Chiaro Mario
Reddito di cittadinanza
2021/11, p. 29
Il Reddito di Cittadinanza (RdC) è una misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale. Si tratta di un sostegno economico a integrazione dei redditi familiari, associato a un percorso di reinserimento lavorativo e sociale.

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LOTTA ALLA POVERTÀ
Reddito di cittadinanza
Il Reddito di Cittadinanza (RdC) è una misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale. Si tratta di un sostegno economico a integrazione dei redditi familiari, associato a un percorso di reinserimento lavorativo e sociale.
Oggi il dibattito politico sul RdC, in vigore da marzo 2019, si sta facendo sempre più acceso. Si è parlato anche di un referendum abrogativo e ci sono state molte riflessioni sul tema dei cosiddetti “furbetti del divano”. Il centro-destra vorrebbe abolirlo, in quanto diseducativo e clientelare. Il Partito democratico è disponibile a una sua revisione, mentre i Cinque Stelle lo difendono a spada tratta. In ogni caso, si deve ammettere che la riforma che doveva “abolire la povertà” è nata in fretta, con diversi difetti di progettazione.
Un approccio plurale contro la povertà
In Italia le politiche contro la povertà hanno da sempre suscitato diffidenze e divisioni. Negli ultimi vent’anni si sono succeduti almeno una decina di provvedimenti. Sicuramente nessuna politica pubblica nasce perfetta e va periodicamente rivista sulla base dell’esperienza. Come ha mostrato drammaticamente la pandemia, il rischio povertà è ancora molto elevato nel nostro paese. Prima del Covid-19, secondo l’Istat la povertà assoluta colpiva già 4,6 milioni di persone, diventati 5,6 milioni nel corso del 2020. Un aumento massiccio, che sarebbe stato però molto superiore se non avessimo avuto il Reddito di Cittadinanza. Comunque, deve crescere la consapevolezza che la povertà non si riduce alla semplice assenza di lavoro. Riformare il RdC significa accettare quindi la sfida sia della complessità che della concretezza. Questa sfida è stata accolta dalla Caritas che ha presentato di recente il suo corposo 6° Rapporto sulle politiche contro la povertà intitolato “Lotta alla povertà: imparare dall’esperienza, migliorare le risposte. Un monitoraggio plurale del Reddito di Cittadinanza”. Questo è, al momento, lo studio più ricco e articolato sinora prodotto sull’attuazione del RdC in Italia, per questo ripreso da molti mezzi di informazione.
Come indica il sottotitolo, per realizzare un testo il più possibile completo, si è adottato un approccio plurale che ha riguardato le fonti, l’oggetto, il profilo degli autori per enti di appartenenza (Caritas, cinque università, un centro studi, l’Ocse, oltre a vari consulenti ed esperti indipendenti) e per professionalità. Il Rapporto è uno strumento che intende proporre una direzione di cambiamento del RdC in un’ottica di partecipazione condivisa, esplicitando anche “un’agenda per il riordino del RdC”.
L’attenzione prioritaria ai dati reali
Lo stanziamento dedicato nel 2020 alla misura del RdC supera gli 8 miliardi di euro: una misura notevole rispetto alla precedente prestazione, il Reddito d’Inclusione (Rei) che si è aggirato intorno ai 2 miliardi. «La percentuale di utenti effettivi rispetto alla popolazione che ne avrebbe diritto si colloca intorno all’80%. Si tratta di un intervento ben finanziato ed erogato a un’alta quota degli aventi diritto. È una misura che ha protetto un’importante fascia della popolazione dalle conseguenze economiche della pandemia (nel corso del 2020 l’aumento di nuclei percettori della misura è stato pari al 43%) e che permette al 57% dei nuclei che lo ricevono, soprattutto famiglie composte da una o due persone, di superare la soglia di povertà.
