Prezzi Lorenzo
Ombre sui fondatori
2020/9, p. 12
Una inchiesta interna e un saggio storico denunciano comportamenti impropri di due fondatori: p. Georges Finet (Foyers de charité) e p. Josef Kentenich (Opera di Schönstatt). Interrogarsi senza avvilirsi.

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Testimoni
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FOYERS DE CHARITÉ – OPERA DI SCHÖNSTATT
Ombre sui fondatori
Una inchiesta interna e un saggio storico denunciano comportamenti impropri di due fondatori: p. Georges Finet (Foyers de charité) e p. Josef Kentenich (Opera di Schönstatt). Interrogarsi senza avvilirsi.
Due fondatori e due ombre. Denunce e sospetti di comportamenti impropri hanno investito la figura di p. Georges Finet (1898-1990), co-fondatore assieme alla mistica Marthe Robin (1902-1981) dei Foyers de charité, e di p. Josef Kentenich (1885-1968) fondatore dell’Opera di Schönstatt.
Il 7 maggio è stata resa pubblica una sintesi di 24 pagine dello studio di una commissione di indagine avviata dall’attuale presidenza dei Foyers de charité che si espone in un giudizio esplicito: «Condanniamo senza riserve i maneggi gravemente devianti di p. Finet, che sotto tutti i punti di vista sono contrari al diritto, al rispetto delle persone e agli insegnamenti del Vangelo. Queste rivelazioni rappresentano un dolore per tutte le persone che sono state vittime, per tutti i membri dei Foyers de charité e risultano sorprendenti per quanti hanno apprezzato il padre Finet come fondatore, predicatore ed educatore». Gli abusi in questione sono stati testimoniati da 26 donne che, da adolescenti, hanno subito varie forme di aggressioni sessuali da parte di p. Finet dentro la celebrazione della confessione, nel periodo che va dal 1945 al 1983. La commissione di indagine, indipendente rispetto all’Associazione ecclesiale, ha raccolto in sei mesi (a partire dal settembre 2019) 143 testimonianze, 116 delle quali sono state orali e scritte. Fra di esse 26 affermano comportamenti irregolari di p. Finet attraverso toccamenti impropri del corpo e questioni intrusive a carattere sessuale avvenuti durante le confessioni che le ragazze della scuola, attiva nella sede di fondazione dei Foyers a Châteauneuf-de-Galaure (Drôme – Francia), erano invitate a fare nella camera del fondatore.
La mistica e il fondatore
Padre George Finet nasce a Lione nel 1898, diventa prete nel 1923, è direttore delle scuole cattoliche della diocesi di Lione nel 1933. Incontra Marthe Robin nel 1936 e, su sua ispirazione, fonda i Foyers de charité. Muore nel 1990. I Foyers nascono come luoghi di ritiro spirituale, ma esercitano anche altri servizi, come scuole, dispensari e case di ferie. Il cuore del loro servizio è la predicazione degli esercizi spirituali con l’intuizione di affidarli non solo ai preti, ma a una comunità prevalentemente di laici (uomini e donne). La spinta all’evangelizzazione e all’annuncio cherigmatico in un contesto di crescente scristianizzazione ha trovato significative conferme. L’intuizione originaria è della mistica Marthe Robin, dichiarata venerabile nel 2014. Segnata dall’encefalite e totalmente paralizzata, Marthe ha rappresentato in Francia uno straordinario punto di riferimento. Senza alcuna alimentazione se non l’eucaristia, la mistica riviveva la passione del Signore ogni venerdì con il fenomeno delle stigmate. I suoi visitatori sono stati circa 100.000 e fra di essi quasi tutti i “nuovi fondatori”, moltissimi vescovi, teologi e uomini di spicco nel cristianesimo francese.
