La preghiera: dono e cammino
2021/10, p. 14
Nel parlare della spiritualità della preghiera, almeno in questa riflessione che vuole essere introduttiva ad una serie ben strutturata che, a Dio piacendo, offriremo ai lettori nei prossimi mesi, non possiamo non riferirci alla nostra personale esperienza
di Benedettine dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento.
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La preghiera: dono e cammino
Nel parlare della spiritualità della preghiera, almeno in questa riflessione che vuole essere introduttiva ad una serie ben strutturata che, a Dio piacendo, offriremo ai lettori nei prossimi mesi, non possiamo non riferirci alla nostra personale esperienza di Benedettine dell’adorazione perpetua del SS. Sacramento. La Regola di san Benedetto, caratterizzata sin dal Prologo dalla certezza che Dio è presente dappertutto, fa leva sull’importanza di stare davanti alla maestà divina che è non solo del monaco, ma di ogni cristiano. La preghiera contraddistingue comunque ogni uomo, qualsiasi sia il suo sentire religioso, perché per sua natura egli è l’essere aperto alla preghiera, al dialogo con Qualcuno o Qualcosa che lo trascende e che lo avvolge.
Per noi cristiani la preghiera è lode, adorazione, ringraziamento, contrizione, richiesta, intercessione, ma anche introspezione, lavorio. È quell’orazione fatta nel “segreto” a cui Gesù invita ogni discepolo: «Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto» (Mt 6,6). Nell’intimità di noi stessi incontriamo Dio e ciò che veramente siamo. È vero che ci apriamo alla grazia della preghiera nella nostra esperienza personale, ma ancor più nella Chiesa, nella celebrazione comunitaria della liturgia, guidati dalla Scrittura e fortificati dai Sacramenti, in quel cammino verso la santità da percorrere con tutti i fratelli e sorelle nella fede.
La porta chiusa e la segretezza cui allude il Vangelo è inoltre chiaro rimando all’interiorità della persona chiamata a rientrare in se stessa, nel proprio “castello interiore” per dirla con santa Teresa d’Avila, dunque in quella dimensione del silenzio che favorisce il contatto con Dio che parla al cuore. Come aveva ben detto san Paolo VI, «è il silenzio che forma il deserto nell’anima che è in ascolto di Dio». Tutto questo oggi è più che mai necessario in quel contesto della “virtualità” che alimenta invece la dispersione, la deconcentrazione, l’evasione, la frammentazione dell’io. Come sottolineava anni fa il priore della certosa di Serra San Bruno, Jacques Dupont, «si deve fare silenzio per poter scoprire in sé le radici profonde del rapporto con Dio, che è essenzialmente una relazione d’amore».
Il silenzio ci riconcilia con la nostra interiorità, ci mette in atteggiamento di ascolto, ci abilita alla risposta, diventa la culla dove sedimentano le nostre esperienze, il centro dove si annodano i tanti fili delle nostre percezioni, dei pensieri, delle passioni… Ancor più per il cristiano, così come per il monaco, il silenzio non è isolamento, mutismo. Il silenzio è continua attesa e possesso, tensione e riposo, fare il vuoto di sé, delle parole inutili, delle troppe interferenze per conoscersi in profondità. Tutto questo ci mette al sicuro da quella che già, secoli fa, veniva definita come “accidia”, cioè un’indolenza spirituale, e a volte anche fisica, che mina alle basi la conduzione di una esistenza piena, appagata, libera e pacificata. Importante è curare o recuperare la salutare armonia con se stessi, con Dio, con gli altri e con la natura.
Come cristiane e come monache ci aiuta tanto il tempo che possiamo passare in preghiera. Un appuntamento atteso, cercato, assaporato, difeso con tutte le forze dal nemico della pigrizia, delle distrazioni, dell’umore del momento. La preghiera, infatti, non va vissuta come un momento emotivamente appagante: ne rimarremmo presto ben delusi. Non è questione di trasporto estatico – che potrebbe esserci – né ricerca di quieto vivere, ma ascolto, risposta, adesione, consegna… È un momento imprescindibile che ci pone davanti a Dio e davanti a noi stessi, a ciò che si agita o si rasserena dentro di noi, opportunità di lucida rappacificazione, di raccordo, di convoglio dei pensieri, sentimenti, impegni, bisogni ecc. È il riverbero che dalla preghiera si irradia a consolidare la pace interiore. Innanzitutto partendo dalla Parola di Dio. È di grandissimo aiuto infatti ritornare sui brani della Bibbia che la liturgia, durante la Messa e la celebrazione delle ore, ci ha messo davanti: una Parola viva che raggiunge, coinvolge e dà senso al nostro andare. È una Persona reale quella che ci parla e ci mette in dialogo con Sé e con noi stessi. E soprattutto la Persona che ci ama, più di chiunque altro.
Possono essere inoltre di sostegno alcuni autori spirituali che si prediligono e che ci chiarificano ulteriormente; una sorta di anime gemelle che ci fanno sentire “unici” nella nostra specificità personale e allo stesso tempo non soli, isolati. Sotto lo sguardo di Maria, nella comunione dei Santi e con chi ci vive accanto, attenti alle vicende della storia, sperimentiamo di procedere tutti in cordata. Siamo insieme, adesso e qui, con i nostri tanti limiti ma soprattutto con le tante potenzialità che il Creatore ci ha dato perché ciascuno possa contribuire a rendere più bella la società.
La preghiera è un dono che viene dall’Alto ma anche un cammino da fare. Essa scaturisce prima di tutto dal fare esperienza dell’amore di Dio per noi e dal voler ricambiare - pur nella nostra povertà creaturale altresì redenta - la misericordia e la benevolenza di questo Padre che ci raggiunge nell’intimo e nella comunità dei fedeli. La preghiera è tale però se apre alla comunione con i fratelli, se sfocia nella carità e la alimenta.
La preghiera è prendersi a cuore le sorti del prossimo, di ogni uomo, perché al Signore vanno presentati anche i sogni e i problemi del mondo, quanto accade quotidianamente. La nostra priora emerita, madre Giovanna Caracciolo, tornata alla casa del Padre nel 2018, aveva ribattezzato il monastero «la banca della preghiera» dato il numero crescente di richieste che arrivano da un’umanità sempre più sofferente. Richiamiamo a proposito quanto scrive papa Francesco al n. 16 della Costituzione apostolica sulla vita contemplativa femminile, Vultum Dei quaerere firmata il 29 giugno 2016: «Attraverso la preghiera di intercessione, voi avete un ruolo fondamentale nella vita della Chiesa. Pregate e intercedete per tanti fratelli e sorelle che sono carcerati, migranti, rifugiati e perseguitati, per tante famiglie ferite, per le persone senza lavoro, per i poveri, i malati, per le vittime delle dipendenze […]. Attraverso la preghiera voi, giorno e notte, avvicinate al Signore la vita di tanti fratelli e sorelle che per diverse situazioni non possono raggiungerlo […]. Con la vostra preghiera potete guarire le piaghe di tanti fratelli». Non è tuttavia un compito affidato soltanto alle monache o ai consacrati; tutti devono sentirsi interpellati. Etty Hillesum, ebrea morta a ventotto anni nelle camere a gas di Auschwitz, aveva annotato proprio alla fine del suo diario che «si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite». E Dio sa quante ferite ogni figlio e figlia portano in sé!
Cominciamo pertanto dalla preghiera.
Suor MARIA CECILIA LA MELA, OSBAP