Mazzotti Marco
Le commissioni diocesane per la tutela dei minori
2021/10, p. 19

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Testimoni
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INTERVISTA A DON UGOLINI
Le commissioni diocesane
per la tutela dei minori
Le commissioni hanno il compito di promuovere e realizzare programmi di informazione e di formazione per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Inoltre di offrire consulenza e supporto competente sia per l’Ordinario e i suoi collaboratori sia per la/il responsabile del Centro di ascolto che accoglie le segnalazioni.
Don Gottfried Ugolini è un prete e psicologo della Diocesi di Bolzano-Bressanone. Dal 2010 si occupa del tema degli abusi e della tutela delle persone più fragili. Attualmente è responsabile del Servizio di tutela per i minori e le persone vulnerabili della sua Diocesi. Dal 2019 è responsabile anche per il Triveneto e fa parte del consiglio di presidenza del Servizio nazionale della CEI.
- Don Ugolini, cosa sono le commissioni diocesane per la tutela dei minori?
Con la pubblicazione delle Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili della Conferenza Episcopale Italiana sono stati promossi i Servizi diocesani e regionali. Esse prevedono, oltre a un responsabile diocesano, l’istituzione di una commissione diocesana. Questa è composta da esperti, uomini e donne, chierici, religiosi/religiose e laici con competenze pastorali, pedagogiche, psicologiche, psichiatriche, giuridiche, canonistiche e sociali. Il responsabile, come pure i membri della commissione diocesana, viene nominato e incaricato dall’Ordinario per tre anni. La presenza di esperti indipendenti dalla gerarchia diocesana è essenziale per garantire un lavoro qualificato e trasparente.
Il loro compito è duplice: prima di tutto è quello di promuovere e realizzare programmi di informazione e di formazione per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Essi mirano a favorire la prevenzione di abusi di potere, di coscienza e sessuale e di altre forme di violenza. Inoltre, intendono qualificare il personale pastorale ed educativo nelle varie aree ecclesiali per riconoscere e intervenire tempestivamente se ci sono sospetti e segni di abuso e di violenza subita. Altrettanto aiutano a identificare atteggiamenti e comportamenti inappropriati nei riguardi dei minori e delle persone vulnerabili.
Un secondo compito della commissione diocesana è quello di offrire consulenza e supporto competente sia per l’Ordinario e i suoi collaboratori sia per la/il responsabile del Centro di ascolto che accoglie le segnalazioni.
- In cosa consiste il vostro lavoro? A che punto siamo in Italia con questa rete?
Oltre al Servizio diocesano, c’è quello regionale (che è a supporto del primo) e infine c’è il Servizio Nazionale per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili. In quasi tutte le diocesi italiane, a volte anche più diocesi insieme, hanno istituito il Servizio con un referente diocesano, la commissione composta da esperti e, in molte, anche il Servizio di Ascolto con un responsabile. Essi si sono forniti di statuti o regolamenti. Le informazioni sui servizi diocesani, le persone addette e i rispettivi regolamenti si trovano sui siti delle diocesi. Con l’istituzione dei servizi si è avviata una campagna di informazione e di sensibilizzazione insieme a un forte messaggio, da parte della Chiesa, di confrontarsi attivamente e responsabilmente con la piaga degli abusi e della violenza sia all’interno della Chiesa stessa che nella società, trattandosi di un fenomeno sociale.
Sia a livello diocesano che a livello regionale si sono avviate tante iniziative di informazione e di sensibilizzazione attraverso comunicazioni, convegni e interviste. Attualmente il lavoro centrale è quello della formazione del personale ecclesiale su tutti i livelli e per tutte le aree pastorali, inclusi i movimenti, le associazioni e le istituzioni.
Il Servizio Nazionale ha pubblicato tre sussidi. Il primo, Le ferite degli abusi, presenta informazioni generali, il secondo, Buone prassi e prevenzione e tutela dei minori in parrocchia, offre indicazioni e suggerimenti pratici da applicare in tutte le aree pastorali, e il terzo, La formazione iniziale in tempo di abusi, si rivolge alle formatrici e ai formatori nei seminari e nei noviziati e inoltre ai docenti nelle varie realtà di formazione teologica, pastorale e spirituale.
- Cosa si intende per «abuso»? Come ascoltare e accogliere la testimonianza ferita di una vittima d’abuso?
Parliamo di abuso quando in una relazione asimmetrica una persona sfrutta il potere connesso con la sua posizione di superiorità o di autorità per appagare bisogni personali a scapito dell’altra persona che non è in grado di sottrarsi e di dare il suo consenso. L’abuso è una forma di maltrattamento e include anche la trascuratezza. Ci sono varie forme di abuso: fisico, psicologico, emotivo, mentale, sociale, sessuale, spirituale e materiale. Ogni abuso è abuso di potere e della fiducia che sta alla radice. L’abuso riguarda sempre la persona nella sua interezza, integrità, originalità e dignità. Lascia una ferita esistenziale oltre alle ferite fisiche e psicologiche.
