Gellini Anna Maria
Un padre con il cappello in mano
2020/9, p. 27
Esempio silenzioso e mite di un’esistenza spesa per gli altri, con umiltà straordinaria ha lasciato un’eredità di carità e di fede che continua a portare frutti abbondanti attraverso la cura di centri di accoglienza, case-famiglia e comunità terapeutiche.

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Testimoni
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P. OLINTO MARELLA BEATO
Un padre
con il cappello in mano
Esempio silenzioso e mite di un’esistenza spesa per gli altri, con umiltà straordinaria ha lasciato un’eredità di carità e di fede che continua a portare frutti abbondanti attraverso la cura di centri di accoglienza, case-famiglia e comunità terapeutiche.
Il 4 ottobre prossimo Bologna accoglierà il suo nuovo beato: padre Olinto Marella, di cui il card. Giacomo Biffi disse nel 1994, all’inizio del processo per la causa di beatificazione: «Qui c’è qualcosa di grosso. Se è stata una persona santa salterà fuori, se fu un uomo eccezionale, verrà a galla».
Ma il progetto di santità era già stato avviato dalla benevolenza di Dio con la nascita di Giuseppe Olinto Marella, avvenuta il 14 giugno 1882 a Pellestrina (provincia di Venezia e diocesi di Chioggia):il padre Luigi è medico condotto dell'isola e la madre Carolina De Bei insegnante. È lo zio, l’arcivescovo Giuseppe Marella, a prendersi cura dell’educazione di Olinto. Terminate le scuole, il giovane Olinto viene mandato a proseguire gli studi al seminario Apollinare di Roma, Istituto superiore di studi ecclesiastici, dove ha come compagno di corso Angelo Roncalli, futuro Papa e santo Giovanni XXIII e dove consegue la laurea in Teologia e Filosofia. Il 17 dicembre 1904 Olinto è ordinato sacerdote da mons. Aristide Cavallari, prete veneziano formatosi alla scuola del Curato d’Ars, successore di Pio X al Patriarcato di Venezia e creato cardinale dallo stesso Papa Pio X nel 1907.
Don Olinto celebra la sua prima Messa a Chioggia dove poi gli viene affidato l'incarico di insegnante nel seminario di quella diocesi. Nel 1909, con l'aiuto del fratello Tullio, terziario francescano e studente in ingegneria, progetta il "Ricreatorio popolare" di Pellestrina e fa costruire la scuola per l'infanzia "Vittorino da Feltre". Gli inizi del suo ministero sacerdotale sono brillanti e creativi, già particolarmente attenti ai bisogni concreti, specialmente di bambini e ragazzi. Purtroppo il 25 settembre 1909, don Olinto Marella viene sospeso “a divinis” con il divieto di accostarsi all'Eucarestia in diocesi; la grave decisione arriva in seguito all’ospitalità data a don Romolo Murri, suo amico fin dal seminario. In forte polemica con le gerarchie ecclesiastiche, Murri era stato sospeso a divinis nel 1907; e dopo essersi candidato alle elezioni del 1909, nelle liste della Lega Democratica nazionale, essendo eletto alla Camera dei deputati, viene scomunicato (la scomunica verrà revocata nel 1943 da papa Pio XII).
Insegnante in diverse città
Con molta amarezza ma con straordinaria umiltà, don Marella è costretto a lasciare la sua terra e come insegnante comincia a viaggiare in varie città italiane dove riesce a ottenere le cattedre di insegnamento. Nel 1916, anno in cui è chiamato sotto le armi nella IV Compagnia Sanità del Distretto militare di Torino con il grado di sergente, consegue la laurea in Storia e Filosofia e il diploma di Magistero in Filosofia a Padova. Nel 1919 viene incaricato come docente di Filosofia nel Liceo Canova di Treviso. Insegna poi a Messina, Pola, Rieti e Padova.
Tra i suoi alunni c’è anche Indro Montanelli che scriverà di lui: «Conobbi Padre Marella a Rieti, dove lo ebbi per tre anni professore di filosofia. Era già un santo, e come tale noi studenti lo sentivamo. Come aveva potuto la Chiesa non capire ciò che avevo capito io, laico e miscredente: che quello era un santo. A noi dedicava lezioni stupende che finivano sempre con questo ammonimento: "Quando avrete capito tutto, avrete capito ben poco. L'intelligenza umana non è che un fiammifero acceso in un mare di tenebre; non ne rischiara che una minima frangia, il resto è un mistero che si chiama Dio”. Il poco che gli avanzava dal mantenimento della sua vecchia mamma, di cui era al trepido servizio, già allora lo dava ai poveri».
