Ferrari Matteo
Dove abita il Dio della Bibbia?
2020/9, p. 41
Un excursus attraverso la Bibbia ci rivela che Dio abita là dov’è l’uomo. L’accompagna nelle sue vicende umane, soffre con lui e gli prepara una dimora eterna in cielo.

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Dal GIARDINO alla CITTÀ
Dove abita il Dio della Bibbia?
Un excursus attraverso la Bibbia ci rivela che Dio abita là dov’è l’uomo. L’accompagna nelle sue vicende umane, soffre con lui e gli prepara una dimora eterna in cielo.
Dove abita Dio? È la domanda che da sempre abita il cuore degli uomini e delle donne. Certo è un modo molto umano di pensare Dio! Forse non è nemmeno una domanda da porci. Eppure, noi abbiamo bisogno di chiederci dove abita Dio, perché dalla risposta a questa domanda, magari apparentemente ingenua, emerge un volto di Dio. Per Dio potremmo dire: «dimmi dove abiti e ti dirò chi sei!». Allora dove abita il Dio della Bibbia? Vive in un tempio, raffigurato da una immagine, da un idolo, come gli dei degli antichi greci e romani? Vive sopra un monte sacro, come l’Olimpo? Un Dio così è cosificabile. Lo puoi possedere, te ne puoi appropriare, perché sai dove abita: non può scappare.
Dio in cerca di casa
Il Dio della tradizione ebraico-cristiana, il Dio della Bibbia, è molto diverso. Egli non abita in un solo posto: è un Dio senza fissa dimora, che cambia abitazione. È un Dio che ha un sogno, che sogna una casa e che, per poter costruirsi quella casa, è disposto a compiere un lungo cammino. Proviamo a ripercorrere le tappe principali di questo cammino di Dio per comprendere qual è la casa che egli sogna, la dimora nella quale egli desidera abitare.
Passeggia nel giardino
La prima tappa di questo cammino è un giardino. Dio «pianta» un giardino in Eden e vi pone l’essere umano da lui creato: «il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato» (Gn 2,8). È un’immagine molto bella con la quale inizia il cammino di Dio con l’umanità: un Dio agricoltore, che pianta un giardino non per sé, ma per la vita dell’uomo e della donna.
Ma in quel giardino, dove vivono l’uomo e la donna, abita anche Dio. Alla brezza del giorno Dio passeggia nel giardino. Lo scopriamo sempre dal racconto della Genesi. Subito dopo aver mangiato del frutto dell’albero proibito, Adamo ed Eva «udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino» (Gn 3,8). Dio abita nel giardino dove abitano l’uomo e la donna. Egli abita e passeggia alla brezza del giorno proprio in quel giardino che egli ha piantato per farvi vivere l’essere umano.
Ma l’uomo e la donna si nascondono da Dio ed egli è costretto a cercarli: «Adamo, dove sei?» (Gn 3,9). E l’uomo risponde a questa domanda, dicendo di essersi nascosto avendo udito il passo di Dio, perché era nudo. Dio crea il giardino per vivere la comunione con la sua creatura, e l’uomo e la donna si nascondono da lui. Qui inizia il cammino di Dio alla ricerca di una «casa comune» nella quale vivere nella comunione con l’umanità.
Una scala verso il cielo
Un luogo nella Bibbia nel quale si parla proprio di «casa di Dio» lo troviamo sempre nel libro della Genesi, nelle storie dei patriarchi. Giacobbe sta fuggendo da suo fratello Esaù su consiglio della madre (Gn 27,42-46), che ha promesso di ucciderlo. Durante questa fuga disperata che lo porta lontano dalla sua terra e dalla sua famiglia – il contrario della promessa fatta ad Abramo – Giacobbe fa un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa» (Gn 28,12). In quel sogno, mentre Giacobbe vive il dramma della negazione delle promesse di Dio ad Abramo – la terra e la discendenza – il Signore interviene per rinnovare la sua promessa: «A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra» (Gn 28,13-14). È proprio la riaffermazione della promessa fatta ad Abramo. Nel momento in cui tutto sembra infrangersi e svanire, la Parola di Dio invece annuncia che la sua promessa non viene meno e che la sua realizzazione avviene anche per vie inaspettate, per sentieri sconosciuti.