P. Finet diventa il suo padre spirituale e colui che ne interpreta i pensieri e le indicazioni. È lui che trasmette ai Foyers le intuizioni fondative e le interpreta con una spiccata centralità della figura sacerdotale nel contesto delle comunità. Circondato da una grande stima e da atteggiamenti adulatori, ha dato un’impronta fortemente devozionale alla spiritualità dell’associazione, una relazione non sempre cordiale con le Chiese locali di appartenenza delle varie comunità che nel frattempo crescevano e una gestione “monarchica” della funzione di animazione. Il successo dei numeri e dei consensi ha concesso al fondatore un’aura che non ha favorito lo spirito critico. Fortemente portato e dotato nell’azione educativa, p. Finet incrocia e interpreta le prime attenzioni della Chiesa alle ricerche sull’affettività e sulla sessualità. Un impegno che la commissione di indagine indica come «ingenuo e abborracciato». L’associazione laicale dei Foyers cresce in maniera vistosa. Oggi vi sono 78 comunità con 970 membri che animano altrettanti luoghi di ritiro e di esercizi, attive in 4 continenti. Si calcola che ogni anno passano da loro circa 50.000 credenti alla ricerca di momenti di riflessione e preghiera. Dal 1986 ha ricevuto dal Consiglio pontificio per i laici il riconoscimento di Associazione internazionale di fedeli di diritto pontificio. In Italia vi sono tre comunità: a La Salera (Aosta), a Ronciglione (Viterbo) e ad Altamura (Bari).
Conclusioni discusse
La prima generazione ha vissuto lo stato nascente di un carisma originale nella convinzione di un servizio nuovo, necessario e richiesto. Il clima cambia con l’elezione del nuovo moderatore (Moïse Ndione), eletto, assieme al nuovo consiglio internazionale nel 2016. Si avvia un movimento di riforma nella struttura interna: moderatore, consiglio, segretariato. L’assemblea generale del 2016 vota i nuovi statuti, opera la distinzione di responsabilità tra foro interno e foro esterno e si impegna ad approfondire la nozione di paternità spirituale. Nel 2018-2019 si infittiscono le voci circa comportamenti reprensibili del fondatore con la diffusione di dolorose testimonianze attraverso radio e internet. Nel settembre del 2019 il consiglio e il moderatore decidono l’avvio della commissione di indagine chiamata a fare luce sul passato, a valutare l’efficacia delle strutture attuali in ordine alla lotta contro la pedofilia e gli abusi e a indicare alcune tracce di riforma per il futuro. Affidata a Françoise Gaussen e composta da otto persone con diverse specializzazioni, essa prende indirizzi e contatti delle persone disposte a dare testimonianza personale sugli atteggiamenti di p. Finet, garantendo rispetto, confidenza e attenzione. Non è un’indagine giuridica e giudiziaria, ma una commissione di carattere storico-informativo e di accompagnamento dell’associazione. I risultati circa alcuni comportamenti inappropriati di p. Finet sono già stati ricordati. Il testo ricorda la sua appartenenza a una generazione di preti che esercitavano la pratica della confessione e di guida spirituale esageratamente focalizzata sul tema della morale sessuale. Sottolineando, però, che le pratiche delle confessioni di p. Finet non rispettavano affatto le norme canoniche e le indicazioni pastorali allora proposte e suggerite. Fra i suggerimenti che la commissione indirizza all’istituto vi è l’invito a una rinnovata concezione della paternità spirituale, una conferma dell’intuizione originaria circa l’importanza dei laici e una più attenta formazione, iniziale e permanente. Fra i suggerimenti anche la richiesta di un visitatore vaticano. Su quest’ultima domanda si innesta la reazione vigorosa dei familiari di p. Finet e di una parte di coloro che l’hanno conosciuto. Hanno scritto al Vaticano, alla nunziatura, al dicastero dei laici e al presidente della Conferenza episcopale francese per chiedere un riesame del dossier da parte di una autorità totalmente autonoma. Essi lamentano che p. Finet sia di fatto considerato colpevole senza alcuna possibilità di potersi difendere. Un gruppo di collegiali degli anni ’50-‘60 annota come la “condanna” sia irrispettosa del diritto: «essa trasforma la presunzione di innocenza in presunzione di colpevolezza e diffama la memoria di un morto che non può difendersi». Si vedranno gli sviluppi futuri.
