Fallica Luca
Custodi della “casa” comune e delle relazioni
2021/1, p. 32
L’enciclica Laudato si’, sulla quale veniamo sollecitati a riflettere a cinque anni dalla sua pubblicazione, propone la prospettiva di una ecologia integrale quale suo punto focale, affermando che tutto è in relazione.

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SPIRITUALITÀ PER UNA ECOLOGIA INTEGRALE
Custodi della “casa” comune
e delle relazioni
L’enciclica Laudato si’, sulla quale veniamo sollecitati a riflettere a cinque anni dalla sua pubblicazione, propone la prospettiva di una ecologia integrale quale suo punto focale, affermando che tutto è in relazione.
“La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico”. (Ls n.111)
È illuminante il richiamo di papa Francesco a una spiritualità che deve contribuire anch’essa a un modo rinnovato di prendersi cura della casa comune. Possiamo però rovesciare la prospettiva: come il tema di un diverso rapporto con l’ambiente, al quale veniamo richiamati con urgenza da altre competenze (scientifiche, culturali, economiche, ambientaliste…) interpella e converte il nostro vissuto spirituale? Come consacrati e consacrate non possiamo sottrarci a questa domanda. Appartiene anch’essa a quella visione integrale proposta da papa Francesco non solo in questa enciclica, ma nel suo più ampio magistero. Nei quasi otto anni del suo pontificato, egli ha promulgato diversi documenti, ma le encicliche sono tre: la prima, ereditata in gran parte da Benedetto XVI, è la Lumen fidei, cui sono seguite la Laudato si’ e la più recente Fratelli tutti. Il tema della fede interroga la nostra relazione con Dio, dalla quale scaturisce una luce (lumen), cioè una visione rigenerata delle altre relazioni fondamentali di cui si intesse la nostra esistenza: quella con la «casa comune», secondo la prospettiva della Laudato si’, quella con gli altri fratelli e sorelle in umanità, secondo il respiro della Fratelli tutti. Nel Cantico delle Creature di Francesco di Assisi, è da uno sguardo che sa contemplare e lodare «l’Altissimu, onnipotente, bon Signore» che viene generato un rapporto di fraternità non solo con coloro «ke perdonano per lo tuo amore», ma anche con le altre creature del cosmo, che diventano via per la lode, perché non si può glorificare il Creatore se non nella comunione con ogni realtà da lui chiamata all’esistenza. «Fa parte dell’ecologia integrale uno sguardo contemplativo, capace di cogliere la realtà come mistero che non si può dominare: “Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode”» (Ls, 12).
Accoglienza, cura e custodia
Queste sollecitazioni ci aiutano a interpretare in modo più adeguato un dato che da sempre l’evangelo offre alla nostra ricerca spirituale. Al cuore del discorso della montagna, Gesù parla di tre opere fondamentali: l’elemosina, la preghiera, il digiuno, attraverso le quali viviamo la giusta relazione con Dio. Le opere sono tre e il loro ordine è importante: al centro Gesù colloca la preghiera, dunque la relazione con Dio, che però deve plasmare le altre due relazioni: dal rapporto con Dio, che chiamo Padre, sono generate l'elemosina, cioè la disponibilità a stare con gli altri esseri umani nella forma della condivisione, della solidarietà, della fraternità; il digiuno, come capacità di relazionarsi con le altre creature non nella forma del possesso o del dominio, ma in un atteggiamento di accoglienza e di venerazione, di cura e di custodia. I voti religiosi di obbedienza, castità, povertà vivono di questo respiro: la qualità filiale, e dunque obbediente, della nostra relazione con Dio dipende e traspare dalla castità con cui viviamo la relazione con gli altri, in un amore oblativo e non possessivo, e dalla povertà che plasma la relazione con i beni creaturali.
In Genesi 2,15 leggiamo che «il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse». Il verbo «custodire» in ebraico è intrigante: shamar indica sia l’osservanza dei comandamenti, sia la custodia del fratello. Quando, dopo aver versato il sangue di Abele, Dio gliene chiede conto, Caino risponde: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). Custodire la relazione con Dio attraverso l’osservanza della sua Parola implica custodire la vita del fratello e custodire il giardino. Ogni custodia ha bisogno delle altre e diventa vera nelle altre.
