Dall'Osto Antonio
Brevi dal mondo
2020/9, p. 38
TAIZÉ A 15 anni dalla morte di Roger Schutz EUROPA I Gesuiti accorpano le Province mitteleuropee BRASILE Religiose/i brasiliani contro il governo

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Taizé
A 15 anni dalla morte di Roger Schutz
Il 16 agosto 2005, fratel Roger Schutz, fondatore e priore della comunità di Taizé venne ucciso con un colpo di coltello da una donna squilibrata durante la preghiera vespertina nella grande “chiesa della riconciliazione”. “Scompare così un profeta della pace e dell'unità tra i cristiani”, commentò la stampa.
Sono passati 15 anni da quel tragico evento. Cos’è avvenuto a Taizé durante questo tempo?
Ne parla fratel Timothée, membro della comunità di Taizé, in un’intervista, rilasciata a Carsten Döpp, e messa in onda il 16 agosto scorso da Dom Radio.
Quando frère Roger nell'agosto 2005 morì, molti temevano che anche la comunità si disintegrasse. Perché invece le cose sono andate del tutto diversamente? Perché la comunità è cresciuta rimanendo ancora più unita?
“Io non so spiegare il perché, ma si può forse vedere anche l’opera di Dio o del suo Spirito presente. Era certo che fr. Roger aveva cercato per tutta la vita di far capire chiaramente che a Taizé non si trattava di lui. Per quanto egli fosse importante per il cammino comune e per quanto abbia plasmato e dato un’impronta ad ogni cosa, spesso ha anche detto che non si trattava della comunità: la comunità ha una funzione un po’ come Giovanni Battista che consiste nell’indicare il Cristo. È importante che i giovani negli incontri tengano presente questa funzione, indicare il cammino verso Dio e le possibilità che in esso si trovano per la loro vita”.
Negli ultimi 15 anni: come si è evoluta la comunità? Cosa è cambiato?
“In questi ultimi 15 anni ci siamo sforzati di capire come rimanere sulla linea da lui aperta, cercando nella fiducia in Dio e in quella reciproca di superare le divisioni di ogni genere.
Ma cosa significa oggi? Non sarebbe stato conforme al pensiero di Roger se ci fossimo fermati semplicemente dove eravamo 15 anni fa. Egli ha sempre sottolineato quanto sia importante in ogni momento storico discernere cosa è importante oggi”.
Come vede il futuro della comunità oggi? Come andare avanti?
“Penso che oggi a muoverci siano le stesse domande. Particolarmente il problema delle divisioni che è cambiato col mutare dei tempi; è importante superare le divisioni tra le confessioni cristiane. Bisogna anche fare attenzione che non si verifichino divisioni tra le generazioni e che ci si interessi dei giovani che già negli anni ’70 si sono presentati con le loro richieste. Inoltre, è importante cercare di superare le divisioni tra i continenti. Penso che questo problema sia oggi ancora molto presente. Bisogna quindi vedere comeriuscirci proprio oggi con le risonanze che ci sono e con le persone che hanno una diversa veduta in modo da camminare insieme, e non contrapporsi sul modo di essere cristiani,anche se si capiscono a malapena le opzioni e le decisioni dell’altro.
E per quanto riguarda i progetti? Verso la fine dell'anno: la comunità ha annunciato che i tradizionali incontri giovanili saranno rinviati al capodanno del 2021. Ma non sarà per caso cancellato?
“Abbiamo tramandato di un anno l'incontro di Torino perché gli imponderabili sono semplicemente troppo grandi in questo momento e non si sapeva nemmeno come prepararlo in una città e mentre si era ospitati nelle chiese. Così abbiamo detto: l'incontro dei giovani di quest'anno sarà comunque in qualche modoun incontro europeo. Si svolgerà a Taizé. Non abbiamo idea quale forma assumerà.
