La tristezza
2021/10, p. 30
La tristezza è un sentimento che accompagna il cammino della vita, è un “dolore dell’anima” che ha manifestazioni quanto mai varie. Qual è il suo significato e quali le sue funzioni? I suoi percorsi positivi e le energie che produce per umanizzare e umanizzarsi.
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UN’ESPERIENZA DA TRASFORMARE IN ENERGIA POSITIVA
La tristezza
La tristezza è un sentimento che accompagna il cammino della vita, è un “dolore dell’anima” che ha manifestazioni quanto mai varie. Qual è il suo significato e quali le sue funzioni? I suoi percorsi positivi e le energie che produce per umanizzare e umanizzarsi.
San Tommaso definisce la tristezza “Il dolore dell’anima”.
In alcune culture e famiglie questo sentimento non ha ricevuto una buona accoglienza, è considerato un qualcosa di negativo, quasi un’espressione indesiderabile di condotta.
Alcuni ragazzi, quando sono tristi, ricordano di essere stati redarguiti dagli adulti con frasi del tipo: “Non fare la donnicciola”; “Gli uomini non piangono”.
Pedagogie inefficaci o giudizi dettati dall’ignoranza hanno indotto a ritenere che provare tristezza sia segno di immaturità, debolezza e fragilità, per cui questa energia è rimasta, spesso, orfana di accoglienza o segregata agli arresti domiciliari.
Il diritto di cittadinanza
Lo psicologo tedesco Erich Fromm riteneva che “non si può essere profondamente sensibili in questo mondo senza essere molto spesso tristi”.
Ognuno sperimenta tristezza in diversi momenti e per tante ragioni: un giorno piovoso, problemi famigliari, critiche ingiuste, tradimenti affettivi, torti subiti. Si può provare tristezza quando nessuno ti ascolta, né prende il tempo di farti una telefonata o di invitarti a cena, o quando non c’è chi si ricordi del tuo compleanno o ti mostri affetto.
Talvolta, questo stato d’animo nasce dal non saper comunicare con gli altri o nel sentirsi incapaci di suscitare vibrazioni nel prossimo.
Alcuni sono in pena per opportunità perdute, quali: fare un viaggio, accettare un progetto, partecipare ad un evento, frequentare un corso.
Altri si rattristano per fallimenti a livello accademico o sportivo, insuccessi nell’ambito professionale o sociale, disastri finanziari o affettivi.
Talvolta, la tristezza viene a galla dinanzi a notizie trasmesse dai mass-media che riguardano le vittime di un terremoto, il suicidio di un giovane, la morte di un’intera famiglia in un incidente stradale, la caduta di un aereo, la morte di anziani senza il conforto dei propri cari. Queste informazioni producono dispiacere ed espressioni di umana pietà.
In sintesi, non si può vivere senza sperimentare momenti o eventi che producono onde o tempeste di tristezza. “La vita è lotta e tormento, delusione, amore e sacrificio, tramonti dorati e fosche tempeste” (Lawrence Olivier).
La famiglia della tristezza abbraccia tante voci, alcune più tenui, altre più intense ed occorre adattarsi ai diversi paesaggi interiori delle persone.
Tra le espressioni più tenui si registrano: la malinconia, il dispiacere, lo scoraggiamento, la nostalgia, la noia, il senso di abbandono, lo sconforto, la mestizia, lo struggimento.
Le espressioni più intense includono il senso di vuoto, la prostrazione, la desolazione, l’amarezza, lo strazio, la depressione, la disperazione.
La tristezza: significato e funzioni
La tristezza è un’emozione che si avverte, in particolare, per la mancanza o perdita di qualcuno e rivela il valore degli attaccamenti e il prezzo inevitabile dei distacchi.
A volte, sullo sfondo di questo sentimento predominante si annidano abusi sessuali, una madre depressa, un padre dipendente dall’alcool, litigi di coppia o vissuti di separazione che hanno segnato la biografia dell’individuo. Talvolta, il bambino tendenzialmente triste proviene da esperienze di abbandono o distacco, reali o percepite, che hanno incrinato la sua capacità affettiva.
In generale, gli eventi luttuosi producono tristezza, solitudine, smarrimento e sconforto; molto dipende dall’intensità del rapporto avuto con il defunto. Non si è tristi perché si è deboli, ma perché l’investimento emotivo produce ferite.
“La vita non è che una lunga perdita di tutto ciò che si ama. Ci lasciamo dietro una scia di dolori”. (Victor Hugo)
Nel cordoglio ci si sente tristi quando si guarda la sedia vuota o si ascolta il rumore assordante del silenzio. Talora, basta udire una canzone amata dal proprio caro per far sgorgare le lacrime, o rivedere i suoi amici, per avvertire un vuoto straziante, o passare accanto ad un luogo da lui frequentato, per sentirsi invasi dalla nostalgia.
L’assenza acutizza la differenza con altri; per questo i genitori che hanno perso un figlio non sopportano di incontrare altre coppie che godono la compagnia dei loro figli, così come una vedova prova disagio nel ritrovarsi con gli amici sposati, o una donna che ha perso la propria creatura in gravidanza evita il contatto con chi ha realizzato il sogno della maternità.
La tristezza è come l’olio che viene versato sulle ferite: serve per elaborare il cordoglio, affermare un legame profondo, perdonare errori commessi o torti subiti, convivere con la solitudine e gradualmente reinvestire le proprie capacità affettive e donative verso altre persone e scopi.
Tristezza e salute
La tristezza è un’emozione che tende ad abbassare le difese immunitarie con il rischio di contrarre malattie, quali: cardiopatie, malattie polmonari, problemi epatici, depressione, comparsa del cancro.