Nel IV Vangelo Maria di Magdala incontra il Risorto nel giardino dove era stato sepolto, tanto da confonderlo con il suo «custode». Come spesso accade ai personaggi giovannei, Maria dice il vero senza saperlo, perché Gesù è davvero il nuovo Adamo, venuto a compiere l’opera affidata al primo Adamo, che questi non aveva saputo adempiere a motivo del suo peccato: così il giardino era diventato un deserto. Il Risorto torna a trasformare quel deserto, prodotto dal nostro modo sbagliato di vivere le relazioni, rendendolo di nuovo un giardino. Per i discepoli del Risorto, credere nella risurrezione significa anche avere cura del giardino, per impedire che sia di nuovo sfigurato.
“Casa comune” luogo ospitale
Per noi monaci e monache benedettini c’è un ulteriore elemento: nella nostra tradizione, la consacrazione monastica ci chiede di assumere l’impegno di «stabilità», che ci lega a una comunità di fratelli e sorelle con cui condividere la ricerca di Dio, ma anche a un luogo, a un ambiente. I racconti delle origini ci vengono ancora in soccorso: in Genesi 1 la creazione viene narrata secondo un ordine simmetrico, in cui i sei giorni in cui Dio lavora si corrispondono l’uno con altro: al primo corrisponde il quarto; al secondo, il quinto; al terzo, il sesto. Dapprima Dio predispone un ambiente e poi lo popola di molteplici abitanti. Vivere significa abitare, «fare casa». Il caos viene dominato non solo quando viene ordinato e armonizzato, ma quando lo si trasforma in luogo ospitale, in abitazione, in «casa comune» di cui avere cura.
All’inizio del racconto, al v. 2, c’è la ruah, il vento di Elohim che si muove sulle acque: un vento forte, impetuoso, che agita le acque, espressione di una potenza illimitata. Dio è però capace di dominare questo suo respiro veemente e di modularlo fino a renderlo una parola che dice «sia la luce. E la luce fu». La creazione avviene mediante una parola, segno di un’onnipotenza però pacificata. Dio è capace di trasformare il suo respiro che si impone con potenza in una parola che al contrario è mite, aperta a un dialogo che fa essere l’altro come interlocutore davanti a sé. Il vento di Dio agita le acque del caos, la sua parola invece si intrattiene, come brezza leggera, in dialogo con la sua creatura, come dirà il secondo racconto della creazione (cf. Gen 3,8). Dobbiamo anche noi imparare a modulare il vento che ci agita interiormente per farlo divenire parola vera, luminosa, feconda perché mite.
La tradizione mistica dell’ebraismo usa, a proposito della creazione, la categoria dello zimzum, dalla radice tsom, «digiunare». Dio, creando, digiuna da se stesso, si autolimita, si ritira, come il mare si ritrae e libera la terraferma. Nel sabato Dio compie il suo lavoro e si riposa, riprende fiato. Non produce, non opera, ma indugia nella relazione di meraviglia e di contemplazione già prefigurata ogni volta che, guardando, aveva potuto dire «è cosa buona».
“…Dio si ferma. Mette fine al dispiegamento della propria potenza creatrice, impone un limite alla propria capacità di dominio, dimostrando che domina anch’essa. In tal modo si mostra più forte della propria forza, padrone del proprio dominio”, per riprendere delle formule che amava Paul Beauchamp.
Una poetessa giudaica, Mary Gales Ryan, commenta così il «digiunare» di Dio:
«Dio in principio si mise da parte,
e così ebbe inizio il mondo.
Questo è il segreto dell’amore:
mettersi da parte.
Se puoi, cerca soprattutto
di metterti da parte.
Chiedi per te
solo un piccolo angolo del tempo.
Metti confini al tuo volere,
e guarda come fiorisce un mondo.»
L’immagine e la somiglianza con Dio si attuano in questa mitezza che sa dominare la volontà di potenza per trasformarla in un atteggiamento mite, capace di custodire il giardino perché capace di custodire le relazioni. Questo esige dominio del cuore, vigilanza interiore. Chiede una maturità spirituale che cresce nella giusta relazione con Dio se sa rimanere con giustizia e mitezza davanti agli altri e davanti al creato.
fr. Luca Fallica
Comunità monastica benedettina «Ss. Trinità»
di Dumenza