Chiaro Mario
Rilancio delle “aree interne” del paese
2021/11, p. 18
Una ventina di vescovi provenienti da dieci regioni, su iniziativa di mons. Felice Accrocca vescovo di Benevento (30-31/08/2021), hanno dato vita a un confronto comune per elaborare un piano di rilancio pastorale delle “Aree interne” del paese.

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L’INCONTRO DI BENEVENTO
Rilancio delle “aree interne” del paese
Una ventina di vescovi provenienti da dieci regioni, su iniziativa di mons. Felice Accrocca vescovo di Benevento (30-31/08/2021), hanno dato vita a un confronto comune per elaborare un piano di rilancio pastorale delle “Aree interne” del paese.
Il desiderio è quello di imprimere un nuovo impulso all’azione delle diocesi in territori che manifestano spopolamento, disoccupazione, carenza di infrastrutture e una bassa natalità (piccoli Comuni con in media 1500/3000 abitanti). Si tratta di un percorso partito già nel 2019 quando i vescovi della Metropolia di Benevento firmarono il documento dal titolo provocatorio “Mezzanotte del Mezzogiorno? Lettera agli amministratori” e si fecero promotori in particolare di un Forum degli amministratori della Campania. Varie iniziative prese negli anni precedenti confermano che il dialogo e le interconnessioni tra le comunità cristiane che vivono nelle Aree interne non sono un espediente organizzativo, ma rispondono invece a una logica di sinodalità. L’incontro di Benevento, pur essendo di natura prettamente pastorale, ha segnalato anche i problemi di natura politica, poiché la questione non può continuare a rimanere marginalizzata nell’agenda del Governo.
Il ruolo delle Chiese locali
Con questa consapevolezza, il vescovo promotore mons. Accrocca ha espresso la forte volontà di cambiamento: «Non possiamo assistere inerti, nelle nostre chiese, alla morte del tessuto sociale, anche perché la necrosi di parte dell’organismo incide sull’organismo intero, vale a dire su tutto il paese, e di conseguenza sulla Chiesa che è in Italia», sottolineando che «la prima conversione da fare è una conversione mentale, è quella dell’incontro, che solo può portare soggetti diversi a confrontarsi per analizzare insieme, pensare insieme un progetto globale, realizzare insieme quanto insieme si è progettato».
Durante i lavori, mons. Stefano Russo, segretario generale della Cei, ha ribadito questa attenzione non estemporanea delle comunità cristiane, costrette a confrontarsi con dinamiche di emarginazione e di spopolamento, rimanendo uno dei pochi punti di riferimento anche a livello sociale. «Se, da un lato, le nostre comunità partecipano dei problemi e dei limiti strutturali che affliggono le Aree interne, allo stesso tempo si fanno carico dello sforzo di superare il fatalismo e la rassegnazione e di declinare l’annuncio del Vangelo in modi sempre più adeguati alla concretezza delle realtà in cui sono inserite». In questo modo le comunità cristiane si sono trovate a svolgere un ruolo di anticipazione e di sollecitazione rispetto alle istanze istituzionali e politiche.
Strategia nazionale per le Aree interne
Di seguito, mons. Russo (proveniente anch’egli da zone interne: è stato vescovo della diocesi di Fabriano-Matelica) ha ricordato che dal 2012 si è cominciato a costruire a livello governativo una “Strategia nazionale per le Aree interne” a partire dall’impiego dei fondi strutturali europei. «Che si tratti di una grande questione nazionale lo confermano alcuni numeri emblematici: le aree lontane dai poli di servizio essenziale rappresentano il 60% del territorio italiano, il 52% dei Comuni e il 22% della popolazione. La Strategia nazionale prevede a livello locale gli “accordi di programma quadro”, per un totale di circa un miliardo e 200mila euro di stanziamenti… Molte speranze sono ora legate al Piano nazionale di ripresa e resilienza e ai provvedimenti a esso connessi.» Ci sono deficit infrastrutturali che sicuramente richiedono interventi straordinari. I terremoti che si sono succeduti dal 2016 hanno ulteriormente evidenziato la necessità di investimenti per la ricostruzione in quanto tale, ma anche per avere accesso ai borghi d’Italia segnalati come un grande valore per tutta la nazione. «Non si può immaginare una duratura ed equilibrata ripresa del paese se oltre 13 milioni di abitanti si ritrovano in una condizione di marginalità territoriale che talvolta incide sullo stesso godimento dei diritti di cittadinanza». Evidentemente il paese non crescerà se non insieme e la questione delle Aree interne può essere uno stimolo a ripensare i modelli del nostro vivere comunitario. «Il cambiamento in atto, sollecitato anche dalla pandemia, può disegnare un nuovo modello di sviluppo in cui le Aree interne possono diventare il polmone dell’Italia».
