Mastrofini Fabrizio
Dialogo, accoglienza, fratellanza
2021/10, p. 1
A Budapest, nelle poche ore di presenza in Ungheria e poi da Bratislava e dalle altre località slovacche visitate da Papa Francesco dal 12 al 15 settembre, sono arrivati messaggi convergenti, per i vescovi, per la società intera: attenzione, dialogo, fratellanza.

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Testimoni
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Il Papa in Ungheria e Slovacchia
Dialogo, accoglienza, fratellanza
A Budapest, nelle poche ore di presenza in Ungheria e poi da Bratislava e dalle altre località slovacche visitate da Papa Francesco dal 12 al 15 settembre, sono arrivati messaggi convergenti, per i vescovi, per la società intera: attenzione, dialogo, fratellanza.
Ai vescovi ungheresi Papa Francesco ha rivolto parole chiare: siate sempre (sempre!) attenti ai vostri sacerdoti. E poi: «Davanti alle crisi, sociali o ecclesiali, possiate sempre essere costruttori di speranza. Come vescovi del Paese, avere sempre parole di incoraggiamento. Non si trovino sulle vostre labbra espressioni che segnano distanze e impongono giudizi, ma che aiutino il Popolo di Dio a guardare con fiducia al futuro, aiutino le persone a diventare protagoniste libere e responsabili della vita, che è un dono di grazia da accogliere, non un rompicapo da risolvere».
Il filo conduttore del viaggio
In realtà il filo conduttore ecclesiale e sociale del viaggio è stato unico: dialogo, accoglienza, fratellanza. Un motivo ribadito al primo ministro ungherese Viktor Orbán – come sottolineano le scarne informazioni diramate – ma ampliato in tutte le occasioni. Se la politica è prevenuta e forse a volte sorda – sembra pensare papa Francesco – allora sarà il caso di ribadire il messaggio cristiano di accoglienza e fratellanza in tutte le altre occasioni pubbliche.
Ad esempio nell’incontro ecumenico sempre il 12 settembre, nelle circa sette ore di permanenza in Ungheria. «Vorrei riprendere con voi l’evocativa immagine del Ponte delle Catene, che collega le due parti di questa città: non le fonde insieme, ma le tiene unite. Così devono essere i legami tra di noi. Ogni volta che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è distrutto; così pure quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo. Quante volte nella storia è accaduto! Dobbiamo vigilare, dobbiamo pregare perché non accada più.
E impegnarci a promuovere insieme una educazione alla fraternità, così che i rigurgiti dell’odio che vogliono distruggerla non prevalgano. Penso alla minaccia dell’antisemitismo, che ancora serpeggia in Europa e altrove. È una miccia che va spenta. Ma il miglior modo per disinnescarla è lavorare in positivo insieme, è promuovere la fraternità. Il Ponte ci istruisce ancora: esso è sorretto da grandi catene, formate da tanti anelli. Siamo noi questi anelli e ogni anello è fondamentale: perciò non possiamo più vivere nel sospetto e nell’ignoranza, distanti e discordi.(…) In questo Paese voi, che rappresentate le religioni maggioritarie, avete il compito di favorire le condizioni perché la libertà religiosa sia rispettata e promossa per tutti. E avete un ruolo esemplare verso tutti: nessuno possa dire che dalle labbra degli uomini di Dio escono parole divisive, ma solo messaggi di apertura e di pace. In un mondo lacerato da troppi conflitti è questa la testimonianza migliore che deve offrire chi ha ricevuto la grazia di conoscere il Dio dell’alleanza e della pace».
In Slovaccchia
Nella Slovacchia – tra Bratislava, Košice, Prešov, Šaštín – papa Francesco ha avuto modo di esplicitare meglio il suo magistero, tra dinamiche ecclesiali e dinamiche sociali, mostrando anche la loro correlazione.
