Chiaro Mario
Economia di Francesco
2021/1, p. 5
In tre dense giornate, studenti, economisti e imprenditori sotto i 35 anni, provenienti da 115 paesi, hanno risposto all’appello di papa Francesco per costruire un nuovo pensiero e una nuova spiritualità ridando un’anima a una economia malata.

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UNA TRE GIORNI ON LINE DA ASSISI
Economia di Francesco
In tre dense giornate studenti, economisti e imprenditori sotto i 35 anni, provenienti da 115 paesi, hanno risposto all’appello di papa Francesco per costruire un nuovo pensiero e una nuova spiritualità ridando un’anima a una economia malata.
«Ringraziare voglio il divino labirinto/degli effetti e delle cause/per la diversità delle creature/che compongono questo singolare universo,/per la ragione, che non cesserà di sognare/un qualche disegno del labirinto» (Poesia dei doni, J. L. Borges). Questo testo, letto durante l’evento denominato “The Economy of Francesco” (19-21 novembre 2020), può fare da degna cornice alla tre giorni vissuta on line con migliaia di giovani, connessi da tutto il mondo con Assisi, per un patto economico che guarda al futuro. Proprio sul divino labirinto della vita hanno ragionato studenti, economisti e imprenditori per far fiorire un’economia che sia “non per gli ultimi, ma con gli ultimi”.
Far fiorire la vita
Secondo l’economista salesiana sr. Alessandra Smerilli, docente presso l’Auxilium e membro del Comitato scientifico dell’evento, le tre giornate hanno raccontato un processo già avviato e che continua. In piena pandemia, la rivalutazione della cura in ogni aspetto della vita economica è stato un tema trasversale a tutti i lavori. Si è sviluppato l’obiettivo di “rianimare” l’economia radunando duemila giovani economisti e imprenditori, in dialogo fra di loro e con ospiti illustri. Il valore aggiunto di questa manifestazione è proprio la realizzazione di un’inedita alleanza tra giovani e adulti. «L’Economia di Francesco non è il protagonismo dei giovani, è l’inaugurazione di un nuovo modo di lavorare che mette in reciprocità giovani e adulti di tutto il mondo».
Questi giovani hanno aderito a una chiamata di papa Francesco del maggio 2019 e hanno avuto la possibilità di mostrare le proposte elaborate fin qui, raccontare un pezzo di strada già percorso insieme con l’intenzione però di continuare a camminare, attraverso 12 villaggi tematici.
Tra i relatori collegati via internet, il primo giorno è stato inaugurato in prima battuta dall’economista Jeffrey Sachs, il cui intervento è stato dedicato a “Tre proposte perché la vita fiorisca. Modelli di business per un’economia più umana”: gli è stata presentata la proposta di un Child Flourish Index, un indice per valutare il benessere dei bambini.
In seconda battuta si è ragionato su un “Recovery plan per il mondo”: i relatori (Caruso, Cárdenase e Snyder) hanno affrontato i temi della relazione tra economia e pace. In particolare Caruso, docente di economia della pace, ha trattato il tema del rapporto tra interesse pubblico e settore privato nel perseguimento della pace: «Questo aspetto è particolarmente rilevante se guardiamo all’industria militare in cui incentivi privati tendono spesso a collidere con l’interesse della collettività. Esiste poi un ruolo del settore privato nell’allocare le proprie risorse in investimenti che non siano forieri di conflitti ma che siano piuttosto motori di risoluzione degli stessi».