Marella cura anche la traduzione di vari libri di pedagogia e in particolare del libro di G. B. Vico: “De nostri temporis studiorum ratione” sui metodi nuovi di insegnamento, orientati alla formazione integrale dell’educando. Fa anche parte della Commissione Centrale per la revisione dei libri di testo. Nel 1924 giunge a Bologna dove insegna storia e filosofia nei Licei Galvani e Minghetti, fino al 1948.
In un primo momento nessuno sa del suo passato di prete, ma tutti si accorgono della sua onestà intellettuale, della sua carità, della sua fedeltà alla Chiesa malgrado le tante incomprensioni. Il 2 febbraio 1925, festa della “Presentazione al Tempio”, il card. Nasalli Rocca toglie a don Marella la sospensione “a divinis” e lo accoglie nella diocesi di Bologna, dove può finalmente vivere il suo sacerdozio diventando in breve tempo esempio luminoso di carità, di servizio, soprattutto nella periferia della città tra i poveri e i più emarginati.
Mendicante di Dio
Dal 1932, don Olinto fa parte del Consiglio della Società di San Vincenzo de Paoli, che ha come scopo principale quello di aiutare le persone più sfortunate: i poveri, gli ammalati, gli stranieri, gli ex carcerati, gli anziani soli, sia dal punto di vista materiale che da quello morale-culturale. In seguito, dopo la costruzione delle case popolari di via Vezza, Piana, Pier Crescenzi, Mascarella, Scipione dal Ferro, dirige l'assistenza religiosa degli agglomerati urbani alla periferia di Bologna. In quegli anni trasforma in piccole cappelle alcune cantine dei palazzoni appena costruiti e le chiama “cattedrali degli umili”. Negli stessi anni ospita nel suo appartamento di via S. Mamolo 23, dieci bambini orfani e contemporaneamente dà rifugio anche a perseguitati politici. Nel periodo bellico compie innumerevoli gesti di coraggio e di altruismo; accoglie nelle sue case- rifugio un grandissimo numero di orfani, di sbandati, di poveri di ogni genere. Dà ospitalità, salvandone la vita, a un gruppo di ebrei, poi rischia la fucilazione per aver nascosto in casa una trentina di militari destinati alla deportazione, salva la vita ad un padre di famiglia già davanti al plotone di esecuzione, salva suor Caterina Elkan, ebrea convertita, dalla deportazione nazista.
Nell’immediato dopoguerra la sua opera diventa più delineata ed organizzata, con la creazione della prima Città dei Ragazzi; per dar da mangiare ai suoi piccoli ospiti si trasforma in mendicante in un angolo di strada, sistemato su uno sgabello a chiedere la carità, davanti ai luoghi di spettacolo e in alcuni punti strategici della città, sempre controllato “a vista”, anche dai confratelli sacerdoti, perché “troppo evangelico”. Tanto è vero che fino a quando è stato funzionante a Roma il Sant'Uffizio, incaricato di promuovere e tutelare la dottrina della Chiesa cattolica, veniva richiesta annualmente una relazione scritta al vescovo di Bologna, sul comportamento di questo sacerdote troppo originale e innovatore.
Don Olinto si fa mendicante per condividere e capire meglio la condizione dei poveri, ma soprattutto, ispirato da Dio, sceglie questa forma umile di testimonianza per dare la possibilità a tante persone frettolose, distratte e indifferenti, di riflettere, arrestare la loro corsa e mettere in moto il processo interiore della solidarietà.
Don Marella, che ben presto diventa per tutti Padre Marella, è l'uomo mandato da Dio che, dopo aver peregrinato e sofferto per sedici lunghi anni, si è lasciato morire come un chicco di grano per rinascere come una rigogliosa spiga e portare frutti abbondanti nella ricca e “godereccia” Bologna, città famosa per la sua cultura e gastronomia, ma non altrettanto famosa – in quegli anni - per la sua carità e testimonianza di fede.
Ma p. Marella con la sua presenza silenziosa e forte, con la sua fede impregnata di carità, con la sua concretezza ed immediatezza nel porgere aiuto a chiunque, tocca il cuore di tutti. Nessuno riesce a passargli accanto senza essere colpito dalla sua carità e dal suo spirito di sacrificio. Padre Marella diventa così la coscienza di Bologna, un faro di luce che illumina tutta la città.
Una cattedra di umiltà
Sceglie una cattedra di umiltà senza precedenti: da quell'angolo di strada, nella zona del vecchio mercato, arroccato su quell'umile sgabello, lancia un silenzioso e forte messaggio a tutti i passanti: “non si può restare indifferenti di fronte a chi soffre”.