La presenza accentuata di questa emozione tende a riflettersi sul corpo e spegnere l’energia vitale, come confermato dalle seguenti espressioni: “Ho il cuore spezzato”; “Vedo tutto nero”; “Ho toccato il fondo”; “Non sto più in piedi”.
La postura stessa di chi è triste manifesta il patire: corpo ricurvo, fronte corrugata, sguardo spento, voce tenue o lamentosa, respiro corto, lacrime o singhiozzi, dolori muscolari, lentezza dei movimenti.
Una tristezza temporanea o passeggera è benefica e si lenisce facendo un bel pianto, confidandosi con qualcuno, ritirandosi dalla scena, dedicandosi alla preghiera, scrivendo il diario, facendo ricorso ad attività fisiche.
Il problema si pone quando l’emozione si cristallizza nel tempo, per cui può sfociare nella depressione e nel ricorso alla psicoterapia o all’aiuto farmacologico.
A livello esistenziale, la persona vestita di tristezza lamenta la mancanza di energia, si sente stanca e demotivata, percepisce che la vita è tutta in salita, palesa difficoltà sociali e relazionali, ha frequenti sbalzi di umore. Con frequenza, questa condizione emotiva si fonda su pensieri di colpa e auto recriminazione che fanno precipitare l’umore e determinano comportamenti passivi, di isolamento e incomunicabilità.
Il percepirsi inadeguati o incompresi determina ricadute sulla salute, quali: mancanza di appetito, insonnia o sonnolenza, diminuzione della temperatura corporea e aumento di sensibilità al freddo.
Tristezza: percorsi positivi
La tristezza, in sé, non è né positiva né negativa: dipende se contribuisce a interpretare la vita e le relazioni in maniera più profonda o se sfocia in comportamenti problematici.
Esaminiamo, innanzitutto, i benefici di questa emozione, per sé e per la società.
Un primo frutto della tristezza è la compassione. “Cum-passio” vuol dire provare passione per chi soffre.
La vocazione di molti buoni samaritani (medici, infermieri, psicologi, sacerdoti, suore, volontari…) nasce, spesso, all’ombra della tristezza che si prova dinanzi alle sofferenze degli altri e dal bisogno di mitigarle attraverso lo sviluppo di competenze per guarire o consolare chi è nel dolore.
Un secondo frutto della tristezza è il dono dell’introspezione. Chi è triste si guarda dentro, ricorda il passato, anela per ciò che è venuto meno, riflette su come districarsi dalla prigione del suo umore.
Un terzo frutto della tristezza è il bisogno di condivisione. Quando si prova un dispiacere o ci si sente soli, si avverte il bisogno di contattare una persona amica o di rivolgersi a Dio per lenire il peso di queste emozioni.
I gruppi di mutuo aiuto (per lutti, dipendenze, disabilità, infermità…), hanno lo scopo di favorire l’accoglienza, la condivisione e la guarigione delle persone ferite.
La trasformazione della tristezza in solidarietà si manifesta anche nelle calamità, attraverso l’invio di soccorsi alle popolazioni provate.
Un quarto frutto della tristezza è il bisogno di intimità. Inizialmente, quando si è addolorati o mortificati, si è portati a ritirarsi dagli altri (coniuge, amico, consorella). Dopo un tempo di distanziamento e silenzio, il magone della solitudine spinge a riallacciare i rapporti, cicatrizzare la ferita e sperimentare di nuovo l’intimità con l’altro. Questo obiettivo si raggiunge con l’umiltà, lasciando cadere l’orgoglio e perdonandosi a vicenda.
Un quinto frutto della tristezza è la creatività. Molte persone trasformano la tristezza in espressioni creative, quali scrivere poesie, dipingere, comporre musica, creare cose artistiche con le proprie mani. Creatività intesa come capacità di generare “cose nuove” e sublimare il proprio cordoglio.
Tristezza: percorsi problematici
I risvolti negativi della tristezza si riassumono attorno ad alcune parole-chiave, vale a dire:
-L’isolamento e l’incomunicabilità: sono atteggiamenti che possono disturbare i rapporti, acutizzare il travaglio, consumare preziose energie mentali, psichiche e spirituali;
-L’abbandono al pessimismo o al vittimismo: si filtrano gli eventi e le relazioni in un’ottica di catastrofismo e insoddisfazione cronica;
-La tendenza a rifugiarsi nel sogno e nella fantasia, per compensare la noia o le presenze percepite banali e non rispondenti alle proprie attese;
-L’inclinazione alla depressione dinanzi ai disappunti per un’esistenza orfana di speranza e il disagio per chi si è o per come si è;
-Il rischio che l’accresciuto senso di fragilità si trasformi in problemi mentali e psichici che richiedono l’assistenza sanitaria e/o psicoterapeutica.
Un’energia per umanizzarsi e umanizzare
Il versetto più breve del vangelo, riportato nel testo di Giovanni, concerne Gesù provato per la morte dell’amico Lazzaro: “Scoppiò in pianto” (Gv 11, 35); in un altro momento Gesù è triste per se stesso: “La mia anima è triste fino alla morte” (Mc 14, 34).
La tristezza ha molto a che fare con l’amore che unisce a Dio, agli altri, a noi stessi, al creato, alla vita. Dove c’è amore c’è dolore e il dolore purificato può trasformarsi in accresciuta capacità di amare.
Illudersi di eliminare la tristezza è come pretendere di eliminare la notte dal giorno. Essere umani vuol dire offrire ospitalità a questo sentimento che serve a renderci più umani, più compassionevoli, più sensibili alle vulnerabilità proprie e del mondo che ci circonda.
P. ARNALDO PANGRAZZI, M.I.