Antoniazzi Elsa
Motu Proprio “Spiritus Domini” sulla modifica del can. 230 § 1 del Cod. di Diritto Canonico
2021/2, p. 7
Una parola del Magistero vale sempre per tutta la Chiesa, anche se a prima vista interessa un settore specifico. I ruoli, le funzioni di ogni membro del popolo di Dio danno un volto a tutta la Chiesa. E questo succede per il recente Motu proprio, “Spiritus Domini”, in cui si modifica il canone 230 del Diritto Canonico, per cui anche le donne potranno accedere ai ministeri istituiti del Lettorato e dell’Accolitato.

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Motu Proprio “Spiritus Domini” sulla modifica del can. 230 § 1
del Cod. di Diritto Canonico
Una parola del Magistero vale sempre per tutta la Chiesa, anche se a prima vista interessa un settore specifico. I ruoli, le funzioni di ogni membro del popolo di Dio danno un volto a tutta la Chiesa. E questo succede per il recente Motu proprio, “Spiritus Domini”, in cui si modifica il canone 230 del Diritto Canonico, per cui anche le donne potranno accedere ai ministeri istituiti del Lettorato e dell’Accolitato.
La decisione affonda le proprie ragioni in due considerazioni: il medesimo valore del battesimo per gli uomini e per le donne e la destinazione laicale dei ministeri.
Le donne impegnate nel portare avanti la riflessione sono contente, perché finalmente qualcosa si muove. E nello stesso tempo c’è la consapevolezza che il discorso vada al di là di spazi riconosciuti.
Sicuramente sono interpellati i parroci, chiamati a fare spazio e a incoraggiare, perché questa è una piccola rivoluzione. Nessuno di noi è abituato a vedere donne con ruoli “istituzionali”, anche se siamo forse abituati a vedere donne che leggono, che conducono incontri, ma con “la veste bianca” non le vediamo.
Sarà l’occasione per riflettere comunitariamente sul ruolo dei laici nella Chiesa, sul significato dei singoli ministeri, che appunto non si riducono a “poter stare sull’altare”. E forse sarà anche l’occasione per riflettere su quanto i condizionamenti culturali giocano nel nostro pensare la Chiesa. Se per la Chiesa il Papa compie gesti che vanno nel senso di valorizzare la pari dignità battesimale, se per la società civile in Italia esiste un ministro delle pari opportunità, significa che la differenza compresa come gerarchia è uno schema ancora attivo nel nostro mondo.
La comunità sarà d’aiuto o farà resistenza?
A monte della riflessione sui ministeri istituiti, bisognerà tornare su quell’attitudine ecclesiale per cui la Chiesa se da una parte si considera sempre “reformanda” da riformare, perché sa di non essere mai realtà perfetta, d’altra parte costantemente essa è attenta a vivere e a testimoniare il messaggio evangelico in modo che tutti possano sentirsi a casa, con pari dignità battesimale.
Sono molto belle le parole del Papa nella lettera che accompagna il Motu Proprio: «Nella linea del Concilio Vaticano II, il Sommo Pontefice San Paolo VI ha voluto rivedere la prassi relativa ai ministeri non ordinati nella Chiesa Latina - chiamati fino ad allora “ordini minori” adattandola alle esigenze dei tempi. Tale adattamento, tuttavia, non deve essere interpretato come un superamento della dottrina precedente, ma come attuazione del dinamismo che caratterizza la natura della Chiesa, sempre chiamata con l’aiuto dello Spirito di Verità a rispondere alle sfide di ogni epoca, in obbedienza alla Rivelazione».
Tutto il magistero di papa Francesco va in questo senso e l’atto formale della lettera fa comprendere come egli desideri essere ben capito a tal proposito.
Per le donne, poi, sia per quelle che sono impegnate sul tema, come per quelle che semplicemente ne prendono atto, esiste il rischio di essere scoraggiate. Un primo argomento può essere che spesso le donne svolgono già molti dei compiti dei ministeri; un secondo accoglie la retorica del potere, quasi che fosse una scalata. Questo è un rischio per tutti. Che nel nostro servire ci possano essere risvolti di egocentrismo è un dato certo, ma non per questo possiamo rinunciare a porci a servizio della comunità. E questo vale per le donne e per gli uomini.
Infine, nelle comunità dove le suore operano, possiamo pensare che molti parroci chiederanno a loro prima di tutto di essere ministre istituite e le comunità stesse accoglieranno con più facilità una suora in questi ruoli, che una donna laica. E la distinzione fa un poco sorridere, perché le suore sono donne laiche.
Sta il fatto che le comunità e i preti sono più abituati a vedere e concepire la religiosa come una figura quasi ministeriale e così potrebbero pensare di obbedire al Motu proprio, ma eviterebbero di affrontare la vera rivoluzione che esso innesta. Forse come religiose dobbiamo vigilare un poco anche su questo, perché questa soluzione non sia occasione per reinserire la diversità della dignità battesimale, secondo una logica piramidale sempre in agguato.
È la spiritualità a sostenere l’autorevolezza di una persona chiamata a svolgere ruoli di formazione e coordinamento, come è del lettorato e dell’accolitato. Per le religiose la consapevolezza che il proprio cammino spirituale non è solitario ma vive della grazia della vita comunitaria sarà l’occasione per testimoniare alla Chiesa che servire è semplicemente dono di sé.
Infine, col Motu proprio si rafforza per la vita religiosa femminile la necessità di una riflessione per comprendere come coniugare la dimensione interstiziale della vita religiosa, e una presenza più istituzionalizzata.
Il Motu proprio, “Spiritus Domini”, apre dunque un percorso di recezione, che s’innesta nel più ampio percorso di recezione del Concilio Vaticano II. Gli dà però un’accelerazione da non sottovalutare.
ELSA ANTONIAZZI