La cultura della cura
2021/10, p. 17
Sono passati sei anni dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, la seconda del suo pontificato. Il documento è stato al centro dell’Anno speciale di anniversario, indetto nel 2020 a cinque anni dalla pubblicazione.
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RIFLESSIONE E CONTEMPLAZIONE SULLA LAUDATO SI’
La cultura della cura
Sono passati sei anni dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, la seconda del suo pontificato. Il documento è stato al centro dell’Anno speciale di anniversario, indetto nel 2020 a cinque anni dalla pubblicazione.
Nella storia delle encicliche “sociali”, iniziata nel 1891 con la Rerum novarum di papa Leone XIII, il documento di papa Bergoglio occupa il decimo posto. In un breve corso (25-28 agosto 2021) - intitolato «La cultura della cura per un percorso di umanizzazione. Riflessione e contemplazione sulla Laudato si’» - p. Giuseppe Casetta, abate generale dei Monaci vallombrosani, ne ha proposto una profonda rilettura definendola una vera e propria “enciclopedia ecologica”. Ne diamo una sintesi rileggendo alcuni passaggi significativi.
La coscienza di vivere in una “casa comune”
Il punto centrale odierno della questione sociale è la relazione tra il potere di azione e di manipolazione dell’essere umano e l’ambiente in cui la vita ha luogo. L’accelerazione del processo è tale da rendere urgente una ‘conversione’ dell’agire, per evitare un disastro. Il rischio è quello di finire schiacciati da quel circuito “demoniaco” che combina l’aumento indiscriminato e illimitato dell’efficienza del sistema (potenza) con l’espansione senza vincoli della soggettività (volontà di potenza). Un individualismo sempre più radicalizzato afferma l’Io come entità assoluta e isolata, mentre, di fronte a sistemi tecnici sempre più avanzati, veloci e complessi, la vita umana appare essere sproporzionatamente fragile e limitata. Le conseguenze dello spirito di dominio e di negazione delle relazioni fondanti sono così descritte dal teologo Pierangelo Sequeri (Avvenire, 19/6/2015): «Nell’interesse per la casa comune si è aperta una falla consistente, della quale il buco dell’ozono è per così dire una metafora. Nel contesto odierno, la proiezione di questa epidemia è fatalmente globale: non la fermi aggravando i controlli agli aeroporti. Se il mondo della natura diventa una semplice riserva di materie prime, e si vogliono società di individui senza comunità di spiriti e circolazione di doni, tutto ciò che è comune è destinato a riempirsi di crepe, di rifiuti, di scarti. Materiali e umani».
Dalla rivoluzione industriale iniziata alla fine dell’Ottocento assistiamo a un’enorme modifica della relazione tra l’umano e l’ambiente: si dice che siamo entrati nell’Antropocene, l’era in cui l’essere umano – grazie a una progressiva creazione di un sistema tecno-economico organizzato e integrato su scala planetaria – è sempre più in grado di intervenire sui processi naturali e biologici. Una condizione nuova, che attribuisce all’uomo una responsabilità senza precedenti, capace di affrontare gli effetti distruttivi di un antropocentrismo impazzito. Gli scienziati intervengono spesso per diventare consapevoli che ormai siamo dentro la sesta era di estinzione. La quinta avvenne 65mila anni fa quando i dinosauri, dominatori del pianeta per 150 milioni di anni, si estinsero, principalmente per gli effetti di un asteroide caduto sulla terra. In questa sesta estinzione di massa, sono gli umani a prendere il posto degli asteroidi!
Ci vuole dunque un’umanità all’altezza dei tempi che, come afferma papa Francesco, inauguri una “sinodalità ecologica”. Ci vuole un uomo nuovo che metta al centro la relazione, ricomponendo l’Io con la cura del contesto, l’organizzazione dei sistemi con le esigenze dell’ecosistema, le certezze scientifiche con lo spazio del mistero. In effetti il mondo è un organismo vivente dove tutto è connesso (cf. Raimon Panikkar). Nei racconti di creazione contenuti nel libro della Genesi si evidenzia già come la creatura umana si sviluppa all’interno di una triplice relazione: con Dio, con il prossimo e con il creato. L’uomo arriva solo dopo la creazione degli altri esseri viventi: Dio così chiama l’umanità a dare un contributo decisivo nel preservare quanto la precede e che le è stata trasmessa in eredità. L’uomo insomma non può costituirsi come autore del disegno originario di Dio, ma può solo ricevere il creato come dono. L’uomo e la donna non sono burattini nelle mani di Dio, ma sono collocati nel giardino con il duplice compito di coltivarlo e custodirlo (Laudato si’ 67).
