La Mela Maria Cecilia
Alla scuola della Sacra Scrittura
2021/11, p. 20
«Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1): è la richiesta accorata che sgorga dal cuore di ogni discepolo di Cristo, oggi come allora. Il Signore Gesù è la preghiera fatta vita, in Lui tutto coincide e si armonizza, perché è nel dialogo con il Padre che la sua missione salvifica si esplica e raggiunge l’umanità intera.

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Alla scuola della Sacra Scrittura
«Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1): è la richiesta accorata che sgorga dal cuore di ogni discepolo di Cristo, oggi come allora. Il Signore Gesù è la preghiera fatta vita, in Lui tutto coincide e si armonizza, perché è nel dialogo con il Padre che la sua missione salvifica si esplica e raggiunge l’umanità intera. Come scrive Matta el Meskin, «la preghiera è un dono prezioso che ti è concesso affinché tu acceda alla presenza di Dio Padre, attraverso la mediazione di Gesù Cristo. Dio accetta così di mettersi alla portata dell’uomo, in grazia dell’amore del Padre per suo Figlio Gesù Cristo, il quale si pone umilmente in mezzo a noi ogniqualvolta preghiamo secondo la sua promessa (Mt 18,19). Ed è lo Spirito Santo che prepara, mediante la grazia, questo incontro spirituale invisibile». Vogliamo allora identificarci con Maria di Betania ai piedi del sacro Ospite (cfr. Lc 10, 38-42) per apprendere da Lui quell’arte spirituale che ci fa essere suoi seguaci. San Benedetto nel prologo della Regola – che non per nulla inizia con l’invito ad ascoltare il Maestro - definisce il monastero «scuola del servizio divino», laddove si intende soprattutto la preghiera liturgica, ma anche la lectio divina e l’impegno quotidiano sulla via del Vangelo. Ecco che all’immagine della scuola, non nel senso strettamente “scolastico”, vorremmo ritornare più volte per approfondire la spiritualità della preghiera. E non possiamo non iniziare mettendoci alla scuola della Sacra Scrittura.
La preghiera è un dono e a pregare si impara. Dobbiamo prima di tutto disporci a quel «religioso ascolto della Parola di Dio» suggeritoci in apertura dalla Dei Verbum, lasciandoci trasformare da quanto il Signore vuole dire e operare in noi. È a partire dalla Sacra Scrittura che emergono in noi i contenuti della nostra preghiera. Dal confronto con la Parola di Dio nasce il bisogno di aprirci all’opera divina nel nostro feriale affannarci sulla terra. La preghiera, allora, diventa continua memoria dell’opera di Dio abilitandoci a dargli del tu, a sentirlo nostro, vicino nella nostra intimità di paura e fragilità ma sempre aperta alla luce e alla speranza.
Evagrio il Pontico parlava di una conoscenza angelica da parte dell’uomo resa possibile dalla Sacra Scrittura. Questa tensione verso lo spirituale, racchiuso nella lettera, è un genere di preghiera inteso nella prospettiva del salmo 138, cioè di un “cantare davanti agli angeli”. Per Evagrio canta davanti agli angeli colui che, nella molteplicità delle immagini che la Bibbia presenta, coglie l’eterna sapienza di Dio; canta davanti agli angeli chi, nella parola profetica dell’Antico Testamento, sa intravedere la presenza nascosta ma operante di Cristo stesso, sapienza multiforme del Padre.
Tutta la Scrittura è pervasa di preghiera. Sarebbe impossibile richiamare i numerosissimi oranti che, nelle svariate epoche e situazioni storiche abbracciate dal dispiegarsi cronologico della Bibbia, ci sono compagni in questa eccezionale scuola. Preghiere ardenti sgorgate da cuori abitati dalla gioia, dall’angoscia, da pressanti avvenimenti, dall’indigenza fisica o morale… preghiere di richiesta, di lode, di affidamento, di pentimento, di ringraziamento, persino di sfida, ma tutte animate dalla certezza che Dio c’è ed è fedele. E non ultimo l’Orante per eccellenza: Gesù che continuamente prega e insegna a pregare sino alla consegna totale di sé, compendiando tutto nella bellissima preghiera sacerdotale tramandata al capitolo 17 del Vangelo di Giovanni.
