Antoniazzi Elsa
57ma sessione ecumenica del SAE a Camaldoli : «Racconterai a tuo figlio. Le parole della fede nel succedersi delle generazioni».
2021/10, p. 13
Le settimane di formazione del Segretariato Attività Ecumeniche sono una tradizione consolidata per l’esperienza ecumenica, come importante è il contributo del SAE: all’inizio era esperienza profetica, ora continua ad essere luogo di riflessione per un cammino comune delle Chiese.

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57ma sessione ecumenica del SAE a Camaldoli : «Racconterai a tuo figlio. Le parole della fede nel succedersi delle generazioni».
Le settimane di formazione del Segretariato Attività Ecumeniche sono una tradizione consolidata per l’esperienza ecumenica, come importante è il contributo del SAE: all’inizio era esperienza profetica, ora continua ad essere luogo di riflessione per un cammino comune delle Chiese.
L’offerta fatta ai soci e a chiunque voglia partecipare è sempre ricca, e anche quest’anno lo è stata. (25-31 luglio). Bisogna sottolineare che queste settimane sono in sé un’esperienza positiva e importante per chi voglia cominciare a pensare in modo ecumenico. L’ascolto comune con il dibattito, i laboratori in gruppi più ridotti e l’inevitabile condivisione dei momenti non assembleari sono occasione di incontro.
Ci si conosce e si può comprendere, mentre ci si rapporta si tocca con mano come l’esercizio di un’amicizia tra credenti di diverse confessioni non sia un atto privato, ma abbia una valenza pubblica, per così dire, anzi ecclesiale. I passi piccoli o grandi che si possono fare, e che ci interpellano, a livello di confronto teologico e di rapporti tra alti esponenti delle Chiese non hanno vita se un popolo non si abitua a pensare ecumenicamente. E questo vuol dire abituarsi a comprendere che la separazione, nata da tristi momenti di divisione, ora è una realtà che può diventare ricchezza.
Potremmo quasi dire che il Signore, nella sua pazienza, ci offre ancora la possibilità di un cammino comune. Superata la contrapposizione, abbandonata la volontà di assimilazione, resta il faticoso, bell’ esercizio del cammino nel reciproco arricchimento che non evita la domanda: perché così?
Quanto poi la situazione ci faccia vivere un cammino che ha i medesimi tratti è lampante. Il tema di quest’anno, «Le parole della fede nel succedersi delle generazioni» è il primo tempo di una riflessione sulla trasmissione della fede che vede in difficoltà tutti.
La densità delle relazioni non può essere ripresa, per questo non c’è che attendere l’uscita degli atti.
Possiamo riprendere solo qualche parola in cui i diversi interventi si sono ritrovati.
La prima è vicinanza: degli adulti con i più giovani, ma anche dei giovani tra di loro. L’essere insieme permette di compiere gesti, pure semplici, che comunque diventano testimoniali e educativi. Significativo che la pastora metodista Ulrike Jourdan sia disinvoltamente passata dall’esperienza di madre a quella del suo compito ecclesiale per dimostrare e mostrare questo stile.
Stare vicini è esercizio di cesello, perché attento alle diverse pieghe del mondo in cui viviamo e che non ha soluzioni univoche. Interessante a questo proposito la diversa posizione circa l’importanza dell’uso dei social per l’annuncio tra il giovane Daniele Parizzi, monitore valdese, che era guardingo, e il parroco ortodosso Ionut Radu, più ottimista. Sono anche differenze trasversali, ma certo le diverse attenzioni portano con sé i mondi in cui ciascuno vive la propria fede. Senza cadere in stereotipi possiamo dire che è bello riconoscere l’attenzione tipica di ciascuna Chiesa declinarsi nel vissuto e nella riflessione su di esso.
Alla fine potrebbe comunque apparire fatica quasi inutile: un grande impegno che porta a poco. Era facile far sorgere un senso di abbattimento. Invece la speranza, è stata praticata cercando di riconoscere i tratti pasquali di questo nostro tempo e sostenendo la preoccupazione per la responsabilità della narrazione.
Con coraggio è stata proposta la testimonianza di Valeria Khadija Collina, mussulmana, il cui figlio Youssef Zaghba è morto mentre compiva l’attentato al London Bridge. Una trasmissione di fede comunque interrotta, perché non era questo l’Islam vissuto e insegnato. Il suo toccante discorso ha sottolineato quanto sia importante offrire ai giovani, “maestri” e soprattutto una vera conoscenza della propria fede.
Un disincanto non paralizzante. Per chi non è più giovane c’è la fatica, dolorosa, di congedarsi da forme di chiesa in cui la trasmissione era semplice, in un mondo che sapeva ancora di cosa si stava parlando. Un episodio ci racconta dell’oggi: la bimba di una normale famiglia italiana risponde alla domanda sul numero degli apostoli che sono 44, come i gatti – aggiungiamo -. L’immaginario ha supplito una non- conoscenza totale, pur vivendo in un contesto di debole frequentazione, ma non alternativo al mondo cristiano.
Non bisogna essere molto anziani per riconoscere che si è nella forma moderna, in senso storico, della struttura ecclesiale che ci ha dato molto. Ora, però, con umiltà e da pellegrini, ci è stato indicato di ripartire dalle case ( così Cettina Militello), e comunque partire da una prossimità semplice ed immediata e pian piano tornare a costruire un tessuto evangelico che ama ed accoglie, forte della memoria della Pasqua del Signore.
Lo studio di Serena Nepi: «Mi dor le-dor» (di generazione in generazione) e quello di Lidia Maggi e Angelo Reginato: «Gesù l’ultima genealogia» hanno offerto la via perché il ripartire dalle case non diventi slogan. Proprio il darsi delle diverse generazioni, l’accogliere il proprio passato e l’apertura al futuro, è ancora, come dagli inizi, luogo della benedizione di Dio ed esperienza assolutamente umana.
ELSA ANTONIAZZI