Generatività, finanza e umanità
Nel secondo giorno, la prima parte è stata dedicata al tema “Generatività, beni relazionali e società civile”: il sociologo Mauro Magatti ha contestato il nostro modello economico dominato dal circuito produzione-consumo: «produrre e consumare sono due dimensioni antropologiche profonde. Il problema nasce quando queste due forme dell’agire pretendono di diventare assolute e di riempire e dare senso alle nostre vite». Si propone dunque di orientarsi verso un movimento antropologico anch’esso originario, quello del generare: «Tale movimento inizia col momento imprenditivo – mettere al mondo… Si sviluppa in quello organizzativo – il prendersi cura, mediante cui ci confrontiamo con la realtà, per capire chi siamo veramente (i nostri limiti e le nostre capacità) e imparare a stare con gli altri… e che arriva fino a quello promozionale – il lasciare andare». L’economia generativa è quella che lavora per creare le condizioni socio-istituzionali perché questo movimento antropologico, alla base di una nuova spinta economica post-consumerista, sia riconosciuto e rafforzato. L’auspicio di altri interventi è stato quello di passare dal modello a due mani (mercato e istituzioni) al modello delle quattro mani: mercato, istituzioni, cittadinanza attiva e imprese responsabili.
Nello stesso giorno è intervenuto anche il Premio Nobel per la pace 2006 e ideatore del micro-credito, Muhammad Yunus, con una relazione dedicata a «Finanza e umanità». Egli ha tracciato la via per un cambio di paradigma: «La pandemia di Covid-19 ha rivelato tutte le debolezze del sistema attuale. Coloro che erano ai margini dell’esistenza a livello globale sono finiti ancora di più ai margini. Ora tutti lavorano per tornare alla situazione precedente alla pandemia. Ma perché vogliamo tornare a quel sistema, che era terribile? Il treno che ci stava portando verso la morte si è fermato. È il momento di scendere e chiederci: vogliamo tornare indietro o è il momento giusto per seguire la direzione opposta: un mondo senza inquinamento, senza concentrazione della ricchezza, senza disoccupazione massiccia». Il suo è stato nel complesso un attacco frontale alla finanza e alle banche, che con enormi guadagni alimentati dai prodotti derivati hanno creato un pericoloso “mondo di fantasia”.
Come pesci in un acquario
Nell’ultimo giorno si è tenuta una sessione interattiva sul tema “Vocazione e profitto”. La chiamata generale è al bene comune di tutti, riletto dai giovani alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa e rappresentato da un albero con grandi radici: dignità di ogni persona, solidarietà, servizio permanente, sostenibilità (il proprio utile vocazionale), sussidiarietà, co-creatività.
L’economista inglese Kate Raworth ha illustrato la sua teoria sulla ‘economia della ciambella”, come bussola di un 21° secolo segnato da crisi finanziarie, ecologiche e sanitarie. Viviamo tutti interconnessi in un pianeta-acquario che si rivela ambiente ospitale per la vita. Siamo lontani però dal metterlo in equilibrio e il prossimo decennio è cruciale. La “ciambella” è organizzata in modo tale che al centro sono distribuite in diverse categorie le carenze essenziali delle persone, mentre all’esterno della ciambella sono contrapposti i limiti ecologici dei sistemi naturali (cambiamento climatico, inquinamento chimico, perdita di biodiversità ecc.). Proprio tra questi due insiemi di limiti esiste uno spazio per l’umanità, equo sia dal punto di vista sociale che naturale.
Durante la seconda metà del ventesimo secolo, lo sviluppo economico globale ha assicurato a milioni di persone i bisogni fondamentali minimi. Purtroppo, però, a tale effetto positivo è corrisposto un incremento vorticoso dell’attività umana (la “grande accelerazione”) e dello sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali. In questo contesto l’economista e saggista Perkins ha evocato due ulteriori immagini: siamo in un’economia del deserto (un sistema in cui nessuno è al posto giusto) e viaggiamo sull’astronave terra che va verso il disastro. Il Covid-19 ha accelerato i processi e ha rivelato tutte le nostre vulnerabilità. Occorrono pertanto centri incubatori di nuove forme economiche e un nuovo sforzo educativo a livello mondiale.