Alla scuola della Vergine Maria ci soffermeremo più in là.
Papa Benedetto XVI, in occasione del congresso su “La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa” (14-18 settembre 2005), richiamando DV 25, aveva ribadito come «l’assidua lettura della Sacra Scrittura accompagnata dalla preghiera realizza quell’intimo colloquio in cui, leggendo, si ascolta Dio che parla e, pregando, gli si risponde con fiduciosa apertura del cuore». E noi possiamo rispondergli con le preghiere stesse suscitate nei secoli in questi grandi oranti del Primo e del Secondo Testamento sperimentando come tante di esse siano consone al nostro vissuto, all’emozione di un particolare momento. Così avviene soprattutto nella liturgia delle ore: i salmi, entrati a buon diritto nella preghiera liturgica cristiana, ci aiutano a pregare e ci fanno pregare con la voce della Chiesa. Possiamo avere pensieri e sentimenti diversi da quelli che in quel momento riscontriamo nel breviario, ma ci sentiamo ugualmente parte del tutto, dell’unico Corpo mistico in comunione orante.
Nella preghiera personale possiamo dar sfogo anche a parole nostre che sgorgano da ciò che la Parola fa risuonare in noi. Se la Parola di Dio è sempre dentro di noi, poi risuona e al momento certe parole ci salvano, ci trasformano. Sì, perché la preghiera è la vita portata davanti a Dio, è una partecipazione. «Si tratta di comprendere pregando e soprattutto di pregare per entrare pienamente, con tutto il proprio essere, nel dialogo con il Signore».
È una preghiera dinamica, che ci coinvolge e ci “stravolge” perché la Parola non lascia mai indifferenti. Di fronte a quello che ci ha detto il Signore scopriamo la nostra inadeguatezza e i nostri limiti. La preghiera diviene allora richiesta di perdono. Da qui nasce spontaneo il bisogno di ringraziare. Chi sperimenta l’amore di Dio, molto più grande in rapporto alle nostre cadute e ai nostri peccati, sente dentro di sé un forte desiderio di dire grazie. La preghiera, allora, diventa lode perché ci aiuta a riconoscere i prodigi di Dio. La preghiera con la Parola e nella Parola ci fa percepire la Presenza continua di Dio che ci vuole accanto a sé.
Infine, quando si chiude, per così dire, il libro della Scrittura si apre quello dell’azione: dalla Parola di Dio si colgono le modalità della vita e del relazionarsi in una sfera sociale di condivisione e compartecipazione. La Parola letta, meditata, pregata, contemplata, ci spinge ad atteggiamenti che siano il frutto diretto di questa lectio divina per la vita. Il contatto vivo con la Bibbia ci apre la mente, ci educa alla tolleranza, ci rende attenti ai bisogni del prossimo, ci prepara all’accoglienza e arricchisce il nostro mondo interiore. Ci fa apprezzare tutto della nostra esistenza e di quella altrui: «La preghiera è essenzialmente amore» predicava padre Gasparino.
Solo la condivisione ci aiuta a crescere veramente alla luce della Parola perché il confronto con gli altri, a volte anche lo scontro, matura e ci stabilisce in quell’atteggiamento di umile disponibilità che salva dal rischio di sentirci proprietari e gestori esclusivi del dono che ci è stato fatto.
Si diventa così delle parole viventi: san Paolo diceva che noi cristiani siamo come una lettera scritta da Cristo (cfr. 2 Cor 3,3). Ebbene, lasciamo allo Spirito Santo il compito di plasmare il nostro essere così che tutta la nostra esistenza diventi capienza di Dio e accoglienza dei fratelli.
SUOR MARIA CECILIA LA MELA, OSBAP