La visita e la censura
Il 1 di luglio esce su un giornale tedesco (Tagespost) e sul blog di Sandro Magister il saggio di una storica; Alexandra von Teuffenbach che ricostruisce la visita canonica di p. Tromp (1889-1975) all’Opera di Schönstatt fra il 1951 e il 1953. Oltre alle questioni del carisma, della struttura dell’opera e della maturità dei suoi membri, il visitatore evidenzia nei suoi rapporti l’abuso di potere del fondatore nei confronti delle suore. Il suo potere pieno, il suo essere “equiparato” a Dio, l’aura di santità costruita attorno a lui era un terreno di coltura per indebite dipendenze e subalternità interiorizzate. La storica, sulla base del rapporto di p. Tromp, cita in particolare l’obbligo per le suore di confessarsi col fondatore almeno in alcune circostanze e il sistema di dialogo confessore-penitente con pretese totalizzanti e domande intrusive. Sempre p. Tromp ricorda una lettera di una suora tedesca che nel 1948 denuncia un abuso sessuale da parte del fondatore. La sua denuncia non ha conseguenze. La stessa persona conferma il racconto in un successivo incontro con p. Tromp. Interrogando la superiora generale circa denunce similari da parte delle suore, si sente rispondere: sei-otto. Nel 1951 un decreto del Santo’Ufficio allontana p. Kentenich dalla sua fondazione, inviandolo a Milwaukee (Stati Uniti) in una comunità di Palottini (a cui il padre apparteneva). Solo 14 anni dopo, nell’ottobre 1965 – a un anno dal riconoscimento della piena autonomia dell’Opera - poté tornare in Germania e riprendere le sue attività, dove è morto il 15 settembre 1968.
Non temere la verità
La prima reazione di Schönstatt è molto dura. Il superiore generale J. P. Catoggio, a nome della presidenza scrive: «Respingiamo fermamente l’accusa che J. Kentenich sia colpevole di abusi sessuali verso membri dell’istituto, fra le Sorelle di Maria». Al contrario, il suo comportamento «è sempre stato caratterizzato da una spiccata riverenza e stima», specialmente «nei confronti delle donne». L’intera vicenda del suo allontanamento fa parte dei documenti presentati in ordine alla beatificazione e le opinioni espresse da p. Tromp erano marginali. Tanto più che la memoria del suo passaggio nell’Opera era molto discussa per il carattere e il tradizionalismo. Non si può ignorare la buona prova di p. Kentenich nei 14 anni di esilio. Del resto fa parte del processo romano il nihil obstat rispetto ai materiali d’archivio prodotti. Alla prima reazione ne sono subito succedute altre, molto più guardinghe e possibiliste. Mons. Francesco Pistilli, appartenente all’Opera e vescovo di Encarnación (Paraguay) scrive: «Penso che ci sarà richiesta molta obiettività. Il nostro fondatore è messo a dura prova. Confidiamo che superi la prova, ma deve essere in grado di mostrarsi in questo modo, con imparzialità. Sono convinto che, per parte nostra, non si tratta di metterci sulla difensiva, ma solo di essere incoraggiati nella luce … È tempo di capire e di cercare risposte senza paura, e senza bisogno di disegnare un fondatore perfetto». P. D. Barata, superiore in Spagna, ammette che nuovi documenti possano meglio illuminare il tempo dell’esilio del fondatore, ma già oggi «dobbiamo chiedere scusa per non aver trasmesso a tutto il movimento tutto ciò che sapevamo. Ci è mancato il coraggio». «In questo dolore condiviso siamo convinti del fatto che accedere a tutta la verità ci permetterà di avere una conoscenza più profonda del carisma del nostro fondatore». E I. Serrano del Pozo dal Cile sottolinea che la visitazione vaticana e i successivi provvedimenti sono sempre stati imputati a una mancata comprensione ecclesiale del carisma di Schönstatt in particolare del principio di paternità e della normatività dei vincoli, senza chiarire il senso degli «abusi» che non appaiono mai come il fattore scatenante l’esilio. E continua annotando la funzione positiva di un riconoscimento recente della nascita di Kentenich da una donna (Katharina Kentenich) non sposata (a otto anni Josef fu portato in orfanatrofio). Anche nuove ricerche potrebbero rivelarsi positive. E in proposito suggerisce di istituire una «commissione d’inchiesta per trattare in modo oggettivo quanto accaduto nella visita canonica e le motivazioni del decreto disciplinare del Sant’Ufficio».