Al termine di questo sogno, quando Giacobbe si sveglia, il Patriarca afferma: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo… Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo» (Gn 28,16-17). Si parla esplicitamente di «casa di Dio»: Dio abita nel luogo in cui un uomo disperato e impaurito fugge dalla sua famiglia. È come se il testo ci dicesse che Dio «abita» le nostre angosce, le nostre paure. E il segno che fa percepire la presenza di Dio a Giacobbe è una scala sulla quale degli angeli salgono e scendono. Immagine molto bella della comunione e della comunicazione tra il cielo e la terra. La «casa di Dio» è nel luogo dove cielo e terra si toccano, dove gli angeli salgono e scendono, dove si vive la comunione. Giacobbe chiamerà quel luogo, nel quale ha fatto un sogno, «Betel», che significa casa di Dio (Gn 28,19).
Parla in un roveto
Dio nella Bibbia poi ha abitato un roveto ardente. È l’immagine di una presenza divina che non consuma, non annulla, non distrugge (Es 3,1-6). Si tratta del racconto della vocazione di Mosè. Per noi «occupare un posto» significa escludere altri: «o io o tu». Per Dio non è così. Dio abita il roveto senza consumarlo. Forse una immagine della vita di Mosè e della sua vocazione, di ogni vocazione: Dio abita la nostra vita senza consumarla, senza svuotarla.
Il roveto è un luogo «altro», un luogo santo. Per questo Mosè deve togliersi i sandali dai piedi (Es 3,5). La terra dove abita Dio è un luogo «altro» che non corrisponde al nostro modo di vivere lo spazio. Noi viviamo lo spazio come possesso, come conquista escludente. Dio no! Egli abita senza possedere, fa ardere senza consumare, chiama ad una missione senza annullare la vita e la personalità del chiamato.
Vive sotto una tenda
Dopo l’uscita di Israele dall’Egitto, Dio ha abitato soprattutto una tenda. È una concezione molto particolare della abitazione di Dio che caratterizza la religione di Israele. Per il Primo Testamento il Dio di Israele abita una casa mobile, che può spostarsi insieme al suo popolo. Dio quindi abita lì dove abita il popolo e, se il popolo è peregrinante nel deserto, anche Dio ha una abitazione non fissa, ma si fa nomade e pellegrino per essere in grado di seguire il cammino del suo popolo verso la Terra della Promessa. Riguardo alla tenda Dio dice: «Abiterò in mezzo agli Israeliti e sarò il loro Dio» (Es 29,45). È esplicito quindi il desiderio di Dio di abitare in mezzo al suo popolo. Nel deserto del Negev c’è un suggestivo ritrovamento archeologico. Nei pressi di Timna, nel deserto del Negev, è stato ritrovato un antico tempio madianita, costituito proprio da una tenda sorretta da pali e addossata alla roccia (Pilastri di Salomone), che fa pensare ad una struttura simile a quella di cui ci parla il libro dell’Esodo (Es 33,7-11). Sono stati ritrovati anche i resti di rotoli di stoffe pesanti, che costituivano la copertura del santuario.
Una casa mobile quindi. Non una dimora robusta e resistente alle intemperie e agli assalti. Ma una abitazione fragile, fatta per essere facilmente spostata. Dalle tempeste e dai forti venti del deserto la tenda può essere divelta e gettata lontano, come recita Isaia (Is 38,12). Una abitazione che si chiama «tenda del convegno» (cf. Es 27,21): fatta per incontrarsi, non per separarsi. Dio abita in una tenda per poter incontrare il suo popolo, per condividere la sua stessa condizione. È un Dio che vuole «incontrare» il suo popolo, quello che vive sotto una tenda; un Dio che cerca la solidarietà: è solidale con tutti coloro che vivono la precarietà di una vita da nomadi e che sono in cammino verso la loro terra.