Guardando però ai requisiti per ottenere il RdC si nota che possono essere diversi da quelli che determinano la condizione di povertà». Per capire se e come è possibile migliorare la misura bisogna partire dunque dai veri poveri. I dati su cui si è lavorato indicano che il 44% dei nuclei poveri fruisce della misura, contro il 56% che non ne fruisce: così, poco più della metà dei poveri non ha il RdC. Inoltre, il 36% dei beneficiari non è povero (sono i cosiddetti ‘falsi positivi’). I dati ci dicono anche che le famiglie povere escluse dal RdC tendono più di frequente a risiedere nel Nord, ad avere minori, ad avere un richiedente straniero e ad avere un patrimonio mobiliare (risparmi) superiore alla soglia consentita. Attualmente sono escluse dalla possibilità di richiedere il RdC 4 famiglie straniere su 10. Il requisito economico di accesso che più di tutti restringe l’accesso alla misura alle famiglie in povertà assoluta è quello del patrimonio mobiliare. Rispetto alla dimensione geografica, nel Nord il numero delle famiglie che fruiscono del RdC è il 37% di quelle in povertà assoluta, nel Centro il 69% e nel Sud il 95%. Con riguardo ai nuclei che percepiscono il RdC pur non essendo poveri (falsi positivi), questi si concentrano tra le famiglie di piccole dimensioni: il 41% con un solo componente e il 21% con due persone. Infine, i dati mostrano che la metà dei nuclei in povertà assoluta e di quelli beneficiari del RdC ha già almeno un occupato al proprio interno.
I percorsi di inclusione
La seconda parte del Rapporto Caritas prende in esame i percorsi di inclusione sociale, di inclusione lavorativa, la rete del welfare locale e i Progetti utili alla collettività (Puc) di titolarità dei Comuni in cui possono essere coinvolti i beneficiari di RdC.
Per quanto riguarda l’inclusione sociale, i dati mostrano che al 31 gennaio 2021 circa il 5% dei percettori della misura non risultava tenuto agli obblighi, oltre il 48% era stato indirizzato ai percorsi di inclusione sociale e oltre il 46% ai percorsi di attivazione lavorativa con i Centri per l’impiego. «Il quadro generale è quello di un processo in corso che ha attraversato la complicata fase dell’avvio, dell’adattamento a regole procedurali nuove e a un meccanismo di funzionamento che prevede molti passaggi fra una pluralità di attori che sono veicolati da piattaforme informatiche tuttora in pieno rodaggio. A complicare ulteriormente la situazione c’è stata l’irruzione del Covid che ha rallentato molti passaggi e li ha resi ancor più faticosi».
Al 31 gennaio 2021, i nuclei beneficiari di RdC indirizzati ai percorsi di inclusione lavorativa sono, a livello nazionale, circa 530mila, il 49% del totale dei nuclei indirizzati ai Centri per l’impiego o ai servizi sociali. Se si analizza la condizione occupazionale, emerge che non occupati, persone senza un lavoro e che non percepiscono sussidi di disoccupazione o altre forme di sostegno al reddito siano la categoria prevalente (36%). I disoccupati percettori di ammortizzatori sociali, insieme ai cassaintegrati, persone che sono senza lavoro ma che hanno da poco concluso un rapporto, rappresentano appena l’1% dei beneficiari. Importante è la quota dei beneficiari che la normativa ritiene più vicini al mercato del lavoro, il 21%, in realtà non ha mai avuto un rapporto di lavoro alle dipendenze nella sua storia lavorativa. I beneficiari di RdC indirizzati ai Centri per l’impiego sono in maggioranza donne (52%) e il 14% ha cittadinanza straniera. Le fasce di età degli under 30 e degli over 50, i più difficili da collocare nel mercato del lavoro, per inesperienza i primi e per difficoltà di riconversione professionale i secondi, rappresentano rispettivamente il 34% e il 27% dei beneficiari tenuti al Patto per il lavoro. I beneficiari tenuti alla stipula del Patto per il lavoro hanno titoli di studio estremamente bassi: il 72% ha al massimo la licenza media, mentre solo il 3% ha ottenuto la laurea. I beneficiari effettivamente tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro sono poco più di 1 milione a livello nazionale: però solo circa 327mila hanno effettivamente stipulato il suddetto Patto. L’identikit dei beneficiari di Rdc inviati ai servizi per il lavoro è costituito da persone molto deboli dal punto di vista lavorativo e in grandi difficoltà economiche, psicologiche e sociali. Non raramente sono persone che non hanno acquisito neppure il titolo di studio obbligatorio per legge, o sono giovani che non studiano né lavorano o in evidente ritardo con gli studi. Sono tutti dotati di smartphone, ma non sanno usarlo per effettuare ricerche su internet, non sanno redigere un curriculum vitae e, in alcuni casi, non parlano la lingua italiana.
