Un poema pasquale
2020/9, p. 46
L’Autrice, docente di Storia del Cristianesimo alla Sapienza di Roma e all’Istituto
Patristico Augustinianum propone di leggere il Cantico dei cantici secondo il metodo interpretativo della tradizione ebraica e delle comunità cristiane dei primi
secoli. Questo testo biblico dell’AT veniva letto nella festa di Pasqua e proposto ai catecumeni che nella notte di Pasqua sarebbero stati battezzati.
Le coordinate interpretative del Cantico dei Cantici attingono alle risonanze del testo biblico in passi dell’AT e del NT che contengono le stesse parole e hanno
in Cristo Gesù la chiave di lettura principale. L’interpretazione diventa così cristologica, pasquale, liturgica.
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NOVITà LIBRARIA
Un poema pasquale
L’Autrice, docente di Storia del Cristianesimo alla Sapienza di Roma e all’Istituto Patristico Augustinianum propone di leggere il Cantico dei cantici secondo il metodo interpretativo della tradizione ebraica e delle comunità cristiane dei primi secoli. Questo testo biblico dell’AT veniva letto nella festa di Pasqua e proposto ai catecumeni che nella notte di Pasqua sarebbero stati battezzati.
Le coordinate interpretative del Cantico dei Cantici attingono alle risonanze del testo biblico in passi dell’AT e del NT che contengono le stesse parole e hanno in Cristo Gesù la chiave di lettura principale. L’interpretazione diventa così cristologica, pasquale, liturgica. I contesti nei quali parole uguali si trovano, vanno accostati per far sì che la rivelazione diventi più luminosa. I maestri ebrei dicono che quando una parola della Scrittura si incontra con un'altra parola della Scrittura, nasce una scintilla di luce. La rivelazione di Dio è una rivelazione che continua nella storia, Dio parla sempre per far capire sempre di più la sua parola. Cristo Gesù è la Parola definitiva del Padre, ma è Parola viva, capace di parlare continuamente. Ed è per questo che la comprensione del suo mistero, Persona e Scrittura, cresce con chi lo accosta, ne fa esperienza, ne ricerca il senso nella lettura del testo scritto. Tutto questo, applicato in modo straordinario da Francesca Cocchini, rende affascinanti tutte le 81 pagine del suo libro, che lascio al lettore di scoprire e gustare. Ne propongo soltanto due brevi “assaggi”.
Attirami
Come in ogni libro della Scrittura, anche in questo poema eminentemente pasquale, Dio rivela qualcosa di sé e sempre, nel rivelare se stesso, rivela qualcosa delle sue creature. Attraverso la vicenda di amore di cui tratta, si può leggere il rapporto che unisce Dio al suo popolo.
«Attirami dietro a te, corriamo. Mi introduca il re nelle sue stanze, gioiremo e ci rallegreremo in te, faremo memoriale dei tuoi amori più del vino, è con ragione che ti si ama»! (Ct 1,4)
La prima richiesta è: «Attirami». L'attrazione è attività propria del Padre (cf. Ger 31,3) e dal Padre diventa propria anche del Figlio: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6,44) e: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,20). Se si è compreso che è necessario andare da Gesù, per portargli tutto ciò che nell'uomo e intorno all’uomo, nella storia, ha ancora bisogno di essere assunto per essere perdonato e trasformato, viene spontaneo chiedergli: «attirami». Questa è l'azione che Dio esercita sull’umanità, un’azione che mette in movimento e al tempo stesso affascina. E subito — come è costante nel poema — dal rapporto individuale si passa al rapporto comunitario: «attirami dietro a te, corriamo». Non è possibile sentire che Dio attrae, senza sentire il desiderio di non essere soli nel rispondere.
Stupore e combattimento
Che cos'è che sale dal deserto come una colonna di fumo, esalando mirra e incenso e ogni polvere aromatica? (Ct 3,6)
«Che cos'è»? è un’espressione di sorpresa, perché Dio sorprende sempre. Ciò che appare salire dal deserto come «colonna di fuoco», esala anche «mirra e incenso», quei doni che i magi portano al bambino Gesù (cf. Mt 2,11), quasi a indicare che ogni volta che si ricerca e si riscopre il Signore, si ricerca e si riscopre il Dio dell'Esodo, il Dio del Sinai, il Dio che libera dalla schiavitù, il Dio dell'incarnazione.
Ecco, la lettiga di Salomone: sessanta uomini prodi le stanno intorno, tra i più valorosi d’Israele. Tutti sanno maneggiare la spada, esperti nella guerra (Ct 3,7-8). L’amato viene ed è armato.
Come torre di David il tuo collo, costruita in fortezza, mille scudi pendono da lei. (Ct 4,4). Anche l’amata è armata. C'è una guerra da fare ed è necessaria la «spada», quella «spada» che è «la parola di Dio, viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito» (Eb 4, 12). C’è dunque una guerra da combattere, rivestendosi “dell’armatura di Dio” (Ef 6,11-17) e se ne dichiara anche l'esito: il re è presentato nel momento della sua glorificazione più alta: ha una corona. Lo stesso termine si trova in Eb 2,9: «quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto». Allora il re, Salomone, il Pacifico, l'amato, Cristo, arriva armato con un corteo di armati, su un trono solenne, pronto per combattere una guerra e vincerla nel modo che gli si addice come leggiamo nel libro del profeta Zaccaria (9,9-10): «Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina. […] L'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti e il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra».
Anna Maria Gellini