A Bratislava nell’incontro ecumenico ha sottolineato che «un carattere distintivo dei popoli slavi, che sta a voi custodire insieme, è il tratto contemplativo, che va oltre le concettualizzazioni filosofiche e anche teologiche, a partire da una fede esperienziale, che sa accogliere il mistero. Aiutatevi a coltivare questa tradizione spirituale, di cui l’Europa ha tanto bisogno: in particolare ne ha sete l’Occidente ecclesiale, per ritrovare la bellezza dell’adorazione di Dio e l’importanza di non concepire la comunità di fede anzitutto sulla base di un’efficienza programmatica e funzionale».
Alle autorità politiche ed al Corpo diplomatico ha lasciato un messaggio ispirato all’eredità dei Santi Cirillo e Metodio, sottolineando che la loro eredità è un invito ad aprirsi al nuovo: rinnovarsi senza sradicarsi. La Chiesa è «sale» e «luce»: tema attualizzato in maniera molto pregnante. «I Santi Cirillo e Metodio hanno inoltre mostrato che custodire il bene non significa ripetere il passato, ma aprirsi alla novità senza sradicarsi. La vostra storia annovera tanti scrittori, poeti e uomini di cultura che sono stati il sale del Paese. E come il sale brucia sulle ferite, così le loro vite sono spesso passate attraverso il crogiuolo della sofferenza. Quante personalità illustri sono state rinchiuse in carcere, rimanendo libere dentro e offrendo esempi fulgidi di coraggio, coerenza e resistenza all’ingiustizia! E soprattutto di perdono. Questo è il sale della vostra terra. (…) I vostri monti collegano in un’unica catena cime e paesaggi variegati, e travalicano i confini del Paese per congiungere nella bellezza popoli diversi. Coltivate questa bellezza, la bellezza dell’insieme».
L’integrazione
Tra l’altro il tema dell’«insieme» riprende quelle idee dell’intero che è più della somma delle parti che è uno dei centri del Magistero papale, da Laudato Sì’ a Fratelli tutti.
L’integrazione è stata poi anche al centro di altri due discorsi: ai rappresentanti ebraici e alla Comunità Rom a Košice. Come già a Budapest, il messaggio verso il mondo ebraico è stato di attenzione e integrazione. «È bene condividere e comunicare ciò che ci unisce. Ed è bene proseguire, nella verità e con sincerità, nel percorso fraterno di purificazione della memoria per risanare le ferite passate, così come nel ricordo del bene ricevuto e offerto. Secondo il Talmud, chi distrugge un solo uomo distrugge il mondo intero, e chi salva un solo uomo salva il mondo intero. Ognuno conta, e conta molto quello che fate attraverso la vostra preziosa condivisione».
Alla Comunità Rom, in un incontro toccante e ricco di «segni», che ha visto in prima fila le diverse realtà del mondo cattolico impegnate in un’azione pastorale incessante, papa Francesco ha rivolto frasi chiare e dirette. «La via per una convivenza pacifica è l’integrazione. È un processo organico, un processo lento e vitale, che inizia con la conoscenza reciproca, va avanti con pazienza e guarda al futuro. E a chi appartiene il futuro? Possiamo domandarci: a chi appartiene il futuro? Ai bambini. Sono loro a orientarci: i loro grandi sogni non possono infrangersi contro le nostre barriere. Essi vogliono crescere insieme agli altri, senza ostacoli, senza preclusioni. Meritano una vita integrata, una vita libera. (…) Per i figli vanno fatte scelte coraggiose: per la loro dignità, per la loro educazione, perché crescano ben radicati nelle loro origini ma al tempo stesso senza vedere preclusa ogni possibilità».
Per quanto riguarda la Chiesa nel suo insieme – pastorale e ruolo sociale – sono di assoluto rilievo le indicazioni ricevute dal Papa, sul filo degli esempi e – anche – dell’umorismo, ma sempre con un profondo e stimolante messaggio.