Si consuma giorno e notte alla questua davanti ai luoghi di spettacolo ed in alcuni punti strategici della città, e riesce anche ad ottenere dalla nettezza urbana un vecchio magazzino, che nel 1948 sarà trasformato nella prima rudimentale “Città dei Ragazzi” in via Piana. Lo stesso anno lascia l'insegnamento per dedicarsi a tempo pieno ai “suoi ragazzi”. Gli anni successivi vedono p. Marella protagonista di diversi riconoscimenti come i due “Premi della Bontà” da parte della Regione e della Provincia; il premio “Notte di Natale” Angelo Motta.
La sua fama di santità cresce a dismisura davanti agli occhi del popolo. Tra le testimonianze raccolte per il processo per la causa di beatificazione, alcune sono particolarmente significative. «Quando passava per le vie cittadine pigiando sui pedali della sua gloriosa bicicletta carica di pacchi, sporte e borse di ogni genere, ormai tutti lo conoscevano e lo salutavano con ampi gesti, con parole cortesi e benauguranti: "Buon giorno Padre! Buona questua". Non era sempre stato così. Quando si mise per la prima volta in Via Orefici, con il cappello in mano, in atto di chiedere l'elemosina, le frasi che gli lanciavano i passanti erano di ben altro tenore. Poteva infatti essere scambiato per un barbone, ma lui sfidò quegli insulti, rimase immobile come una statua: capo chino e cappello in mano. Tanto che ancora oggi l'immagine che molti hanno di lui è ancora così: pensoso, con il cappello rivolto ai passanti in atteggiamento di chi chiede l'elemosina».
Disse di lui, il card. Biffi: «Padre Marella ci ha costretti tutti a riflettere, ad alzare gli occhi, a contemplare orizzonti più vasti. Egli non rimproverava nessuno; ma la sua testimonianza e il suo esempio sono più efficaci di ogni invettiva. Egli si offre come un testimone incontestabile di valori più alti di quelli puramente edonistici; si propone come un esempio silenzioso e mite di un’esistenza spesa per tutti, perché tutti siamo poveri o di soldi o di affetti o di certezze salutari, e tutti abbiamo bisogno di essere rianimati e consolati. È un testimone che non si può disattendere, un esempio che non si può ignorare: così riesce a spingere tutti – chi più chi meno, a seconda della nostra capacità di risposta – sulla strada salvifica dell’amore. P. Olinto è vivo più che mai nella coscienza dei bolognesi. Il suo nome tra noi è un richiamo che non ha mai cessato di risuonare, una luce che non si è spenta, un appello alla più profonda – e troppe volte più sommersa e occultata – vocazione cristiana, cioè la vocazione della carità. In questo sacerdote forestiero, Bologna ha visto ridestarsi e ringiovanirsi la sua anima più antica e più vera, di città generosa e tradizionalmente sensibile di fronte alle sventure umane.»
«Vicino ai miei ragazzi»
La “Città dei Ragazzi”, dal 1948 presto si ingrandisce trasferendosi a San Lazzaro. Il miracolo che viene attribuito a p. Marella riguarda proprio uno dei “suoi” ex ragazzi. Si tratta infatti della guarigione improvvisa di Piero Nobilini che nel 1985, gravemente malato e ormai prossimo alla morte dopo un’inarrestabile emorragia, si rivolse a lui con la preghiera. Padre Marella gli apparve sul muro di fronte al letto e in pochi istanti si ritrovò guarito.
Nel 1960 Papa Giovanni XXIII scrive una lettera al card. Giacomo Lercaro a favore dell’‟Opera assistenziale del mio carissimo amico e Padre Marella”, inviando l'offerta di un milione. L'8 ottobre 1968 don Olinto detta il suo Testamento Spirituale e nomina suo successore Padre Alessandro Mercuriali.
Il 6 settembre 1969, dopo aver ricevuto l’Unzione degli infermi, circondato dai suoi ragazzi, muore all'età di 87 anni, lasciando un'eredità di amore e carità che a 51 anni dalla sua scomparsa porta ancora frutti abbondanti. L’intuizione originaria di p. Marella si è trasformata oggi in oltre 260.000 pasti all’anno, 200 posti letto a disposizione 365 giorni all’anno, 11 comunità, 16 progetti sociali, 90 dipendenti e più di 200 volontari, oltre a tanti amici sostenitori e benefattori che consentono di continuare tutte le attività.
La salma di p. Marella dal 1980 riposa nella Chiesa della Sacra Famiglia in San Lazzaro come da suo desiderio: “Vicino ai miei ragazzi”.
Anna Maria Gellini