Europa
I Gesuiti accorpano le Province mitteleuropee
In tempi di declino numerico, i gesuiti compiono un taglio radicale: a partire dal 2021 le Province di Germania, Austria, Svizzera e Lituania-Lettonia verranno accorpate così da formare una sola Provincia costituita da 443 membri. P. Bernhard Bürgler è stato nominato provinciale di questa provincia. In un’intervista rilasciata a Renardo Schlegenmilch, per la trasmittente Dom Radio di Colonia, spiega di cosa si tratta e le ragioni per cui è stata presa questa decisione. Il retroscena, ha dichiarato p. Bürgler, è naturalmente la diminuzione del numero dei membri in diverse regioni del mondo, e in varie Province. Lo scopo, inoltre, è anche di creare una struttura che serva alla nostra missione. Questo attualmente in alcune regioni e province non è più il caso. Si poneva allora l’interrogativo: come potrebbe configurarsi ciò in Europa centrale. Ci furono vari incontri tra le province per discutere quali e con quali di esse si poteva costituire un’unità in vista del futuro. Si è così giunti alla determinazione di unificarsi. Le province tedesca, austriaca, svizzera e lituana-lettone hanno così deciso di iniziare insieme questo cammino e alla fine il risultato è la nuova provincia mitteleuropea. Più una provincia si fa piccola, più difficile diventa anche la missione. È certo che anche la collaborazione internazionale ha un ruolo più grande in un’epoca incui le tendenze nazionaliste si stanno rafforzando. Come gestire questo conflitto, questa sfida?
Oggi lo spirito del tempo tende alla nazionalità. Il carisma del nostro Ordine va fin dall’inizio in direzione opposta. I primi compagni del nostro fondatore Ignazio di Loyola provenivano da diverse nazioni. Ignazio non ha mai pensato in termini nazionali, ma in senso universale. Sia per quanto riguardava le regioni dove ha inviato o voleva inviare le persone, sia anche da dove provenivano. Strettamente parlando, noi non entriamo in una provincia, ma nella Compagnia di Gesù. Con tutto il rispetto per la nazionalità, la cultura, le condizioni del luogo, ciò che è importante per Ignazio, e anche per noi. Penso che proprio per i nostri giorni possa essere un segnale se andiamo oltre i confini nazionali, se facciamo vedere dando l’esempio che una visione più ampia ha dei vantaggi e corrisponde meglio anche a quella cristiana.
“Come si prospetta la vostravisione dell’Ordine e della Chiesa per il futuro?” –ha chiesto Renardo Schlegenmilch al p. Bürgler.
“Noi – ha risposto – ci muoviamo su tre aree collegate tra di loro: spiritualità, istruzione e ambito sociale. Se in queste aree riusciremo a darci un profilo ancora maggiore, allora credo che potremo offrire un contributo alla gente, ma anche nella Chiesa e per la Chiesa”.
Brasile
Religiose/i brasiliani contro il governo
Tredici istituti religiosi femminili e maschili brasiliani dell’associazione Vivat Brasil a cui fanno capo oltre 1200 aderenti hanno firmato la seguente “Nota di rifiuto” della politica del governo brasiliano nei riguardi delle popolazioni indigene e delle comunità tradizionali durante la pandemia Covid – 19 e criticano il suo malgoverno sul piano sociale, politico ed economico ed ecologico.