Impegno e missione
Se ai vescovi, a Budapest, parlando a braccio aveva sottolineato l’importanza di essere sempre vicini ai sacerdoti, al clero in Slovacchia ha dato diverse indicazioni. Prima di tutto non perdere il senso dell’impegno e della missione. «A volte anche nella Chiesa questa idea può insidiarci: meglio avere tutte le cose predefinite, le leggi da osservare, la sicurezza e l’uniformità, piuttosto che essere cristiani responsabili e adulti, che pensano, interrogano la propria coscienza, si lasciano mettere in discussione. È l’inizio della casistica, tutto regolato… Nella vita spirituale ed ecclesiale c’è la tentazione di cercare una falsa pace che ci lascia tranquilli, invece del fuoco del Vangelo che ci inquieta, che ci trasforma. Le sicure cipolle d’Egitto sono più comode delle incognite del deserto. Ma una Chiesa che non lascia spazio all’avventura della libertà, anche nella vita spirituale, rischia di diventare un luogo rigido e chiuso. Forse alcuni sono abituati a questo; ma tanti altri – soprattutto nelle nuove generazioni – non sono attratti da una proposta di fede che non lascia loro libertà interiore, non sono attratti da una Chiesa in cui bisogna pensare tutti allo stesso modo e obbedire ciecamente».
Il contatto con i fedeli
Seconda indicazione: il diretto contatto con i fedeli durante la Messa, con l’omelia, deve mettere al centro l’annuncio e l’Eucaristia, non il narcisismo del predicatore. La predicazione – ha spiegato – è «nel cuore dell’Eucaristia. E pensiamo ai fedeli, che devono sentire omelie di 40 minuti, 50 minuti, su argomenti che non capiscono, che non li toccano… Per favore, sacerdoti e vescovi, pensate bene come preparare l’omelia, come farla, perché ci sia un contatto con la gente e prendano ispirazione dal testo biblico. Un’omelia, di solito, non deve andare oltre i dieci minuti, perché la gente dopo otto minuti perde l’attenzione, a patto che sia molto interessante. Ma il tempo dovrebbe essere 10-15 minuti, non di più. Un professore che ho avuto di omiletica, diceva che un’omelia deve avere coerenza interna: un’idea, un’immagine e un affetto; che la gente se ne vada con un’idea, un’immagine e qualcosa che si è mosso nel cuore. Così, semplice, è l’annuncio del Vangelo! E così predicava, Gesù che prendeva gli uccelli, che prendeva i campi, che prendeva questo… le cose concrete, ma che la gente capiva. Scusatemi se torno su questo, ma a me preoccupa… [applauso] Mi permetto una malignità: l’applauso lo hanno incominciato le suore, che sono vittime delle nostre omelie!».
Mostrare con la vita la bellezza del Vangelo
E per quanto riguarda il ruolo dei cristiani, il Papa ha ribadito che hanno il compito di «mostrare, con la vita, la bellezza del Vangelo. Che sono tessitori di dialogo laddove le posizioni si irrigidiscono; che fanno risplendere la vita fraterna, laddove spesso nella società ci si divide e si è ostili; che diffondono il buon profumo dell’accoglienza e della solidarietà, laddove prevalgono spesso gli egoismi personali, gli egoismi collettivi; che proteggono e custodiscono la vita dove regnano logiche di morte».
E in proposito è da notare un passaggio efficace nel discorso a vescovi, sacerdoti, religiose e religiosi, catechisti e seminaristi della Slovacchia. «Vi dico una cosa che è successa tempo fa. La lettera di un Vescovo, parlando di un Nunzio. Diceva: “Mah, noi siamo stati 400 anni sotto i turchi e abbiamo sofferto. Poi 50 sotto il comunismo e abbiamo sofferto. Ma i setti anni con questo Nunzio sono stati peggiori delle altre due cose!”. A volte mi domando: quanta gente può dire lo stesso del vescovo che ha o del parroco? Quanta gente? No, senza libertà, senza paternità le cose non vanno».
Il messaggio conclusivo è forse raccolto in queste frasi del medesimo incontro: la Chiesa «parla con tutti. È una Chiesa che, sull’esempio di Cirillo e Metodio, unisce e tiene insieme l’Oriente e l’Occidente, tradizioni e sensibilità diverse. Una Comunità che, annunciando il Vangelo dell’amore, fa germogliare la comunione, l’amicizia e il dialogo tra i credenti, tra le diverse confessioni cristiane e tra i popoli».
FABRIZIO MASTROFINI