Boni Elena
Economia gentile. Il mondo è di tutti
2021/11, p. 5
Il XIII Festival francescano (Bologna, 24-26 settembre) ha proseguito la riflessione avviata nel 2020 sull’Economia gentile. La seconda edizione extra ha visto molti eventi in presenza, ma anche la possibilità di partecipare a distanza e un notevole potenziamento della rete comunicativa.

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FESTIVAL FRANCESCANO 2021
Economia gentile
Il mondo è di tutti
Il XIII Festival francescano (Bologna, 24-26 settembre) ha proseguito la riflessione avviata nel 2020 sull’Economia gentile. La seconda edizione extra ha visto molti eventi in presenza, ma anche la possibilità di partecipare a distanza e un notevole potenziamento della rete comunicativa.
Fra settembre e la prima settimana di ottobre si è svolta la XIII edizione del Festival francescano, appuntamento ormai tradizionale organizzato dai francescani dell’Emilia-Romagna. L’evento ha ormai stabilmente preso casa a Bologna, ma è stata confermata la formula extra che prevede un’alternanza di eventi in presenza, online e misti e anche l’ampliamento ad altri luoghi e tempi. Queste le parole di presentazione di fr. Giampaolo Cavalli, direttore dell’Antoniano di Bologna: «La pandemia ci ha costretti ad esplorare le nuove possibilità offerte dal web e noi l’abbiamo presa come un’opportunità: così, anche nei mesi invernali, siamo rimasti in contatto con il nostro pubblico attraverso le lezioni di grandi ospiti che ci hanno aiutato a comprendere l’attualità».
In effetti dopo l’inizio della pandemia la qualità comunicativa del festival è molto cresciuta, dando vita ad una community virtuale fra gli iscritti che si alimenta con la newsletter periodica, il sito internet e i quattro canali social attivati: facebook, youtube, instagram e flickr. In questo modo il lettore può rimanere informato su programma e novità, seguire gli eventi periodici disseminati durante l’anno, ricevere pensieri spirituali e tematici in base al calendario liturgico e all’attualità. Importante la possibilità di rivedere sul sitogli interventi principali del festival.
Il manifesto e i contenuti
Nel nostro resoconto dell’edizione 2020 ci eravamo lasciati con questo commento: «La comunità cristiana dovrebbe in primo luogo applicare a se stessa i principi enunciati al festival di Bologna: sostenibilità, inclusione, apertura alle comunità locali, centralità della persona, generatività, speranza. Saremo capaci di mettere da parte le paure e l’egoismo che ci bloccano nella transizione verso un modello più umano e, in definitiva, più cristiano?».
Il festival 2021 prova a proseguire la riflessione: «Il tema economico focalizzerà l’attenzione sul concetto dell’inclusione perché, come afferma papa Francesco (...), “il mondo è di tutti”. Grazie alla presenza attiva tra le persone, in Italia e all’estero, le comunità francescane hanno sempre avuto a cuore le situazioni di fragilità e trovato soluzioni creative e concrete per ridare fiducia a quanti desiderino “ri-partire”. È ciò che sarebbe necessario anche oggi, in un momento storico in cui la forbice delle disuguaglianze appare sempre più ampia e alcune conquiste sul fronte dei diritti umani vacillano. Le fasi di analisi e di riflessione sono importanti tanto quanto la capacità di reazione» (fr. G. Cavalli, presentazione del festival).
Il manifesto scientifico afferma: «Il festival intende in primo luogo porre l’attenzione sul problema delle diseguaglianze e restituire ai poveri il ruolo di guide di nuovi percorsi; da qui la necessità di dare loro voce. (...) La pandemia ha determinato nuove povertà, mettendo in difficoltà anche persone e famiglie che in precedenza non erano in crisi. Ha messo in difficoltà alcune fasce della popolazione più di altre, come per esempio le donne. Altri fattori al di là della pandemia, come le nuove tecnologie, determinano nuove opportunità, ma spesso mettono in difficoltà i più vulnerabili, tramite processi di esclusione o di finto coinvolgimento (...).
Nell’Economia gentile, a fianco del settore pubblico che deve investire in istruzione, sanità e servizi per la ri-partenza dei più deboli, di grande ispirazione sono gli esempi di tante imprese capaci di coinvolgere anche le persone fragili (...). I poveri non sono quelli che “devono essere aiutati”, ma semmai essere inclusi in nuovi modelli di sviluppo, in quanto c’è una parte che a loro spetta e che non deve dipendere dalla generosità altrui. (...)
Il tema Economia gentile. Il mondo è di tutti si inserisce nel solco ormai consolidato dell’economia civile e dell’impegno di tutti quelli che credono che un’economia diversa non sia una soluzione di ripiego rispetto a quella attuale, (...) ma che sia invece nettamente migliore. Il messaggio (...) è che la gentilezza rende. (...) L’ascolto del “grido dell’uomo e della terra” richiede interventi indifferibili a salvaguardia dell’ambiente, che avranno poi ricadute positive anche sulle condizioni socio-economiche di milioni di persone. L’Economia gentile è anche permeabile alla diversità dei contributi che possono provenire da persone con storie e culture molto variegate, (...) non vuole tuttavia essere ridotta al rango di un’economia “buonista”. È semmai un’economia vigile, prossima; anche pronta alla denuncia».
Il tema è stato declinato in numerosi modi, tutti molto interessanti. Vogliamo qui proporre due chiavi di lettura che, fra le altre, ci hanno colpito per originalità e metodologia di lavoro.