Abita nel Tempio
Quando però il popolo entra nella Terra e abita la Città di Gerusalemme, allora anche il Signore si sceglie una dimora stabile. È il Tempio di Gerusalemme, progettato da Davide, seguendo le indicazioni del Signore, e costruito dal figlio Salmone. La Bibbia sottolinea con forza che il luogo nel quale Dio abita tra le case del suo popolo non è qualcosa di fatto dagli uomini per Dio. Dio sceglie il luogo della sua dimora e dà indicazioni su come costruirla. A Davide che coltiva il proposito di costruire a Dio una dimora il profeta Nathan riferisce da parte del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: Così dice il Signore: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io infatti non ho abitato in una casa da quando ho fatto salire Israele dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione. Durante tutto il tempo in cui ho camminato insieme con tutti gli Israeliti, ho forse mai detto ad alcuno dei giudici d'Israele, a cui avevo comandato di pascere il mio popolo Israele: Perché non mi avete edificato una casa di cedro?”» (2 Sam 7,5-7). Non sarà Davide a costruire una casa per Dio, ma sarà il Signore a costruire una casa per Davide e a rendere il suo trono stabile per sempre.
Il Tempio di Gerusalemme è una costruzione imponente – quasi un quarto della città – che però non indica un cambiamento di stile da parte di Dio. Dio sceglie quel luogo per farvi abitare il suo Nome, perché lì il popolo si è stabilito, ha costruito città e case. Allora anche Dio si è scelto un luogo dove abitare. È importante questa sottolineatura: non c’è altro motivo per la presenza di Dio nel Tempio di Gerusalemme se non quello che lo ha scelto Dio stesso e lo ha scelto perché ora è lì che abita il suo popolo: «Perché invidiate, montagne dalle alte cime, la montagna che Dio ha desiderato per sua dimora? Il Signore l’abiterà per sempre» (Sal 68,17).
Nel Tempio di Gerusalemme abita «il Nome» di Dio. Una espressione per sottolineare la sua trascendenza. Per Dio abitare un luogo non significa rinunciare alla sua trascendenza, alla sua inafferrabilità. Dio abita in mezzo al suo popolo, perché il popolo possa incontrarsi con lui, ma rimane allo stesso tempo inafferrabile. Dio non lo si può possedere, non lo si può dare per scontato: la sua non è una presenza magica, automatica e scontata. Isaia, nella sua visione, afferma che il Tempio è pieno dei lembi del mantello di Dio. Dio abita il cielo, il suo trono non è in una abitazione sulla terra, ma il suo manto regale scende fino a riempiere la dimora di Gerusalemme (cf. Is 6,1). Nel Santo dei Santi poi non abita Dio, non c’è nemmeno una sua raffigurazione. Prima dell’esilio c’è l’Arca dell’Alleanza; dopo l’esilio una stanza assolutamente vuota, che sottolinea in modo estremamente potente la trascendenza e l’inafferrabilità di Dio.
Va in esilio
Ma la storia di Dio «in cerca di casa» non termina con la costruzione del Tempio di Gerusalemme. Tutto si rimette in movimento con l’esperienza tragica e traumatica dell’esilio a Babilonia. Quando il popolo andrà in esilio a Babilonia, allora anche la Gloria di Dio abbandonerà la Città santa, invasa dall’esercito straniero, si alzerà e si sposterà verso oriente, cioè verso il luogo nel quale Giuda è andato in esilio.
A volte l’immagine della Gloria del Signore che si alza dal Tempio per spostarsi verso oriente è stata interpretata come un segno di abbandono, di allontanamento. Ma non è assolutamente così. È proprio il contrario: il popolo va in esilio, è costretto ad abbandonare le proprie case, le sue proprietà. Ebbene Dio continua nella sua ricerca di «solidarietà», di coabitazione con il suo popolo. Anche lui diventa esule.
