Gellini Anna Maria
Il mondo ha bisogno di benedizione
2021/1, p. 46
In poco più di 100 pagine, sono proposte 26 testimonianze nate da quanto si è vissuto in questo tempo che non dimenticheremo mai. In questi mesi vi sono stati lutti, vissuti drammaticamente, sofferenze, lavoro incessante da parte del personale degli ospedali, e tanta inquietudine e smarrimento tra il popolo e i fedeli, «privati anche della sacrosanta liturgia (è il caso proprio di dirlo!). È un’operazione difficile, in situazione di emergenza, ma la vita spirituale è spesso proprio nell’estremo che acquista valore.

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NOVITÀ LIBRARIA
Il mondo ha bisogno
di benedizione
Mentre in Italia veniva dichiarato il confinamento a causa della pandemia di Covid-19, p. Ambrosio, domenicano, professore di Teologia e Storia delle religioni alla Luxembourg School of Religion & Society e direttore di ricerca al Collège des Bernardins (Parigi), si recava dal suo convento parigino a Lussemburgo. In quel frangente tutte le frontiere d’Europa sono state chiuse e si è ritrovato nel Seminario Maggiore, in solitudine. «La prospettiva spirituale che mi sono dato - racconta p. Ambrosio - è stata di vivere questo tempo nella meditazione, nella preghiera, nel lavoro quotidiano, evitando l’isolamento intellettuale e spirituale. Non potendo predicare in una chiesa, l'ho fatto "in digitale", in forma telematica, e questo libro raccoglie alcune delle riflessioni di quei giorni».
Riprendere coraggio
In poco più di 100 pagine, sono proposte 26 testimonianze nate da quanto si è vissuto in questo tempo che non dimenticheremo mai. In questi mesi vi sono stati lutti, vissuti drammaticamente, sofferenze, lavoro incessante da parte del personale degli ospedali, e tanta inquietudine e smarrimento tra il popolo e i fedeli, «privati anche della sacrosanta liturgia (è il caso proprio di dirlo!). È un'operazione difficile, in situazione di emergenza, ma la vita spirituale è spesso proprio nell'estremo che acquista valore. È in questo momento che dobbiamo riprendere coraggio, andando ancora più in profondità del vangelo e della vita spirituale cristiana. Non dobbiamo farci portare via, con il virus, la nostra capacità — umana e cristiana — di affrontare spiritualmente un momento inedito della nostra esistenza». Quanto vissuto, sperimentato, riflettuto, sofferto in questo confinamento è ormai, già, una parte di noi stessi e della nostra spiritualità. Avevamo ormai dato tutto per scontato: i rapporti familiari e di lavoro, le amicizie, le conoscenze, i beni di prima necessità, la salute, la libertà di muoverci a nostro piacimento. La scienza ci ha ridotto a dèi, ma così piccoli e fragili che abbiamo scoperto di non sapere fare nulla da soli. Tutte le sicurezze sono state colpite dal virus, creando paura, incertezza, panico. E mese dopo mese, abbiamo vissuto anche tutte le feste liturgiche immersi in questi stati d’animo e quasi travolti da un’esperienza planetaria che non ci ha trovato impreparati.
La tunica di Cristo e noi
P. Ambrosio, ripensando alla settimana di passione del 2020, ci propone una profonda riflessione. Gesù è re, anche sulla croce, e la sua tunica “regale” era senza cuciture – ci dice il Vangelo – e quindi preziosa. «Ora quella tunica siamo noi stessi, noi cristiani, che dovremmo essere uniti, senza cuciture, invece al nostro interno abbiamo tanti strappi, talvolta toppe, zone scucite oppure rammendi. Ma non solo: quella tunica è tutta l'umanità che non riesce a stare unita, come quella di Cristo, ma è lacerata da profonde divisioni, conflitti, malattie e oggi da una pandemia che ci tiene tutti sfilacciati tra di noi, quasi fossimo dei punti isolati qua e là in un vestito a rattoppi. E ancora, quella tunica è la terra tutta intera, che dovrebbe stare insieme e invece è stata da noi tagliata senza modello».
Il tallit della benedizione
Invitato una sera a pregare nella sinagoga del Lussemburgo, p. Ambrosio ottenne in dono un tallit che da allora conserva di fronte alla croce di Cristo, come fosse un velo di protezione per sé e per il mondo intero. Lo scialle rituale, il tallit appunto, tipico della tradizione ebraica, è il segno che la forza e la benedizione dimorano nella persona di colui che lo indossa, sulle sue spalle. Il mondo oggi più che mai, «aspira con le sofferenze — come doglie di partoriente — a una guarigione, alla salvezza, che poi sono la benedizione del Signore. Il mondo ha bisogno di benedizione, di quel velo che scende dal cielo per ricoprire la faccia della terra con la grazia di cui la terra stessa ha bisogno. Il mondo ha bisogno di un tallit talmente immenso che possa ricoprire uomini, donne, bambini e la natura. È bello pensare che uno scialle sia segno di quella benedizione che sola viene da Dio. È geniale creare uno scialle di preghiera, che scenda su tutti coloro che sono ancora malati, in particolare su quelli che lottano tra la vita e la morte; che scenda anche su tutti coloro che, nel confinamento mondiale, stentano a credere che anche così la vita è una benedizione». E questo tempo inedito deve indicarci una prospettiva nuova: quello scialle non solo deve ricoprire il mondo, ma deve anche unirci, tutti, credenti e non credenti. «Che il tallit della benedizione scenda sofficemente su tutta la terra».
Un tempo per ringraziare
Speriamo che questi giorni di confinamento, rimangano aperti alla speranza. «Non saranno facili i tempi che ci attendono, ma sappiamo che Dio è dappertutto, soprattutto per chi lo vuole cercare e trovare». Uniti nell’amore di un Dio “nascosto”, dovremo reimparare a ringraziare di ogni cosa. Ancora «dovremo avere la forza e la grazia di saper ascoltare quanto è accaduto, di ripensarlo come si ripensano le parole di una celebrazione. La messa è finita. O forse comincia adesso».
ANNA MARIA GELLINI