). Durante la settimana la questione è quella della comunione che precede i pasti». Se ci sono preti nella comunità «questi non celebrano certamente Messe comunitarie durante la settimana: l’orario della Regola non ne fa menzione». Secondo A. de Vogüe è l’influenza di papa Gregorio Magno «che contribuisce potentemente a rendere la Messa quotidiana»; evoluzione che diventerà comune all’epoca carolingia. Citiamo la conclusione dell’articolo: «Malgrado l’autorevolezza del Papa santo e malgrado il carattere specifico dell’evoluzione propiziata, ci si può chiedere oggi se quest’ultima debba essere considerata come irrevocabile. Un ritorno alle origini, e più direttamente alla Regola di san Benedetto, arricchita con quella del Maestro, potrebbe rinnovare felicemente la vita monastica del terzo millennio. Comunicarsi ogni giorno e riservare la Messa alla domenica, come si faceva ancora al sesto secolo, significa riconoscere nell’eucaristia il pane quotidiano donato da Dio e rendere un omaggio particolare al giorno della Risurrezione. L’attuale sviluppo dell’elemento laicale nelle comunità monastiche segna un certo allontanamento in rapporto al monachesimo clericale che ha prevalso nei secoli precedenti. Nella stessa linea sarebbe senza dubbio legittimo e creativo che i monaci riscoprano la pratica eucaristica delle loro origini. Per natura e definizione la preghiera delle ore che è l’ufficio monastico deve santificare i tempi e scandire ogni giornata dei monaci. Non è necessariamente la stessa cosa per la Messa, il cui rapporto col tempo è diverso». Il solco fondamentale della vita monastica è nel giusto equilibrio fra preghiera, lavoro e vita fraterna. Ora l’equilibrio è una nozione dinamica. Non è nell’immobilismo, ma nel movimento.
Onorare il tesoro della Parola di Dio
che ci mette in comunione con tutta la Chiesa
Per non perdere la ricchezza dei testi che costituiscono, giorno dopo giorno, il ciclo dell’anno liturgico e per restare in comunione con la Chiesa universale che segue questo ritmo passo passo, integriamo all’interno di uno dei nostri uffici di preghiera i testi del giorno (ferie o feste). Questo ufficio diventa una liturgia della Parola (senza comunione), preparato con cura, o da una sorella della comunità o da un laico vicino a noi monache, o da un prete di passaggio. Un comportamento che ci rende più attive e partecipi della nostra liturgia, obbligandoci alla preparazione. Avvertiamo fino a che punto la Parola di Dio abbia una dimensione sacramentale. Questo cammino della settimana si conclude alla domenica come il suo vertice e da lì riparte, come da una fonte. L’importanza dell’approfondimento della Parola di Dio nella Scrittura è fondamentale nella vita monastica e viene vissuta quotidianamente anche nella lectio divina. D’altra parte tutti i credenti sono invitati a modellare la propria fede da questo cammino di studio orante. Con l’incoraggiamento di papa Francesco: «Il legame fra la Sacra Scrittura e la fede dei credenti è profondo. Poiché la fede nasce dall’ascolto e l’ascolto è centrato sulla Parola del Cristo (Rm 10,17) ne consegue l’invito all’urgenza e all’importanza che i credenti devono riservare all’ascolto della Parola del Signore, sia nell’azione liturgica che nella preghiera e riflessione personale» (motu proprio Aperuit illis).
Domande per un kairós
In un testo che ha avuto largo seguito durante il confinamento, Tomas Halik, teologo ceco, si dice che il tempo presente è un kairós per la Chiesa, un momento favorevole, una svolta da non mancare. Suggerisce anche che i monasteri abbiano un ruolo da giocare: terriccio di cultura per la vita spirituale, scuola di sapienza e di contemplazione, approfondimento della parola di Dio. Vorremmo rispondere a questa sfida dando il nostro piccolo contributo alla riflessione della Chiesa. La scelta di rinnovare il nostro modo di vivere l’eucaristia ne fa parte. E si rivela già fecondo.
LA COMUNITÀ DELLE BENEDETTINE
DI HURTEBISE
1Louis-Marie Chauvet, «La frequenza della celebrazione eucaristica in rapporto all’eucaristia domenicale», in La question de l’Eucharistie quotidienne, atti della sessione dal 17 al 20 settembre 2012 a Ermeton, Cahiers d’Ermeton, 2013 (edizione fuori commercio, pp. 34-35).
2 Robert Taft, «La frequenza dell’eucaristia nella storia», in Concilium 172, 1982, pp. 27-44.
3 Membri dell’équipe del CNPL, a titolo personale, «Brevi risposte a 12 questioni» in Prêtres diocésaines, numero scoiale 1981, pp. 116-117.
4Adalbert de Vogüe, «Il passaggio dalla messa della domenica alla celebrazione quotidiana presso i monaci (IV-X secc.), in La Maison-Dieu, 242, 2005/2, pp. 33-44.