Le intenzioni di Dio vengono espresse dal profeta Ezechiele, il profeta dell’esilio: «Di’ loro dunque: Dice il Signore Dio: Se li ho mandati lontano fra le nazioni, se li ho dispersi in terre straniere, nelle terre dove sono andati sarò per loro per poco tempo un santuario» (Ez 11,16). Dio stesso sarà «un santuario» durante il tempo definito dell’esilio per Israele. Dio dice «sarò per loro». È lui che si fa incontro e presente al suo popolo anche durante l’esperienza dura dell’esilio. Perché ci sia un santuario, ancora una volta provvisorio, là dove il popolo è stato deportato, la Gloria del Signore lascia la dimora di Gerusalemme.
Ancora una volta Dio pone la sua tenda là dove abita il popolo. Il Dio della Bibbia non si lega ad un luogo, ad un edificio, ma ad un popolo. Il suo desiderio non è quello di vivere nella solitudine di un Tempio sontuoso, ma nella comunione e nella solidarietà con il suo popolo.
Pone la sua tenda tra di noi
Quando si giunge al Nuovo Testamento, la storia del Dio in «cerca di casa» conosce un’ulteriore tappa: Dio pone la sua dimora nel tempio che è il corpo di Gesù. Il prologo del Vangelo di Giovanni fa ancora riferimento alla tenda, quando afferma che il Verbo fatto carne «ha posto la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14). Sì, perché nel corpo di Gesù, ancora una volta Dio ha scelto di abitare lì dove abita l’umanità. Nel corpo di Gesù Dio si è edificato un tempio che ha realizzato il sogno portato avanti nella storia, di abitare lì dove abitano gli uomini e le donne. L’uomo è e abita il proprio corpo e Dio «si è preparato un corpo» (Eb 10,5) come sua dimora. È come se dalla creazione in poi il cammino di Dio nell’incontro con l’umanità avesse la sua pienezza nell’assunzione di un corpo, come sua dimora.
Quando parliamo di corpo di Gesù, come luogo in cui Dio abita con l’umanità, non dobbiamo pensare unicamente al suo corpo fisico. Dobbiamo invece pensare anche alla sua vita umana: nella vita di Gesù, nel suo passare «facendo del bene» (cf. At 10,38) Dio ha posto la sua casa in mezzo a noi.
Abita nelle nostre sofferenze
Nel Nuovo Testamento poi c’è un passo di Paolo molto bello nel quale, utilizzando un verbo che ha ancora la radice del termine tenda, si afferma che Dio, in Gesù, abita anche nelle nostre sofferenze, nelle sofferenze dell’umanità. Afferma Paolo: «Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo» (2Cor 12,9). Qui compare il linguaggio del dono nel termine «grazia» (charis). La grazia, potremmo dire semplificando molto, è qui l’elezione gratuita di Dio, che sceglie Paolo come apostolo nonostante i suoi limiti. Anzi, potremmo dire, «con» i suoi limiti. Infatti, continua la risposta alla insistente supplica di Paolo, il Signore afferma: «la forza si manifesta pienamente nella debolezza (astheneia)». La debolezza, il limite è il luogo nel quale la forza di Dio si manifesta nella vita dell’apostolo. Nella medesima prospettiva Paolo conclude il suo discorso ritornando al tema del «vanto». Se c’è qualcosa di cui l’apostolo si può vantare è proprio la sua debolezza. Egli afferma: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori (episkēnoō) in me la potenza di Cristo» (2Cor 12,9). Nel limite, nelle debolezze che l’apostolo sperimenta nella sua carne può prendere dimorare la potenza di Cristo. Qui Paolo utilizza una immagine molto bella e molto forte, quella della tenda, attraverso l’uso del verbo episkēnoō (cfr. DTNT I, 1329). L’apostolo riprende l’immagine dell’Esodo dove il Dio di Israele abitava sotto una tenda e camminava insieme al popolo (cfr. Es 40,34) nel deserto. Il Dio di Israele è un Dio che abita sotto una tenda, un Dio in cammino con il popolo anche quando Israele è costretto all’esilio (cfr. Ez 11,22-25). Paolo, rispetto a Giovanni (cf. Gv 1,14) fa un passo ulteriore usando la medesima immagine della tenda. Egli afferma che la potenza di Cristo pone la sua tenda nelle nostre debolezze, nei nostri limiti, nel dolore dell’umanità. Potremmo dire che Paolo giunge a dire come il mistero dell’incarnazione, del desiderio di Dio di porre la sua tenda in mezzo a noi, continua nell’esistenza dei discepoli di Gesù dopo la sua risurrezione e in particolare nelle loro debolezze e sofferenze. Ora è «il corpo» dei credenti ad essere la tenda nella quale ha preso dimora la potenza di Cristo.