Beneficiari della Caritas e Reddito di Cittadinanza
Una novità di questo Rapporto sulla povertà consiste nell’aver dedicato un intero filone di ricerca ai beneficiari dei servizi Caritas che sono percettori di RdC. Oltre all’analisi dei dati, è interessante riassumere quanto è emerso dalle interviste effettuate. Le condizioni di impoverimento «sembrano emergere al crocevia di dinamiche piuttosto complesse e articolate dove le condizioni individuali si intrecciano anche con alcune problematiche di fondo che attengono al malfunzionamento di istituzioni sociali cruciali per il benessere delle persone, come il mercato del lavoro e le politiche di welfare. Dalle interviste si delinea come le condizioni di povertà ruotino attorno all’impossibilità di avere risorse adeguate per soddisfare tre bisogni fondamentali: la spesa per il mangiare, la casa e le bollette. Sono questi i bisogni su cui nella gran parte dei casi si focalizza il racconto delle persone, descrivendo condizioni di vita particolarmente difficili e problematiche».
Il RdC è vissuto come un sostegno, ma le aspettative su un radicale miglioramento delle condizioni di vita per molti di loro sono state tradite dalla realtà dei fatti. Alcuni intervistati hanno affermato, infatti, di vivere con notevole disagio questa situazione e di provare una vera e propria “vergogna” per il fatto di ricevere un sostegno economico, ma allo stesso tempo non essere in grado di acquisire una propria autonomia. L’assenza di lavoro e la situazione di dipendenza da “sussidio”, sembrano dunque determinare una serie di ripercussioni profonde nell’identità delle persone. Una delle criticità maggiormente segnalate è stata quella della sospensione del contributo al 18° mese. Un solo mese di sospensione comporta che si torni nuovamente a reddito zero: non ci sono risparmi su cui fare leva.
Le prospettive per rilanciare il RdC
Il RdC è un’opportunità che va accompagnata a livello locale, prevedendo un ingaggio robusto degli attori territoriali, che si devono sentire responsabilizzati rispetto alla realizzazione dei percorsi di inclusione per le persone, e va monitorata a livello nazionale. «Il RdC, in quanto misura di contrasto alla povertà, è uno strumento di promozione umana... Ma, come le analisi condotte dimostrano, a oggi la strada è ancora lunga per poter garantire a coloro che ricevono questa misura di guadagnare la piena autonomia e reinserirsi completamente dal punto di vista sociale e nel mercato del lavoro». «Bisogna passare dalla logica dei bisogni all’approccio dei diritti, per poter recuperare unitarietà di approccio e di azione, per “riordinare” adeguatamente la misura». Spesso abbiamo attribuito a singole misure pubbliche la responsabilità di causare direttamente o indirettamente abusi o comportamenti opportunistici da parte delle persone. «Non si tratta di eliminare le misure di contrasto per evitare questi rischi, quanto piuttosto di avviare una riflessione su come ridestare una nuova coscienza civica che faccia sentire tutti parte di una comunità coesa e solidale votata alla promozione della giustizia e della cura reciproca».
Per dare seguito alle prospettive appena indicate, il ruolo della Caritas potrebbe consistere nel realizzare le seguenti azioni di promozione: a) promuovere una conoscenza competente della povertà anche a partire da un’attenta analisi delle politiche di contrasto; b) promuovere sempre di più percorsi di accompagnamento al fine di agevolare l’accesso alle misure da parte delle persone in condizioni di bisogno; c) promuovere e facilitare un raccordo tra quanti lavorano sul contrasto alla povertà.
Oggi più che mai, dopo la pandemia Covid-19, occorre ribadire che un sostegno alle persone in povertà è necessario ed è un bene prezioso che va mantenuto e migliorato, avendo a cuore soprattutto le condizioni dei più “fragili”.
MARIO CHIARO