Il posto dell’uomo nel mondo
Occorre superare l’alternativa tra un antropocentrismo anti-ecologico e un ecologismo anti-umano, superando sia la divinizzazione della natura sia la decostruzione dell’umano. A partire dalla considerazione che “nulla si dissolve, nulla si distrugge, nulla si domina, tutto si integra”, solo una ecologia integrale individua ciò che tiene uniti fenomeni concepiti come separati, a partire dalla giustizia sociale e dall’ambiente. L’umano può essere compreso appieno solo nell’orizzonte di una comunità del creato ampia e accogliente. Esso può crescere in modo autentico solo se sa sviluppare «l’amorevole consapevolezza di non essere separati dalle altre creature, ma di formare con gli altri esseri dell’universo una stupenda comunione universale. Per il credente, il mondo non si contempla dal di fuori ma dal di dentro, riconoscendo i legami con i quali il Padre ci ha unito a tutti gli esseri» (LS 220). Per credenti e non credenti il modo migliore per collocare l’essere umano al suo posto, mettendo fine alla pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è riproporre sempre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altrimenti l’essere umano tenderà sempre a voler imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi. In questo orizzonte si concretizza la responsabilità nei confronti del creato: prima dell’impegno etico viene il riconoscimento del “dono” consegnato nelle nostre mani. Siamo di fronte a un dover essere e perciò occorre una educazione alla “custodia” reciproca. Un’ecologia integrale è tale se tiene insieme dono e donatore.
Le declinazioni della cura
Secondo lo psicanalista Massimo Recalcati, nella narrazione biblica l’amore per il prossimo viene dopo il gesto di Caino, che senza pietà sparge sulla terra il sangue del fratello. È da questo gesto che ha inizio la storia dell’umanità. «Sappiamo che l’amore per il prossimo è l’ultima parola e la più fondamentale a cui approda il logos biblico. Essa viene dopo il gesto di Caino… Il primo atto dell’uomo fuori dal giardino dell’Eden è quello della violenza fratricida. Non l’amore per il prossimo, non la gratitudine verso Dio o per il creato, non la solidarietà e la fratellanza, non l’amicizia e l’amore» (cf. “Il gesto di Caino”, Einaudi 2020). Sempre secondo la Bibbia, la cura di Mosè verso il suo popolo nasce dallo stesso gesto omicida verso l’egiziano, ma il Signore lo ricrea come servo per prendersi cura della sua gente. Perciò i profeti di Israele più volte annunceranno che in realtà è il Signore a prendersi cura della sua “vigna”: «Io, il Signore, ne sono il guardiano, e ogni istante la irrigo; per timore che la si danneggi, ne ho cura giorno e notte» (Isaia 27,2-3). Nella storia del cristianesimo troviamo la ricaduta di questa visione nella spiritualità di S. Benedetto (ora, lege et labora), che si esplicita come educazione alla cura nella pratica di ben individuati stili di vita.
I cristiani in particolare hanno la grande possibilità di assumere lo sguardo contemplativo di Gesù, che non appare certo un asceta separato dal mondo. L’apostolo Paolo ci offre una rivelazione “cosmica” riguardante il Cristo: «Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose, nei cieli e sulla terra… Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono». (Colossesi 2,15-17). Dio in Cristo consolida e conserva la sua creazione facendola evolvere. La cura della creazione da parte di Gesù si manifesta chiaramente nel quotidiano. Per seguire la sua Via e condividere il suo amore verso tutte le cose, anche i suoi discepoli sono chiamati ad esercitarsi alla prossimità, alla solidarietà, alla compassione, all’ascolto e alla perseveranza. Una via possibile è anche quella di promuovere semplici contesti, nei quali si mette alla prova la capacità di avere cura di sé, di quelli con i quali siamo legati attraverso forti relazioni, e poi di prendersi cura degli animali, delle piante, del mondo geofisico, del mondo degli artefatti umani e del mondo delle idee. «Non di apprendimenti verbali ha bisogno l’educazione etica, ma di allestire ambienti educativi ad alto tasso esperienziale» (cf Luigina Mortari “Educazione ecologica” Einaudi 2020).
La Laudato si’ - nella parte dedicata all’educazione e alla spiritualità ecologica – ci rinvia alla radice di una cura che diventa nuovo stile di vita: «È sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da se stessi verso l’altro. Senza di essa non si riconoscono le altre creature nel loro valore proprio, non interessa prendersi cura di qualcosa a vantaggio degli altri, manca la capacità di porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che ci circonda. L’atteggiamento fondamentale di auto-trascendersi, infrangendo la coscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende possibile ogni cura per gli altri e per l’ambiente, e fa scaturire la reazione morale di considerare l’impatto provocato da ogni azione e da ogni decisione personale al di fuori di sé. Quando siamo capaci di superare l’individualismo, si può effettivamente produrre uno stile di vita alternativo e diventa possibile un cambiamento rilevante nella società».
MARIO CHIARO