Rinaldi Marco
Il doloroso coraggio della verità
2021/10, p. 20
La soppressione della Comunità Regina Pacis di Verona ha suscitato vasta eco nella stampa e nella pubblica opinione. Per chi non conosceva questa realtà dall’interno, una tale scelta può apparire come un evento scandaloso, clamoroso e improvviso, un arbitrio ingiusto perpetrato da una Chiesa che vorrebbe cancellare ogni traccia di novità suscitata dallo Spirito.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Il doloroso coraggio della Verità
La soppressione della Comunità Regina Pacis di Verona ha suscitato vasta eco nella stampa e nella pubblica opinione. Per chi non conosceva questa realtà dall’interno, una tale scelta può apparire come un evento scandaloso, clamoroso e improvviso, un arbitrio ingiusto perpetrato da una Chiesa che vorrebbe cancellare ogni traccia di novità suscitata dallo Spirito.
Le origini
La Comunità Regina Pacis era stata fondata a Verona per volontà di Luigia Scipionato e di don Lorenzo Fontana SDB con il consenso del marito di Luigia, il dottor Alessandro Nottegar e la collaborazione attiva dei coniugi Granuzzo nel 1986. Pensata all’inizio come realtà dove far convivere alcune famiglie, si era poi sviluppata nel tempo come esperienza nella quale venivano accolte persone nei diversi stati di vita, senza un progetto chiaro, senza una seria formazione spirituale e senza una finalità consapevole. Lo scopo sembrava essere quello di vivere tutti insieme sotto lo stesso tetto, famiglie, religiosi e sacerdoti, come le prime comunità cristiane (ammesso che queste vivessero davvero in questo modo stravagante).
Negli anni, inoltre, erano state aperte anche alcune case in zone molto povere del Brasile e in altri paesi, dove si servivano le persone più disagiate. Detto così, tale modello potrebbe sembrare affascinante e coinvolgente, così come appariva la comunità a chi vi si avvicinava. Ma una facciata così splendente nascondeva al suo interno delle gravi lacune e uno stile poco evangelico. A causa di queste criticità, segnalate alle autorità competenti, nel 2017 è stata indetta una visita canonica con conseguente commissariamento della Comunità Regina Pacis, prima da parte del Vescovo di Verona e, in seguito, da parte della Congregazione Vaticana per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Durante quattro anni di indagine e di accompagnamento, nei quali i visitatori prima e i commissari poi hanno potuto effettuare un ascolto attento e libero di tutti i membri della comunità, compresi alcuni tra i molti già usciti negli anni e delle persone vicine all’opera, sono emersi gravi problemi riguardanti il governo, le relazioni all’interno delle comunità, la spiritualità, la formazione dei membri e la morale.
Decreto di soppressione
Il Decreto di soppressione della Congregazione Vaticana evidenzia l’assenza di “originalità e affidabilità del carisma di fondazione”, così come la “scarsa consistenza dei testi ispirazionali, soprattutto in ambito ecclesiologico e della formazione dell’associazione”, ovvero un’esperienza di vita sorta senza un vero carisma divino, ma per volontà umana dei fondatori.
Inoltre, il Decreto sottolinea come ci siano state delle “carenze istituzionali, soprattutto nel governo che di fatto risulta a conduzione più familiare che statutaria”. Tale affermazione significa che la Comunità veniva portata avanti da Luigia e dalla sua famiglia, le quali avevano il controllo di ogni cosa. Non c’era ambito o decisione benché minima che non dovesse avere il beneplacito della fondatrice. A tale proposito, infatti, il Decreto continua affermando che tale modalità di governo veniva portata avanti “con indebite ingerenze nella coscienza delle persone, nella vita coniugale e nell’esercizio della potestà genitoriale”. È facile comprendere che la Congregazione Vaticana sta affermando che ci si trovava davanti ad abusi di potere e abusi di coscienza, che condizionavano non solo i singoli membri ma addirittura le scelte dei genitori nei confronti dei figli. La gestione del potere era tale da far sì che la fondatrice arrivava a sostituirsi ai genitori, tanto da sentirsi in diritto di allontanare i figli dalle loro famiglie quando questi non avessero corrisposto all’educazione da lei imposta. Una tale distorsione della realtà era resa possibile grazie a una raffinata mistificazione, che portava a spiritualizzare ogni situazione, facendo coincidere la volontà di Dio con la volontà della fondatrice. Tale processo, che chiamiamo abuso spirituale ha creato grandi sofferenze in molte persone, minando la loro libertà di coscienza, la loro fede, la percezione di sé e l’immagine stessa di Dio. Vi sono altri aspetti lacunosi e problematici che non possiamo affrontare in questo breve articolo. Ma non è difficile comprendere che laddove si verifichino abusi di potere si è lontani da uno stile di vita evangelico e si è lontani da una trasparenza nella gestione delle opere, a tutti i livelli.
Non si poteva tacere ancora di fronte a una tale aberrazione. Era necessario che questi errori venissero alla luce per poter evitare che altre persone ne dovessero soffrire. Non si vuole in alcun modo giudicare chi ha commesso tali abusi e le loro intenzioni. Ma il fine non giustifica i mezzi e le buone intenzioni non santificano gli errori.
Il lavoro del commissario pontificio, sr. Marisa Adami, e del suo assistente padre Amedeo Cencini, è stato encomiabile. Durante due anni hanno cercato di aiutare le persone rimaste nell’opera a diventare consapevoli del plagio subito per poter eventualmente salvare la Comunità, con una rifondazione scevra degli errori emersi. Ma tale fatica si è rivelata vana e l’impegno profuso sterile, al punto che il Decreto della Congregazione Vaticana afferma che “l’associazione Comunità Regina Pacis non mostra di aver acquisito una maturità carismatico-istituzionale che possa assicurare un sano sviluppo per il futuro”.
Le attività caritative in Brasile verranno portate avanti fino alla fine dell’anno scolastico, cercando poi un modo di farle proseguire.
Come ha scritto il Vescovo di Verona Mons. Zenti, siamo chiamati ad accettare questa decisione in spirito di obbedienza, “certamente riconoscendo il bene che è scaturito da questa esperienza di vita, ma riconoscendo e accettando in questa decisione della Chiesa anche un indirizzo chiaro di comportamento e di stile di vita. Così come ci ricorda anche S. Agostino: «Non può avere Dio per padre chi non ha la Chiesa per madre»”.
Dio è capace di trarre il bene anche da situazioni ambigue e da intenzioni non pure, ma questo non ci esime dal cercare sempre la verità e dal condannare con chiarezza e fermezza gli errori, come ci insegna la Chiesa con questa dolorosa e coraggiosa decisione.
MARCO RINALDI