I giovani e la scuola
Come dichiarato dal manifesto, un’attenzione particolare nel festival è stata dedicata ai giovani. «Durante la pandemia i giovani sono vittime di una sofferenza che magari non ha natura strettamente sanitaria, ma spesso è trascurato il loro sentire e l’impatto negativo sulla loro capacità di progettare il futuro. In una società come la nostra, caratterizzata da elevata disoccupazione e sotto-occupazione giovanile e da un eccesso di rappresentatività socio-politica delle fasce più adulte della popolazione, i giovani devono essere maggiormente coinvolti in processi di riconoscimento e riconciliazione. (...) Il ruolo della scuola è fondamentale per intervenire sulla povertà e le disparità territoriali (...). Le potenzialità e i valori incarnati dai giovani devono essere valorizzati in quanto, essendo loro “nativi” della nuova economia, equa, inclusiva e sostenibile, devono essere messi nelle condizioni di poter rimanere, se lo desiderano, nei territori di appartenenza, invece di esserne troppo spesso espulsi. (...) Come per i poveri, l’ascolto dei giovani non deve essere però di mera facciata o di spettacolarizzazione, bensì empatico e profondo».
Quest’ultimo proposito è stato messo in opera durante un dialogo fra il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi e alcuni liceali bolognesi. L’incontro È un Paese per giovani? è stato condotto dal giornalista Federico Taddia. Da una ricerca sociologica effettuata da e fra gli adolescenti è emersa una diffusa paura del futuro. Il ministro ha sottolineato come la scuola debba accompagnare il processo di crescita degli studenti. Proprio la scuola è, per i ragazzi, in cima alla lista dei desideri del cambiamento: servono innovazioni nei programmi e nei metodi didattici, per avere una scuola più vicina alle esigenze dei giovani. Bianchi intende rimettere al centro della scuola l’educazione, e non solo l’istruzione; la scuola deve uscire dalle proprie mura e diventare il catalizzatore del territorio. È emerso infine il problema dell’accessibilità economica alle scuole paritarie, anche per ragazzi con disabilità che spesso pagano costi ulteriori. Il ministro ha ricordato come la scuola statale italiana sia la migliore in Europa per l’attenzione alla disabilità; su questo fronte il Miur sta cercando di distribuire risorse anche alle scuole paritarie, che però non sono uniformemente distribuite nel Paese, ponendo dunque un problema di equità territoriale.
La bellezza è di tutti
Un’interessante conferenza si è svolta «fuori sede» a Parma, nella chiesa di san Francesco al Prato, attualmente in corso di restauro. L’economista Stefano Zamagni e la storica dell’arte Giovanna Brambilla hanno indagato i temi dell’arte e della bellezza. Brambilla ha ricordato che dove i beni culturali sono fruibili a più persone vi è un benessere sociale più generale e un arricchimento per la società intera; questo dato di fatto dovrebbe essere tenuto in considerazione nell’attuale dibattito sull’accessibilità dei beni culturali. La prima cosa che si taglia quando c’è povertà economica, è la cultura. Pensiamo ai bambini che in due anni di DAD non hanno avuto accesso ai musei, ai teatri... ai nuovi disoccupati che non possono più permettersi di andare al museo... i beni culturali sono bellezza, ma per chi? Ci deve essere qualcuno che li vede, altrimenti sono solo oggetti o merce e perdono la loro bellezza. Anche le chiese, immensi scrigni di arte e bellezza, sono state costruite nei secoli come luoghi della collettività, patrimonio da passare di generazione in generazione.
Zamagni ha ricordato il paradosso italiano per il quale il 50% di tutti i beni culturali mondiali si trovano in Italia, eppure la loro fruizione è poco diffusa tra gli italiani. Nella frase “Il mondo è di tutti” occorre intendersi sul significato della preposizione. Infatti nei dibattiti accademici si parla sempre di beni privati e pubblici, ma non di beni relazionali, comuni e posizionali. I beni comuni non sono beni pubblici: ad esempio l’ambiente è un bene comune a tutti, ma non appartiene a nessuno. Oggi nella società è presente una triplice vulnerabilità: lavorativa, sociale e spirituale (quest’ultima si traduce nella disperazione). Il bisogno di felicità che ognuno ha dentro di sé dipende dai beni relazionali. Che cosa ce ne facciamo di un ambiente bello, se la persona scompare perché viene considerata alla stregua di un oggetto qualsiasi, come nel progetto trans-umanista?. Invece l’Italia, culla dell’umanesimo, deve seguire il modello neo-umanista dello sviluppo umano integrale: s-viluppo è togliere i viluppi, cioè perseguire la libertà (mentre la crescita è solo una questione biologica). Zamagni ha poi denunciato l’aumento endemico e sistemico delle diseguaglianze: negli ultimi 40 anni, tutti gli indicatori di diseguaglianza sono aumentati in modo esponenziale. Di fronte a questa evenienza le politiche ridistributive, come la tassazione, non bastano più; bisogna agire con politiche pre-distributive, cioè a monte del processo lavorativo. Stato e mercato non bastano più: serve la comunità. Infine ha citato la frase che D. Bonhoeffer lasciò ai suoi amici prima di morire impiccato dai nazisti: «Può darsi che domani spunti l’alba dell’ultimo giorno. Allora, non prima, noi interromperemo il lavoro per un futuro migliore».
ELENA BONI