Per giungere alla Gerusalemme del Cielo
Nella Bibbia cristiana l’ultima tappa del Dio in cerca di casa la troviamo nell’Apocalisse. Lì troviamo la visione della Gerusalemme celeste che scende dal cielo, da Dio, come una sposa adorna per il suo sposo: «e vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,2). Nella città del cielo, non fatta da mani d’uomo, ma donata da Dio, non c’è un tempio, perché il tempio sono il Signore e l’Agnello (cf. Ap 21,22).
Di questa città si dice: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,3-4). Ritorna il tema della «tenda». Alla fine della storia ritorna una tenda nella quale abitano insieme Dio e gli uomini, in una abitazione comune, che è il sogno di Dio fin dall’eternità. Una città nella quale verrà asciugata ogni lacrima: le nostre città, le nostre case spesso sono teatro di lacrime, di violenza. La città nella quale l’umanità coabiterà con Dio non sarà così, ma sarà un luogo nel quale le lacrime non saranno prodotte, ma asciugate. Che bella immagine del fine della storia: una carezza sul volto, che asciuga le lacrime. È una città nuova, totalmente nuova, quella che Dio dona all’umanità per realizzare il suo sogno di abitare con lei.
Ma allora dove abita Dio?
Ma allora, dove abita Dio? Il pellegrinaggio di Dio non si è concluso con l’esilio babilonese, è proseguito negli innumerevoli esili del suo popolo, fino a giungere al terribile esilio della Shoah. E anche là era Dio con il suo popolo. Nel prefazio, la preghiera con la quale inizia la Preghiera eucaristica, della Messa per la dedicazione di una chiesa, si dice: «Nel tuo amore per l’umanità hai voluto abitare là dove è raccolto il tuo popolo in preghiera per fare di noi il tempio dello Spirito Santo». Anche la sinagoga nella tradizione ebraica non è la casa di Dio, ma la casa dell’assemblea. Così è per i cristiani: le chiese non sono la casa di Dio, ma la casa dell’assemblea, della comunità. E proprio perché casa del popolo radunato, sia la sinagoga che la chiesa sono anche «casa di Dio». Ma se anche oggi siamo chiamati a vivere i nostri esili, magari anche lontano dalle nostre chiese, Dio ancora una volta verrà in esilio con noi e farà di ogni nostra casa, di ogni nostra famiglia la sua abitazione, la sua tenda per abitare con noi. Egli veglia sui suoi sogni, sulle sue promesse, per realizzarli (Ger 1,12). Dio non abbandona il suo sogno di «abitare con noi» e lo realizza ogni volta che siamo «in due o tre» riuniti nel suo nome (cf. Mt 18,2), fino al giorno in cui potremo abitare con lui eternamente, nella Gerusalemme del cielo.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli
Un salmo per concludere: Salmo 122 (121)
Canto delle salite. Di Davide.
Quale gioia, quando mi dissero:
«Andremo alla casa del Signore!».
2Già sono fermi i nostri piedi
alle tue porte, Gerusalemme!
3Gerusalemme è costruita
come città unita e compatta.
4È là che salgono le tribù,
le tribù del Signore,
secondo la legge d’Israele,
per lodare il nome del Signore.
5Là sono posti i troni del giudizio,
i troni della casa di Davide.
6Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
7sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.
8Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su te sia pace!».
9Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.