Il dibattito successivo sulla stampa si è molto arricchito. La storica A. von Teuffenbach pubblica una lettera (2 aprile 1982) del card. J. Ratzinger, allora prefetto della Congregazione della dottrina della fede in cui si afferma che la Congregazione non aveva annullato nessuna delle precedenti decisioni del sant’Ufficio. Appare una lettera del card. F. S. Errázuriz, allora presidente dell’Opera di Schönstatt che chiede a Ratzinger di correggere il tiro. Il Prefetto risponde con una lettera di elogio all’Opera, ma senza accennare alle disposizioni censorie nei suoi confronti. Il movimento pubblica una lettera del card. Joseph Höffner, allora vescovo di Münster, del 1965 in cui si afferma che la Santa Sede ha abrogato le norme restrittive di p. Kentenich e che tutti i materiali resi pubblici finora sono contenuti nella positio depositata in ordine al processo di canonizzazione.
L’Opera di Schönstatt, poco nota in Italia, è considerata un movimento ecclesiale che coinvolge oltre 140.000 membri in 42 paesi del mondo (soprattutto Nord-Europa, Africa e America Latina). L’Opera è una confederazione di una dozzina di varie comunità e associazioni dai preti ai laici, da chi ha vita comune e chi no, da leghe apostoliche (come quelle delle famiglie) a istituti secolari e gruppi giovanili. Tutti legati dal carisma di un fondatore, da un particolare legame con un santuario mariano, quello di Schönstatt (replicato oltre 200 volte in 33 paesi del mondo), da una spiritualità comune e dall’obiettivo condiviso dell’evangelizzazione.
La bellezza del Vangelo
Il senso di smarrimento che queste rivelazioni possono indurre va tematizzato e relativizzato. È di aiuto la risposta che sr. Margron, presidente della Conferenza dei religiosi e religiose francesi ha dato nella intervista (a p. 8) alla domanda su come valutare oggi la situazione della vita consacrata: «Anzitutto rendendo grazie per tante vite magnifiche, travolgenti di prossimità con il Signore, in relazione a donne e uomini che conoscono il soffrire. Vite che non cercano un rilievo sociale ma che vanno al cuore. È davvero magnifico: una folla di testimoni di oggi che partecipano a tenere in piedi il mondo nonostante tutto, a dargli un volto umano al di là delle brutalità. Con realismo. Non tanto per la continua decrescita sul piano sociale e numerico, quanto per ciò che scopriamo in relazione agli scandali e abusi. Aggressioni sessuali, certo, ma anche abusi di potere, di confidenza, di coscienza. Toccano molte forme della vita consacrata oggi. Come non farsi interrogare in profondità? Non solo per l’immenso dolore che essi hanno provocato su vite devastate e sbriciolate, ma anche per noi che li scopriamo oggi e ci interroghiamo su come sia stato possibile. Tradimenti che ci obbligano a riprendere il nostro fondamento e a discernere come una concezione nefasta dell’obbedienza, ad esempio, o della castità può aver condotto agli abusi. Infine, con speranza. Perché vedo oggi un’autentica presa di coscienza di molti su questi fatti dolorosi e una reale volontà di lottare contro ogni pratica deviante e di formarsi adeguatamente. Vedo anche un impegno di fondo per sostenere le vittime. Credo che la vita consacrata dal cuore di questa tempesta possa diventare semplicemente più evangelica. Se la nostra Chiesa non va troppo bene – come ignorarlo – credo tuttavia che il Vangelo vada molto bene».
Lorenzo Prezzi