Se l’abuso viene perpetrato da un sacerdote o da una persona consacrata, spesso attuato in ambienti ecclesiali e non di rado legittimato da motivi di fede, la persona vittima dell’abuso subisce una grave ferita nella sua dimensione religiosa, nel suo rapporto con Dio e nella sua appartenenza alla Chiesa.
Un abuso avviene sempre in un contesto che lo permette e che lo copre. Perciò tutto l’ambiente, tutta la Chiesa, deve chiedersi come mai è stato possibile che siano avvenuti e che avvengano tra di noi e che cosa li può aver impediti. È necessaria una conversione radicale di tutta la Chiesa, come ci ammonisce papa Francesco nella sua famosa Lettera al popolo di Dio del 2018.
Il Papa ci ricorda che il grido inascoltato delle persone vittime di abusi e altre forme di violenza è salito a Dio, che ci dimostra da che parte egli sta e anche noi siamo chiamati a stare. Fa parte del nostro atteggiamento originale di cristiani dare ascolto alle persone ferite. La nostra disponibilità per l’accoglienza, l’ascolto e l’accompagnamento delle nostre sorelle e dei nostri fratelli vittime e/o sopravvissuti di ogni forma di abuso e violenza sono cruciali e determinanti. Spesso ci raccontano che non sono state ascoltate, né capite e prese sul serio, né difese. A volte sono state accusate di essere state loro la causa dell’abuso, di averlo provocato, e di conseguenza sono state colpevolizzate, punite o abbandonate a se stesse. L’ascolto delle persone vittime o sopravvissuti di abusi richiede una presenza capace di reggere il racconto. È richiesto soprattutto un ascolto compassionevole, attento e empatico. L’empatia dev’essere equilibrata in modo da offrire la vicinanza necessaria, mantenendo le dovute distanze, soprattutto fisiche, per esprimere il rispetto e garantire la sicurezza. Nell’ascoltare una testimonianza è importante rispettare il ritmo di chi racconta, evitando ogni atteggiamento inquisitorio. Una presenza rassicurante e protettiva favorisce un’atmosfera di accoglienza, viste le difficoltà, le paure e le preoccupazioni connesse con la rivelazione dell’abuso. È da apprezzare il coraggio per superarle e per aprirsi a qualcuno. Infine sono da offrire tutte le informazioni necessarie affinché la persona abusata possa fare i passi per ricevere il supporto necessario di cui ha bisogno e per ottenere la giustizia di cui ha diritto.
- Lei dice spesso che la realtà dell’abuso «passa per la quotidianità» e interseca la dimensione sistemica e sociale: cosa significa?
L’abuso non è qualcosa che accade a caso o in modo isolato. Se ci vuole un villaggio per educare un bambino, come dice un proverbio africano, ci vuole anche un villaggio per abusare un bambino. Sappiamo dalla criminologia che nei quartieri o villaggi dove la vita sociale è sufficientemente sviluppata e attiva, avvengono meno crimini. Questo significa che ci vogliono più di due persone per attuare una qualsiasi forma di abuso. È coinvolto tutto il contesto sociale, la mentalità, la cultura, le strutture, i valori e le norme sociali, le leggi, le tradizioni e le concezioni che abbiamo dei bambini, della sessualità, della mascolinità e femminilità, e così via... Nell’ambiente ecclesiale sono le concezioni del sacerdozio e delle persone consacrate, la differenza tra clero e laici, l’immagine della Chiesa e delle sue strutture, le forme di supervisione, la verifica, l’etica professionale, il Diritto canonico, le concezioni pastorali, liturgiche e spirituali… che possono favorire o impedire un ambiente abusante. La realtà dell’abuso in tutte le sue forme passa per la quotidianità. È qui che inizia la tutela dei minori e la prevenzione di abusi e altre forme di violenza su minori e persone vulnerabili. L’abuso è una piaga sociale sin dagli inizi dell’umanità e presente in ogni realtà culturale e sociale indipendentemente dalla religione. Perciò è necessario tener presente che, se una su cinque ragazze e uno su dodici ragazzi hanno subito l’uno o l’altra forma di abuso, in tutte le nostre realtà ecclesiali e sociali abbiamo una presenza sia di persone vittime e sopravvissuti e, allo stesso modo, di persone che hanno tentato e che hanno attuato un abuso.