Noi, Vivat Brasil con oltre 1.200 membri delle 13 congregazioni religiose associate (Società del Verbo Divino, Missionarie Serve dello Spirito Santo, Congregazione dello Spirito Santo, Suore Missionarie dello Spirito Santo - Spiritane, Congregazione delle Suore della Santa Croce, Missionarie Comboniane del Cuore di Gesù, Suore Missionarie Comboniane, Suore Missionarie di San Carlo Borromeo - Scalabriniane, Missionari oblati di Maria Immacolata, Congregazione delle Piccole Sorelle dell'Assunzione, Suore Adoratrici del Sangue di Cristo, Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù (Dehoniani) e Suore Missionarie del Sacro Cuore Santo Rosario), esprimiamo la nostra solidarietà alle popolazioni indigene e alle comunità tradizionali, in particolare nell'Amazzonia brasiliana, per la lotta persistente e la costante resistenza in difesa della vita e dell'ecologia integrale, di fronte all'attuale situazione di malgoverno, sia sul piano sociale, politico , economico e ambientale. Ci uniamo alla voce della CNBB, (Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile) che il 13 luglio ha lanciato una lettera aperta, chiedendo “l'approvazione da parte del Congresso Nazionale del Piano di emergenza (PL 1142/2020), rovesciando i 16 veti del Presidente nella lotta al Covid-19 nei territori indigeni, nelle comunità quilombole e in quelle tradizionali ”.Con profonda indignazione, ripudiamo l'attuale politica del governo nei seguenti aspetti:
• Mancanza di attenzione verso le popolazioni indigene in Amazzonia di fronte all'attuale situazione di calamità pubblica. In Brasile, il Covid 19 ha già raggiunto 143 gruppi etnici, contagiando 16.656 indigeni, 542 dei quali sono già morti, secondo i dati pubblicati su Folha de São Paulo ("Imilitari e il genocidio indigeno" - 21 luglio) e confermati dall'Articolazione delle Popolazioni indigene del Brasile (APIB). A causa della risaputa vulnerabilità delle popolazioni indigene, lo Stato avrebbe dovuto evitare che il virus raggiungesse i villaggi, invece non ha adottato nessuna misura per impedire che i cercatori d’oro, i taglialegna e gli accaparratori di terre invadessero i territori indigeni, diffondendo il contagio. In questo contesto, è ancora più grave il comportamento genocida del presidente Bolsonaro che ha posto il veto sulla fornitura di acqua potabile, il cibo e i letti d'ospedale alle popolazioni tradizionali. Lo stesso Papa Francesco ricorda che l'acqua "è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone e, per questo, è condizione per l'esercizio di altri diritti umani" (Laudato Si, n. 30).
La situazione è talmente grave che la Commissione Interamericana dei Diritti umani dell'OEA (Organizzazione degli Stati Americani), il 20 luglio, ha comunicato al governo brasiliano misure cautelari per proteggere gli indigeni Yanomami e Ye'kwana a Roraima.
• Omissione del governo brasiliano che, di fronte alla pandemia, lascia il Ministero della Salute da oltre 60 giorni senza un ministro che si occupi della lotta contro il coronavirus nel paese.• Mancanza di rispetto delle culture indigene per quanto riguarda la veglia mortuaria e il funerale delle vittime di Covid-19. Molti indigeni vengono sepolti senza notifica ai loro parenti e, in molti casi, non viene registrato nel certificato di morte che sono indigeni. Inoltre, è negato il diritto di portare il corpo nei loro villaggi con l'obbligo di obbedire alle linee guida sanitarie. • Mancanza di controllo da parte degli organi federali dell’accaparramento delle terre, dell’invasione da parte dei cercatori d’oro, del disboscamento provocato dai commercianti di legname, dagli allevatori di bestiame e dal business agroalimentare di soia. Secondo l’INPE, dall’agosto 2019 al 10 luglio 2020, il degrado nell'Amazzonia legale è aumentato del 64%, raggiungendo un totale di 7.540 km² di area disboscata.Di fronte all’urgenza di difendere la vita delle popolazioni indigene e delle comunità tradizionali in Amazzonia, comprese le donazioni di qualsiasi genere, siamo disposti a recarci nei luoghi più colpiti. Perciò, alziamo le nostre voci in un grido di protesta per l’omissione del governo di Bolsonaro ed esprimiamo la nostra solidarietà a tutte e tutti i difensori del popolo, che lottano e danno il loro contributo per alleviare tanta sofferenza. Per questaragione, commemoriamo i martiri come P. Ezequiel Ramin (35 anni) e sr. Dorothy Stang (15 anni) a nome di tutti coloro che hanno dato le loro vite per la Vita, Vita per il regno e Vita per l'Amazzonia. Perciò, Vivat Brasil si unisce a tutte le persone e alle loro organizzazioni sociali e pastorali in difesa della vita e dell'ecologia integrale per vivere bene nella nostra casa comune. (Vivat Brasil, 24 luglio 2020).
a cura diAntonio Dall’Osto