Conversione pastorale di vescovi e preti
Interrogato su quale sia la pastorale delle aree più disagiate, mons. Accrocca ha dipinto in particolare le situazioni delle aree del Centro-Sud, nelle quali occorre purificare la religiosità popolare, interrogarsi su come coinvolgere gli anziani nell’apostolato ministeriale, realizzare delle collaborazioni in rete tra piccole realtà, unirsi tra parrocchie per portare avanti la pastorale giovanile. «Serve una conversione pastorale dell’episcopato e del clero per lavorare in sinergia».
Questa conversione è auspicata anche da papa Francesco, che con un Messaggio ha indicato ai vescovi convenuti la strada da seguire: «Abbiate uno sguardo preferenziale alle situazioni più disagevoli e a quanti vivono in condizioni precarie. Siate presenza consolante soprattutto dove maggiore è il disagio, coinvolgendo i sacerdoti, le persone consacrate e i fedeli laici nei vostri progetti pastorali… Il nostro tempo è caratterizzato da individualismo e indifferenza che determinano solitudini e lo scarto di tante esistenze. La risposta cristiana non sta nella rassegnata constatazione della povertà valoriale di oggi o nel nostalgico rimpianto del passato, ma nella carità che, animata dalla speranza, sa guardare con tenerezza l’oggi e, con umiltà, rendere nuove tutte le cose».
Altre preziose indicazioni sono venute da mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, che ha riletto la situazione odierna delle piccole comunità in chiave ecclesiologica, con un breve excursus su come durante i secoli con creatività esse hanno assunto forme diverse a motivo delle diverse conformazioni dei territori, per una pastorale più vicina alla gente. «Come i vescovi del Mezzogiorno hanno opportunamente sottolineato, una riflessione che prescinda dalle “Aree interne” e dalle piccole comunità sparse in questi territori rischia di perdere delle ricchezze enormi: di prossimità e relazioni umane profonde. E con queste, rischia di perdere opportunità sia civili (es. della cura degli anziani nelle case anziché solo nelle strutture) sia ecclesiali (trascuratezza verso le piccole comunità)». I criteri per ripensare il territorio, che tutte le diocesi stanno mettendo in atto, potrebbero essere i seguenti: «mettere “in rete” tra di loro comunità piccole e sparse su territori vasti (comprese le loro strutture pastorali), iniziando magari dai bambini e dai giovani; cercando di individuare "in loco" qualche disponibilità (carisma, ministero) per costituire dei referenti parrocchiali che non chiudano a riccio la comunità, ma la mantengano aperta alle altre comunità vicine; tentando, in qualche luogo, anche dei “gemellaggi” tra comunità parrocchiali cittadine e piccole comunità rurali (il che va a beneficio anche delle prime...), ascoltando le necessità e imparando a leggere le ricchezze delle comunità delle “Aree interne" da parte di tutte le comunità della diocesi. Il Sinodo rappresenta, anche a questo proposito, un'occasione da non perdere».
Tra pastorale e progetti di riscatto
I vescovi hanno raccolto i diversi contributi in un Messaggio finale rivolto alle chiese locali e alle istituzioni. Alle comunità hanno chiesto di vivere il prossimo cammino sinodale come una opportunità preziosa di ascolto con uno sguardo attento alle realtà rurali. «In questo recuperato slancio missionario ci impegniamo a costruire un volto di Chiesa battesimale, partecipativa, coinvolgente e coraggiosa, in cui il contributo dei laici, e delle donne in particolare, venga adeguatamente valorizzato; a costruire ponti con le istituzioni nazionali e periferiche; a collaborare con gli attori istituzionali nella Sperimentazione nazionale delle aree interne (SNAI) e nella applicazione delle Zone economiche speciali (ZES); ad adottare soluzioni pastorali capaci di formare le coscienze a vivere questo tempo di semina nella prospettiva di una solidarietà circolare: questo è particolarmente vero per la drammatica pandemia in atto».
Alle istituzioni nazionali, regionali e locali, alla vigilia dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), hanno chiesto di «disegnare un nuovo modello di sviluppo, equo e condiviso, in cui le aree interne possono diventare concretamente “il polmone del paese”, offrendo risorse e disponibilità a costruire intorno alle loro potenzialità di carattere naturale, paesaggistico, storico, religioso e culturale una vera prospettiva di riscatto. L’auspicio finale è che le risorse finanziarie contribuiscano alla realizzazione di opere fondamentali, partendo dalle zone più remote e raggiungano il centro; che «la diligenza dei fondi europei in arrivo non venga assaltata scompostamente, ma possa arrivare a destinazione con una distribuzione equa e trasparente; che la cultura delle competenze prevalga sulla prassi del ricatto elettorale e del clientelismo; che la tutela dell’ambiente, spesso lasciato a se stesso nelle aree meno antropizzate, contribuisca a ridurre i rischi di calamità naturali e a produrre uno sviluppo sostenibile».
MARIO CHIARO