Questo esige e comporta un cambiamento di mentalità, per promuovere una cultura di vita e non di morte, una cultura di attenzione, di impegno e di responsabilità su tutti i livelli e su tutti i fronti della Chiesa e della società. Se sappiamo che la maggior parte degli abusi avviene nell’ambiente familiare e da persone conosciute alle vittime e ai sopravvissuti, sono da rivedere, per esempio, la pastorale familiare, l’educazione sessuale, l’educazione alla non violenza, le competenze genitoriali, la formazione dei formatori, degli educatori e degli agenti pastorali.
È da rivedere anche il linguaggio liturgico e dell’annuncio, e le forme di accompagnamento pastorale e spirituale. A volte sembra che ci voglia un ABC delle competenze di base, come la capacità relazionale, il rispetto dell’alterità, la responsabilità per il bene comune, la capacità di comunicare, di dialogare, di ascoltare, di dare e ricevere critiche, di affrontare e di risolvere conflitti e di trovare consenso, e infine l’etica professionale come espressione di autenticità, di trasparenza e di competenza di ciò che uno fa a livello personale e a livello di ruolo.
- Qual è la difficoltà più grande che incontrate nel vostro servizio?
Una delle difficoltà più grandi è la resistenza nell’accettare e di conseguenza di affrontare la realtà degli abusi, sia quelli remoti che quelli recenti. Questa resistenza si riscontra in tutti gli ambienti e su tutti i livelli ecclesiali ma altrettanto nella società. A volte sono anche le vittime e i sopravvissuti stessi o le loro famiglie a non voler procedere a segnalare al centro di ascolto o fare una denuncia alle autorità civili. Il problema si aggrava quando ci sono superiori che negano la realtà dell’abuso assumendo atteggiamenti difensivi, e di conseguenza perdono di vista sia le persone vittime o sopravvissute, sia altre potenziali vittime, come pure le persone che abusano, permettendo loro di continuare, nonostante trasferimenti o altri incarichi. Alla base sta un latente clericalismo, non soltanto negli ambienti clericali ma anche negli istituti religiosi, nei movimenti e nelle associazioni, non di rado sostenuto anche da parte dei laici.
Si fa fatica a riconoscere tutta la gamma di forme di abuso e di violenza, fissandosi esclusivamente sulle forme più gravi dell’abuso sessuale, senza considerarlo come un crimine. Altra fatica è quella di riconoscere la dimensione strutturale e sistemica dell’abuso. Alcuni tendono tutt’ora a vedere l’abuso come qualcosa che è successo tra due persone. Della persona abusante vengono evidenziati l’aspetto psicologico e morale del suo agire. Alcuni considerano il suo agire patologico o uno scivolamento. Questa visione riduzionistica, insieme alla negazione della realtà dell’abuso, impedisce di promuovere un cambio di cultura per sradicare il male dell’abuso in tutte le sue forme e di avviare programmi per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili e per la prevenzione di abusi e altre forme di violenza.
- Con chi fa rete nel suo lavoro?
Il lavoro in rete è cruciale ed essenziale, soprattutto con esperti ed enti indipendenti dalla Chiesa. L’abuso è un problema sociale che non riguarda soltanto la Chiesa. Di conseguenza è importante affrontarlo insieme, collaborando con altri enti sociali privati che si impegnano in questo campo. In concreto collaboriamo, oltre che con le associazioni e istituzioni ecclesiali e gli istituti religiosi, con la Garante per l’infanzia e l’adolescenza, con l’associazione Forum prevenzione (che ha attivato una rete contro la violenza dove sono presenti quaranta diverse associazioni), con il servizio di consulenza e informazione per i giovani Young+Direct, con i servizi psicologici, con i consultori familiari, con l’Università libera di Bolzano e con la Provincia che ha formato un tavolo istituzionale contro la violenza sessuale e altre realtà. Con la Procura sono stati avviati i contatti per una collaborazione. L’arricchimento del lavoro in rete è prezioso sia per il servizio diocesano, sia anche per le altre realtà, che vedono una Chiesa impegnata e pronta a lasciarsi aiutare.
Inoltre, ci permette di avere uno sguardo esterno su ciò che facciamo, uno scambio di competenze e risorse e la possibilità di un riscontro. Il lavoro in rete ci permette anche di conoscere altre realtà che hanno già esperienze pluriennali e che hanno avviato programmi di prevenzione e di intervento in diverse aree. Lavorando in rete cresce la solidarietà e si favorisce il confronto tra teorie e prassi, sviluppando approcci e programmi più adeguati nella tutela e prevenzione come servizio prioritario della Chiesa stessa. In tutto questo siamo solo agli inizi, ma il dolore delle persone vittime e sopravvissuti di abusi e il loro coraggio di rivelare la sofferenza insieme al male ci motiva a continuare. La prospettiva è quella del buon samaritano, che si è fermato per venire in soccorso del viandante ferito coinvolgendo poi altri. Questo può portare a un cambiamento di cultura nella Chiesa e nella società: ci offre una speranza pasquale.
Marco Mazzotti