“O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra”
Non ha usato mezzi termini papa Francesco per rivolgere ai giovani il suo appello finale affinché siano artefici del presente e del futuro della società e della Chiesa. Con un videomessaggio, a partire dalla chiamata del Poverello di Assisi (“Francesco va’, ripara la mia casa che, come vedi, è in rovina”), il pontefice ha indicato l’urgenza di “una diversa narrazione economica”. Occorre una responsabile presa di coscienza di tutti gli attori sociali e in particolare dei giovani: «le conseguenze delle nostre azioni e decisioni vi toccheranno in prima persona, pertanto non potete rimanere fuori dai luoghi in cui si genera, non dico il vostro futuro, ma il vostro presente. Voi non potete restare fuori da dove si genera il presente e il futuro. O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra».
In questo tempo però c’è una «frammentazione nelle analisi e nelle diagnosi che finisce per bloccare ogni possibile soluzione. In fondo, ci manca la cultura necessaria per consentire e stimolare l’apertura di visioni diverse, improntate a un tipo di pensiero, di politica, di programmi educativi, e anche di spiritualità che non si lasci rinchiudere da un’unica logica dominante. Se è urgente trovare risposte, è indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processi – non dimenticatevi questa parola: avviare processi – tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze».
La lode del pontefice è andata alla metodologia e allo stile sperimentato dai giovani nel costruire l’evento di Assisi, quella necessaria cultura dell’incontro, che è l’opposto della cultura dello scarto. Stare intorno a uno stesso tavolo per dialogare, pensare, discutere e creare, secondo una prospettiva poliedrica, le diverse dimensioni e risposte ai problemi globali. «Questo esercizio di incontrarsi al di là di tutte le legittime differenze è il passo fondamentale per qualsiasi trasformazione che aiuti a dar vita a una nuova mentalità culturale e, quindi, economica, politica e sociale». Non siamo condannati a modelli economici che concentrino il loro interesse immediato sui profitti; non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. «Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case. E questo è molto più che assistenzialismo: stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale… Ricordatevi l’eredità dell’illuminismo, delle élite illuminate. Tutto per il popolo, niente con il popolo. E questo non va. Non pensiamo per loro, pensiamo con loro. E da loro impariamo a far avanzare modelli economici che andranno a vantaggio di tutti, perché l’impostazione strutturale e decisionale sarà determinata dallo sviluppo umano integrale, così ben elaborato dalla dottrina sociale della Chiesa».
Il pensiero finale è quello di non scegliere le scorciatoie, che seducono e impediscono di mescolarsi per essere lievito lì dove ci si trova: «Niente scorciatoie, lievito, sporcarsi le mani… Non temete di coinvolgervi e di toccare l’anima delle città con lo sguardo di Gesù; non temete di abitare coraggiosamente i conflitti e i crocevia della storia per ungerli con l’aroma delle Beatitudini. Non temete, perché nessuno si salva da solo. Nessuno si salva da solo. A voi giovani, provenienti da 115 paesi, rivolgo l’invito a riconoscere che abbiamo bisogno gli uni degli altri per dar vita a questa cultura economica, capace di far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani, e ispiri ai giovani – a tutti i giovani, nessuno escluso – la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo».
Luigino Bruni, docente economista presso Università Lumsa e Istituto universitario Sophia, nonché direttore scientifico dell’evento, ha sottolineato l’importanza dell’appello finale dei giovani in 12 punti, «in cui hanno chiesto tra l’altro di introdurre Comitati etici nelle aziende, di abolire i paradisi fiscali, di rivedere la governance e il management delle imprese. I giovani sono sognatori a occhi aperti, con la loro tipica nota che è la positività: sono per la salute del mondo, non tanto per la malattia. Tendono a vedere il loro lavoro, il fare impresa, come qualcosa di bello, perché è la loro vita. Non è vero che non vogliono adulti al loro fianco: li vogliono se non fanno i padroni o i prepotenti. È stato bello vedere giovani e Premi Nobel dialogare alla pari: i giovani hanno stima degli economisti più bravi e famosi e hanno rispetto per le competenze, perché sanno che sono il frutto buono di una vita matura o anziana».
MARIO CHIARO