Un ministero di presenza e di ascolto mai interrotto
2021/1, p. 3
Nessun religioso si è rifiutato alla vocazione-missione di vivere insieme al popolo di Dio questo tempo di pandemia, facendo propria la condizione di sofferenza di tanta gente e, nonostante le fatiche e i limiti imposti dal lockdown, continuando il ministero della presenza, dell’ascolto e della consolazione.
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Testimoni
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COME STIAMO VIVENDO QUESTO TEMPO “PRIVILEGIATO”?
Un ministero di presenza e di ascolto mai interrotto
Nessun religioso si è rifiutato alla vocazione-missione di vivere insieme al popolo di Dio questo tempo di pandemia, facendo propria la condizione di sofferenza di tanta gente e, nonostante le fatiche e i limiti imposti dal lockdown, continuando il ministero della presenza, dell’ascolto e della consolazione.
Mentre pensavamo che la pandemia fosse un fatto di cronaca già registrato, è doveroso chiederci: cosa può dirci questa esperienza della pandemia mentre torna a salire l’emergenza sanitaria e quella sociale? Come stiamo vivendo questo tempo unico? Come abbiamo agito nel nostro essere religiosi? Non pretendiamo di dare risposte esaustive, bisognerebbe ascoltare le narrazioni di molti, ma solo richiamare parte di un’esperienza nel tentativo di avviare una riflessione sulla questione.
Credo che i religiosi in Italia non si siano accontentati di dare solo formale attuazione ai Decreti del Presidente del Consiglio, ma si siano impegnati, dal Sud al Nord del nostro Paese, a vivere accanto alla gente, condividendo le sfide del Covid-19: quelle della malattia e della morte, della precarietà economica e della fragilità emotiva. Nessun religioso, credo, si sia negato a questa vocazione-missione: vivere insieme al popolo di Dio questo tempo, facendo propria la condizione di sofferenza di tanta gente e, nonostante le fatiche e i limiti imposti dal lockdown, continuando il ministero della presenza e dell’ascolto.
Non abbiamo mai chiuso le porte dei nostri conventi
Non si è mai fermata la carità, anzi è emersa con tutta la sua generosa e creativa fantasia; non si sono chiuse molte delle nostre chiese, ma sono rimaste aperte per tutti coloro che cercavano un’oasi nel deserto della città, un luogo per la preghiera personale; non abbiamo chiuso le porte dei nostri conventi, ma hanno continuato ad essere segno di speranza in mezzo al popolo. È vero, la pandemia ci ha rivelato quanto siamo deboli, limitati e vulnerabili, ci ha ricordato che tutti, nessuno escluso, siamo davvero poveri, ma ci ha anche ricordato che la fortezza è una virtù che va imparata giorno dopo giorno, una virtù che aiuta a non lasciare indietro nessuno.
La vita liturgica e quella pastorale sono state attraversate da una purificazione, da uno svuotamento di riti, di celebrazioni, tuttavia questa kenosi ci ha portati, al di là delle celebrazioni online, a recuperare il valore dell’essere adoratori in spirito e verità: «Viene l’ora, ed è adesso, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità; infatti, il Padre cerca tali persone che l’adorino. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità» (Gv 4,23-24). Le nostre comunità religiose hanno vissuto meglio questo invito giovanneo impegnandosi a qualificare ogni celebrazione eucaristica, tenendo desto nella comunità quanto affermato da sant’Ignazio di Antiochia quando definiva i cristiani come coloro che vivono secondo il mistero che celebrano (iuxta dominicam viventes).
L’apostolato della preghiera e della consolazione
La fantasia pastorale ci ha portati a vivere consapevolmente l’apostolato della preghiera, ad offrire percorsi di spiritualità popolare online e a sviluppare la pastorale della consolazione. Quanta parte del popolo di Dio ha chiesto preghiere e compagnia spirituale, quanti hanno atteso un messaggio come un raggio di luce alla propria giornata, quanta gente si è nutrita della Parola e della vita teologale dei Santi. Forse che non è questo l’essenziale a cui siamo chiamati, quell’essenziale da testimoniare nella Chiesa e nella società, facendo emergere il primato di Dio, la vita fraterna, il valore religioso del popolo fedele di Dio?
Oggi siamo chiamati a promuovere, dentro le nostre comunità religiose, una eccedenza teologale che metta maggiormente in luce il nostro essere cercatori-cercati (fede), capaci di vedere l’oltre (speranza) e, non ultimo, di vedere dentro (carità), andando al cuore delle relazioni. È vero: siamo generosi nel “fare apostolato”. Siamo tanto presi e ci sentiamo spesso risucchiati dalle attività e dalle occupazioni del nostro ministero. Ma non possiamo non renderci conto che sono le relazioni fraterne, vissute nelle nostre comunità, a dover essere nutrite della linfa di una umanità più vera e più piena. Siamo chiamati a scoprire in maniera più profonda quanto sia bello essere un fratello, rapportandoci tra di noi, educandoci a rapportarci con gli estranei.
Insieme nella stessa barca
Papa Francesco, il 27 marzo scorso, ci ha ricordato che stiamo sulla stessa barca, in mezzo ad una tempesta, impauriti mentre Gesù dorme (Mt 8,23-27; Mc 4,35-41; Lc 8,22-25). Un invito, quello del Pontefice, a considerare che è arrivata l’ora di guardarci e prenderci cura l’uno dell’altro. Un invito, il Suo, alla solidarietà, non alla sopravvivenza personale. Invito ad aprire gli occhi e guardare tutte le persone che soffrono ora, alle tante povertà che attanagliano la gente del nostro Paese. Invito a credere nella cura che Dio ha per noi, anche quando ci sentiamo soli, gettati nella tempesta della vita e impauriti. Le nostre comunità sono come questa barca, spazio di grazia e di solidarietà umana, luogo teologico dove Dio dorme, mentre ci rammenta che ci ha tatuati sulle palme delle mani (Is 49,16).
La fantasia della carità apre nuovi orizzonti, sebbene sia ancora presto per dire quali saranno i risvolti di questa pandemia. Conosciamo ancora troppo poco e confusamente i tratti del virus e l’evoluzione possibile della pandemia. Tuttavia, in questi mesi abbiamo appreso che nessuno basta a se stesso, che c’è un destino comune, una interconnessione globale, come ricorda Papa Francesco: «Tutto nel mondo è intimamente connesso» (Laudato si’, n. 16), «Tutto è in relazione» (Ibd. n. 70), che la speranza è la parola per questo tempo che non è un mondo che sta morendo, ma un nuovo mondo che sta nascendo.
LUIGI GAETANI, ocd
Presidente CISM Nazionale